Questa storia di guerra tra Iran e Israele sarà, come dicono gli inglesi, un gioco del tipo “tit-for-tat”, “occhio-per-occhio” o una vera e propria guerra para-mondiale? Tutti insistono nel dire: “Dipende dalla risposta israeliana”. Appunto. Per la cronaca, è proprio Israele a iniziare la partita dello scontro diretto in territorio iraniano, con l’attacco del primo aprile contro la sede dell’ambasciata iraniana in Siria, costata la vita ad alti esponenti militari delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, che pianificavano le future azioni militari degli Hezbollah libanesi al confine con Israele. Nulla di nuovo, in tal senso, visto che fin dai tempi di Khomeini l’Iran è ufficiosamente in guerra (per proxi, com’è stato fino all’11 aprile, ma oggi non più) con il “piccolo Satana”, avendo giurato proprio come Hamas di cancellare l’Entità sionista dal sacro suolo dell’Islam, che comprende poi anche la Palestina delle tre grandi religioni monoteiste. Certo, tutti segretamente si auspicano che il “tat” del successivo colpo israeliano sia proprio la distruzione dei siti nucleari iraniani, ma gli osservatori internazionali tendono a escluderlo, per ora. Perché questo significherebbe di sicuro una definitiva, aperta dichiarazione di guerra tra Teheran e Tel Aviv. E chi potrebbe permettersi una simile estensione del conflitto? Né Benjamin Netanyahu né Joe Biden di sicuro possono concederlo.
Il primo, infatti, potrebbe reggere le sue gambe politicamente malferme anche scatenando una nuova guerra regionale, ma in questo caso dovrebbe mettere in conto, nell’ordine: lunghi anni di guerra; la mobilitazione permanente di un milione di giovani israeliani; notti da incubo per i bombardamenti iraniani con migliaia di droni e missili di ogni tipo che, stavolta, potrebbero davvero “saturare” le difese di Iron Dome. Per di più, quanti dei suoi alleati (europei, americani e arabi) sarebbero disposti a seguirlo, fermando con i loro caccia la pioggia di oggetti volanti iraniani? Figurarsi poi se truppe regolari iraniane attaccassero via terra, con la complicità o il diretto sostegno dei Governi sciiti iracheno e siriano, rafforzando con centinaia di migliaia di pasdaran, militarmente addestrati e motivati, le milizie Hezbollah ai confini nord con Israele. A quel punto, tutto l’Occidente si troverebbe confrontato a uno scenario-bis rispetto a quello ucraino. Dare o no le armi a Israele? Intervenire, o no, con i marine e la Nato? Appunto: e chi potrebbe permetterselo, in un momento in cui geostrategicamente l’Occidente è nel mirino della nebulosa politica del Global South, che non vede l’ora di mobilitare due terzi dell’opinione pubblica mondiale contro l’Occidente imperialista e colonialista? E davvero qualcuno si illude che, a quel punto, non resteranno a secco le pompe di benzina in tutta Europa, visto che abbiamo fatto (dolorosamente) lo switch tra gas e petrolio russi con sempre più forniture arabe, e non abbiamo ancora la fusione nucleare?
E poi: potrebbe Biden permettersi, a pochi mesi dalle elezioni presidenziali, una vera guerra che di sicuro coinvolgerebbe l’America come alleato irriducibile di Israele sguarnendo, per numero di navi impegnate nel Mar Mediterraneo e nel Golfo Persico, tutto il vastissimo fronte del Mar Meridionale di Cina, Taiwan compresa? Quanto ci metterebbe a quel punto Pechino a riprendersi, con un colpo di mano, Taipei? Anche in considerazione che né Russia né Cina potrebbero mai mischiarsi direttamente in un ipotetico conflitto Iran-Israele. Quindi, il “tat” israeliano dovrà essere molto prudente. Per esempio, puntando a demolire più seriamente le infrastrutture militari dei proxy, come gli Hezbollah libanesi, con il Governo di Beirut che trema come una foglia (visto che il Libano è di fatto uno Stato fallito, economicamente e politicamente) di essere coinvolto in una guerra regionale. Ma, invaso con successo il Libano, quanto tempo potrebbero rimanere su quel territorio le truppe di occupazione israeliane, senza scatenare un’altra guerra civile a tutto campo, visto l’inevitabile coinvolgimento della Siria? Ed è ovvio che Teheran stia parlando con Washington, avendo già annunziato dalla sede dell’Onu che il suo “tit” si limitava uno sfoggio di (im)potenza, con la sua pioggia di droni e missili che hanno soltanto fatto da cavia (anche e soprattutto per Russia e Cina) per testare quanto distanti siano le loro tecnologie, missilistiche e aeree, rispetto a quelle occidentali.
Per capirci, se il 22 febbraio 2022 avessimo dichiarato la famosa “no-fly-zone” sull’Ucraina, Vladimir Putin non avrebbe mai attaccato Kiev! Altro argomento serio: ma, l’Iran che vola, quanti missili e droni può mettere in campo? Dove sono allocati gli impianti relativi? Ed è possibile distruggerli tutti assieme con un preciso first-strike? A quel punto, con una guerra aperta contro l’Occidente, come si comporterebbe l’opinione pubblica iraniana? Resterebbe fedele ai mullah o coglierebbe l’occasione per ribellarsi? Ma, senza forniture di armi da parte occidentale, come farebbero centinaia di migliaia di ragazze e di ragazzi a ribellarsi a pasdaran e militari, senza essere sterminati senza pietà? Chiaro che l’Iran abbia valutato che valesse la pena perdere un centinaio di milioni di dollari (tanto valevano gli stormi di droni e missili lanciati contro Israele), pur di dare dimostrazione alla sua opinione pubblica interna, ai suoi proxy e al resto del mondo, che il proprio orgoglio ferito dovesse, in un modo spettacolare quanto inutile, essere vendicato. Allora, “tutta scena”, direbbe Luigi Pirandello? Beh, forse sì: sistemato il Pupo pubblico e disattivata la Corda pazza di Bibi, Biden e Khamenei giocano una partita nascosta per trattenere la mano del David israeliano. E, con ogni probabilità, per ora ci riusciranno.
Aggiornato il 17 aprile 2024 alle ore 09:52