Le armi di Putin: missili e soviet

Un’Armata Rossa “riciclata”? A quanto pare, le scelte delle alte gerarchie militari russe propendono, da un lato, per il riciclo/riammodernamento dei vecchi carri armati sovietici degli anni Settanta-Ottanta, e per l’impiego massivo dei proiettili d’artiglieria. Dall’altro, invece, si fa ricorso senza risparmio di colpi a missili balistici convenzionali e ipersonici sempre più sofisticati, per colpire in territorio nemico a distanza di sicurezza. Con la prima scelta, gli strateghi del Cremlino intendono fare affidamento sul numero soverchiante di blindati, da mettere in campo contro quelli ucraini di ultima generazione forniti dall’Occidente. Mentre con la seconda opzione non si bada a spese, pur di mettere in ginocchio l’intera infrastruttura civile e l’apparato produttivo bellico/industriale di Kiev. C’è da dire che, con queste sue armi “stagionate”, Vladimir Putin può tenere il fronte ucraino ancora per due anni di fila, senza problemi di forniture belliche, né di avvicendamento delle truppe. Tutto il contrario di quanto oggi si profila per Volodymyr Zelensky nei prossimi mesi! La strategia di guerra di Mosca, a questo punto, è evidente, per quanto riguarda la sua presunta “operazione speciale”: espandere in ogni modo la propria capacità bellica ordinaria e sviluppare, nel contempo, armamenti super moderni, in grado di fare la differenza sul campo di battaglia.

Ed è per questo, in fondo, che all’Armata Rossa si è rivelato sufficiente capitalizzare il suo soverchiante vantaggio per numero di effettivi, dotandoli di armi vecchiotte ma affidabili (“armi di massa, per una massa di soldati”), facendo leva sulla loro volontà di sacrificio a sostenere ingenti perdite, pur di vincere la nuova “Guerra patriottica”, in cui però, stavolta, sono i russi a giocare il ruolo di invasori! Si spiega così la sorprendente inversione di tendenza, rispetto alla prima parte del conflitto, che ha visto i russi ripiegare spesso oltre le loro prime linee difensive. I fattori che hanno determinato un simile ribaltamento di forze sono facilmente spiegabili. Ha contato, in primo luogo, la riconversione produttiva in economia di guerra, con il conseguente pieno impiego di tutti i fattori produttivi grazie a imponenti aiuti di Stato. Si è così massimizzata a pieno regime la produzione di armamenti di vecchio tipo, acquistando anche pezzi di ricambio un po’ ovunque, da Iran, Cina e Corea del Nord. In questi ultimi casi, si è trattato in prevalenza di atti dimostrativi e di quantità simboliche, per affermare il principio che la Russia non era isolata dal resto del mondo, essendo in grado di aggirare le sanzioni internazionali.

Ovviamente, questo tipo di vantaggio da parte russa è diventato molto consistente negli ultimi mesi, a causa del forte rallentamento delle forniture occidentali all’Ucraina. Lasciando da parte i costosissimi carri ultramoderni Armata T-14 (un alter ego valido, rispetto agli americani Abrams e ai Leopard tedeschi), i comandi russi hanno preferito investire, laddove fattibile e opportuno, nell’ammodernamento degli equipaggiamenti missilistici e balistici di epoca sovietica, modificando le ogive dei vettori per dotarli di moderni strumenti gps idonei alla guida a distanza. E, come si è visto, poter indirizzare direttamente sulle trincee ucraine bombe guidate da 500 chili, sganciate in tutta sicurezza dai bombardieri rimanendo all’interno dei confini russi, ha fatto la differenza sul fronte di battaglia, con gli ucraini costretti ad arretrare un reparto dopo l’altro, onde evitare inutili sacrifici di soldati. E, a questo punto, anche gli alti comandi americani sono stati costretti ad ammettere che le forze armate russe si sono dimostrate sempre più abili nell’apprendere la lezione sul campo, adattandosi tecnologicamente alle esigenze emerse sul terreno di battaglia. Da qui, nasce l’iperproduzione russa di droni su licenza iraniana e la messa a punto di strumenti avanzati di cyber war, con particolare riferimento al disturbo elettronico delle comunicazioni e dei sistemi radar nemici. Il tutto a costi stratosferici, visto che nel solo 2024 sono stati stanziati 115 miliardi per il budget della Difesa, pari a un terzo del bilancio complessivo annuale di Mosca.

I numeri forniti dal ministro della Difesa, Sergei Shoigu (che passerà a dirigere il Consiglio di Sicurezza nazionale), del resto parlano chiaro a proposito della produzione bellica russa, aumentata rispettivamente di quattro volte per i veicoli corrazzati; di cinque per i  carri armati (ne sarebbero stati prodotti 1500 nel solo 2023, secondo le stesse fonti governative, di cui però un buon numero rimessi a nuovo e prelevati dai vecchi stock); di diciassette per i proiettili di artiglieria e i droni. Per questi ultimi, i russi hanno impiantato una fabbrica nel Tatarstan, a 500 chilometri da Mosca, per produrre su licenza iraniana gli Shahed, in aggiunta all’aumento della produzione autoctona dei Lancet del marchio Kalashnikov, che esplodono una volta raggiunto il bersaglio. È bastato riconvertire qualche vecchio centro commerciale in un impianto per la produzione di droni, e il gioco è fatto! Il tutto, risparmiando come ogni buon padre di famiglia sul costo insostenibile di un carro armato moderno, come il T-14 Armata, pari a 8 milioni di dollari a unità, contro la metà di un T-90 ammodernato.

Come il mondo ha imparato a conoscere, in una guerra moderna come quella in Ucraina conta molto di più, sul piano della strategia, poter disporre di equipaggiamenti affidabili, nel numero sufficiente e con abbondanti parti di ricambio, piuttosto che dover contare su pochi mezzi ultratecnologici, rispetto ai quali, per poterli manovrare, occorre un lungo addestramento e truppe selezionate. Per cui vanno benissimo i vecchi T-55 e T-62 per i nuovi coscritti e per gli ex galeotti mandati allo sbaraglio sui campi di battaglia, in base al detto “meglio tre Ford di una Cadillac”. E il numero vince sempre, come insegnano le regole di sopravvivenza delle specie.

Aggiornato il 14 maggio 2024 alle ore 10:57