Nel novembre 2023, la Poet Laureate britannica Carol Ann Duffy ha scritto una poesia intitolata “We See You” che celebra il trionfo delle calciatrici. Il successo delle donne negli sport maschili tradizionali è certamente qualcosa da celebrare. Tuttavia, il compito di un Poet Laureate è sicuramente anche quello di delineare le profonde questioni contemporanee che interessano la nazione. La Duffy, una femminista impegnata, attivista sensibile alle tematiche di genere e sostenitrice degli oppressi, deve ancora affrontare la questione fondamentale del momento per il benessere delle donne: l’orribile e sistemica violenza di genere subita da ragazze e donne israeliane innocenti, molte delle quali violentate a morte, abusate, torturate, massacrate, con i loro organi sessuali mutilati o rimossi dal corpo dagli assassini di Hamas il 7 ottobre 2023. Forse la Duffy potrebbe ancora commentare quanto accaduto o scrivere una poesia toccante, o forse no.
La realtà è che per tutte le paladine del benessere delle donne, soprattutto in materia di violenza sessuale, la preoccupazione cruciale in questo momento dovrebbe essere il terrore perpetrato su donne indifese di tutte le età mediante atti di depravazione sessuale, torture e morte inflitti per mano di Hamas in Israele il 7 ottobre.
L’obbligo morale di chi ama la pace e di chi si batte per la sacralità della vita umana è quello di denunciare l’ingiustizia. Ciò è particolarmente vero nel caso dei crimini di violenza contro gli indifesi. È quindi giusto aspettarsi che i gruppi per i diritti delle donne parlino a nome delle donne traumatizzate di tutte le categorie etniche e religiose. Questo approccio è stato ratificato dal premio Nobel per la Pace Eli Wiesel nel suo discorso di accettazione del 1986: “Dobbiamo sempre schierarci. La neutralità aiuta l’oppressore, mai la vittima. Il silenzio incoraggia il carnefice, mai il torturato”.
L’arcivescovo Charles Chaput ha osservato che “tollerare un grave male in seno a una società è di per sé una forma di grave male”.
In linea di massima, i cittadini di molte nazioni sono indignati per la mancanza di una diffusa condanna delle atrocità inflitte intenzionalmente alle donne vulnerabili di tutte le età, dalle bambine alle anziane, da parte delle squadre di terroristi di Hamas il 7 ottobre. Particolarmente sconcertante è la scarsità di denunce da parte delle femministe occidentali postmoderne. A suo merito, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha immediatamente rilasciato una dichiarazione in cui affermava che la violenza di Hamas contro le donne israeliane andava “al di là di qualsiasi cosa io abbia mai visto”. In un’allusione indiretta al principio di Wiesel, Blinken si è chiesto “perché i Paesi, i leader e le organizzazioni internazionali siano stati così lenti a concentrarsi su questo aspetto”. Blinken, tuttavia, trascura l’ipotesi in base alla quale l’acquiescenza da parte dell’amministrazione Biden di interpretazioni identitarie di Sinistra e neomarxiste, in particolare quella del femminismo radicale, potrebbe essere un fattore pertinente.
Nel novembre 2023, è stato reso noto che il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne e le ragazze, Reem Alsalem, nonostante prove schiaccianti del contrario, ha affermato che le prove contro Hamas “‘non erano abbastanza solide’ da giustificare una dichiarazione”, al che il Commissario per le vittime di Londra, Claire Waxman, ha replicato: “Come possiamo parlare di eliminare la violenza contro donne e ragazze se diciamo tacitamente che è accettabile stuprare quelle ebree?”.
Questo è il nocciolo della questione, vale a dire l’ipocrisia diffusa, chiaramente derivante da un antisemitismo dilagante, che si interseca con l’antisionismo e con l’estremista ideologia gender femminista.
I seguenti esempi mostrano chiaramente il pregiudizio di alcuni gruppi di donne nei confronti delle vittime ebree e israeliane delle violenze sessuali derivanti dagli eventi del 7 ottobre:
1) Per due mesi dopo gli atti terroristici del 7 ottobre, i rappresentanti dell’Agenzia delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne si sono rifiutati di incontrare un gruppo di donne israeliane, nonostante gli slogan dell’Agenzia di essere “un campione globale per le donne e le ragazze” e a sostegno del “diritto delle donne a vivere senza violenza”.
2) Alla fine di novembre 2023, il gruppo per i diritti delle donne, Un Women, ha poi rilasciato una dichiarazione in cui criticava le “numerose testimonianze di atti di atrocità di genere e di violenza sessuale” perpetrati da Hamas il 7 ottobre. Tale nota è stata diffusa quasi otto lunghe settimane dopo le violenze e, senza dubbio, esclusivamente a causa delle pressioni esercitate dai gruppi per i diritti umani interessati. Una contestatrice di Un Women si è lamentata del silenzio da parte del gruppo in merito alla questione dicendo: “Sembra che abbiano dimenticato di combattere per tutte le donne e se non lo fanno, allora non stanno combattendo per nessuna”.
3) Il 20 novembre, Miriam Schler, direttrice di un centro di crisi di Tel Aviv, dichiara che i gruppi che si battono per i diritti delle donne rimangono in gran parte in silenzio e “si fanno in quattro per giustificare le atrocità e razionalizzare gli stupri”.
4) Samantha Pearson, direttrice del Centro per le Aggressioni Sessuali della University of Alberta “ha firmato una lettera aperta in cui nega che le donne siano state violentate dai terroristi di Hamas”. Successivamente è stata rimossa dal suo incarico.
5) Il gruppo britannico Sisters Uncut ha affermato che le accuse di violenza sessuale perpetrata contro le donne israeliane il 7 ottobre erano “islamofobiche ed erano una trasformazione razzista in arma della violenza sessuale”.
6) La Us National Women’s Studies Association, pur condannando la violenza di genere in guerra in generale, non ha menzionato le aggressioni sessuali contro le donne israeliane.
7) Come molte femministe di spicco, Pramila Jayapal, rappresentante degli Stati Uniti (D-WA) e sostenitrice dei diritti umani, “ha nascosto la sua condanna nei confronti dei terroristi di Hamas che violentano le donne israeliane” quando il 3 dicembre è stata intervistata dalla Cnn. La Jayapal si è rifiutata di censurare incondizionatamente le azioni di Hamas.
8) Un mese dopo il 7 ottobre, l’Onu ha celebrato a livello internazionale la Giornata per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne. In varie “conferenze, tavole rotonde ed eventi” non è stata pronunciata una sola “parola contro questi atti orribili che sono stati di recente commessi sul territorio israeliano, ed è una vera vergogna per loro”, ha affermato la signora Granot-Lubaton, una preoccupata manifestante a New York. Non è stata approvata alcuna risoluzione che condanni gli stupri di massa e le aggressioni sessuali contro le ragazze e le donne innocenti di Israele.
9) Nonostante una nota ampiamente diffusa il 13 ottobre 2023 da parte dei Medici per i Diritti Umani, in cui si legge di casi di stupro e torture di donne, giovani e anziane, perpetrati il 7 ottobre, le Nazioni Unite e i gruppi femministi di difesa dei diritti sono rimasti perlopiù in silenzio sulla questione.
10) Ai primi di dicembre 2023 e grazie all’insistenza di Israele, l’Onu ha convocato una sessione a New York per indagare sui crimini sessuali di Hamas. Incontrando una forte opposizione, l’ex Ceo di Facebook, Sheryl Sandberg, insieme alla senatrice democratica statunitense Kirsten Gillibrand, ha partecipato alla sessione. La Sandberg ha dichiarato: “Se non possiamo essere d’accordo sul fatto che lo stupro è sbagliato, allora abbiamo accettato l’inaccettabile”. La sua collega, la senatrice Gillibrand, ha detto di essere “quasi senza parole” nel vedere “quante organizzazioni per i diritti delle donne hanno deciso di rimanere in silenzio”.
11) È stato solo il 4 marzo scorso, circa cinque mesi dopo il 7 ottobre, che le Nazioni Unite hanno pubblicato un rapporto in cui riscontravano “informazioni chiare e convincenti sul fatto che sono state commesse violenze sessuali, tra cui stupri, torture sessualizzate, trattamenti crudeli, inumani e degradanti”. In modo prevedibile, in seguito alle interviste condotte nei territori palestinesi occupati della Cisgiordania, le Nazioni Unite hanno affermato che c’è stato un trattamento “crudele, disumano e degradante” da parte dell’Idf come “violenza sessuale sotto forma di perquisizioni corporali invasive e minacce di stupro”. Si ritiene che le accuse provengano dal feroce antisemita Richard Falk, teorico della cospirazione, attraverso la sua fondazione Euro-Med Monitor. Il relatore speciale dell’Onu, la giordana Reem Alsalem, sostiene che le accuse contro le forze israeliane sono “ragionevolmente credibili”, ma si rifiuta di divulgare la fonte. In realtà, nessun esempio credibile o provato di questo comportamento tenuto dalle forze israeliane a Gaza dal 7 ottobre è stato reso pubblico.
12) Nonostante il rapporto, il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres non ha convocato una riunione del Consiglio di Sicurezza per “dichiarare Hamas un gruppo terroristico e imporre sanzioni ai suoi sostenitori”. Il ministro degli Esteri Israel Katz ha risposto che Israele non ha sentito “una sola parola” da parte di Guterres sulla questione delle violenze sessuali perpetrate da Hamas.
13) Il 6 marzo scorso, l’ex consigliere del presidente Trump, Jared Kushner, ha rilevato l’ipocrisia delle femministe progressiste nei confronti degli ebrei e di Israele: “Quando le donne sono state brutalmente violentate il 7 ottobre, la maggior parte dei gruppi di donne liberal in America è rimasta in silenzio”. Kushner ha poi evidenziato l’irrazionalità e l’antisemitismo degli ideologi di genere, asserendo che “organizzazioni che lottano per i diritti Lgbt hanno condannato il Paese che consente la libertà e hanno marciato per un’organizzazione terroristica che punisce con la morte i gay”.
14) Il 27 novembre 2023, l’ex parlamentare italiana, Fiamma Nirenstein, ha ipotizzato che la causa principale del silenzio femminista, e dell’assenza di marce di protesta guidate dalle femministe, contro la violenza sessuale di Hamas, sia l’assoluto odio verso gli ebrei.
15) La posizione diabolica di Hamas nei confronti del terrorismo sessuale è stata ulteriormente confermata il 6 marzo scorso, quando il portavoce Osama Hamdan ha negato le aggressioni sessuali del 7 ottobre contro donne innocenti. “La donna che lo ha scritto dovrebbe essere licenziata”, ha dichiarato, per poi affermare che una di loro si era sottoposta a “un intervento di chirurgia estetica perché pensava di non essere abbastanza carina per essere aggredita sessualmente”.
Non c’è da stupirsi che i gruppi femministi radicali si ribellino alle critiche per la loro incapacità di condannare fermamente le aggressioni sessuali di Hamas. Un articolo pubblicato il 29 febbraio scorso su Portside Magazine da un gruppo anonimo ha proiettato la colpa su Israele: “L’attuale campagna di Israele per screditare le femministe, in particolare le femministe di colore, quelle arabe e quelle ebree e antisioniste, e per screditare chi muove critiche verso la sua offensiva letale contro i palestinesi è oltraggiosa e disonesta, ma non è una novità”.
Non hanno scritto una sola parola per condannare l’uso sistematico di stupri e mutilazioni da parte di Hamas come terrorismo.
Nella loro lotta per una presunta giustizia sociale, le femministe radicali contemporanee sembrano percepire questioni cruciali come la razza e il genere attraverso la lente della “teoria critica della razza“. In termini di etnicità, i socialrivoluzionari sostengono che la cultura occidentale sia sistematicamente prevenuta nei confronti delle minoranze. Tuttavia, le stesse femministe sono prevenute nei confronti degli ebrei. La tipica politica rivoluzionaria marxista stabilisce che la classe oppressa, i “lavoratori”, debba rovesciare i padroni, i “capitani d’industria” che li controllano. Per le femministe, gli stessi principi si applicano alle questioni di genere. Nella loro visione solipsistica, è necessaria una società resettata lungo linee presumibilmente più egualitarie, radicando così una forma bigotta di giustizia sociale.
La teoria marxista del dualismo di classe, fondamento della politica dell’identità, fornisce apparentemente ai suoi seguaci una base ideologica per considerare i palestinesi come una classe oppressa. Questa dottrina potrebbe spiegare la rumorosa marcia del 13 ottobre organizzata a Hebron dalle donne palestinesi, le quali spesso hanno fin troppo familiarità con i crimini catalogati come femminicidi, a sostegno degli attacchi di Hamas contro le donne israeliane. Queste femministe palestinesi forse si identificano con i miliziani di Hamas come liberatrici sociali, indipendentemente dal terrore perpetrato su donne innocenti nel processo, e forse comprendono il proprio ruolo nel conflitto come parte integrante della solidarietà tribale. Anche così, il loro Schadenfreude manifesto, ossia il piacere da loro provato per la violenza sessuale perpetrata su donne di fede diversa, è lì perché tutti lo possano vedere.
Allineandosi pubblicamente con i terroristi, queste donne palestinesi, forse sentendosi in obbligo nei confronti della propria società, continuano a crescere figli indottrinati quanto lo sono loro, modellando per le giovani generazioni un futuro di odio e violenza.
Erika Bachiochi, un avvocato, criticando il femminismo postmoderno, ha osservato che i “principi morali duraturi” che i precedenti movimenti femministi “utilizzavano per fare una critica ragionata”, non esistono più. Invece, a suo dire, gli obiettivi delle femministe contemporanee woke sono “privi di scopi nobili e, in definitiva, pericolosi”.
Anche lo storico Paul Johnson ha criticato in generale il primato dell’ideologia: “Dobbiamo soprattutto ricordare in ogni momento ciò che gli intellettuali abitualmente dimenticano: che le persone contano più dei concetti e devono venire prima. Il peggiore di tutti i dispotismi è la spietata tirannia delle idee”.
I primi movimenti di liberazione delle donne, precursori dell’attuale attivismo femminista, furono fondati per proclamare i diritti delle donne all’uguaglianza sociale. Il femminismo radicale, come espressione ristretta del movimento originario, fallisce in modo spettacolare nell’esemplificare i precetti morali ed etici della società. I suoi sostenitori sembrano dare priorità alle ideologie identitarie narcisistiche ed egocentriche rispetto alla santità, alla dignità e alla sicurezza ontologica della singola donna. Non sopportano alcune categorie di altre donne, specialmente quelle che non sono sostenitrici dell’ideologia di genere, come le donne che celebrano le differenze di genere; le donne che hanno un’alta opinione del nucleo familiare e del loro ruolo chiave nella sua promozione; le donne che comprendono che la civiltà è fondata sui ruoli cruciali di moglie, madre e famiglia; e le donne che celebrano la propria femminilità.
Trovando origini ideologiche all’interno del marxismo culturale, queste femministe sembrano favorire i perdenti della società, che è probabilmente il modo in cui vedono se stesse. Esaltano la vittoria sull’establishment oppressivo da parte di Hamas o di qualsiasi altro gruppo rivoluzionario. I movimenti rivoluzionari che si traducono in una riorganizzazione dei pregiudizi sistemici della cultura contro alcuni gruppi minoritari – ma non altri – e che sono presumibilmente essenziali per raggiungere l’uguaglianza e la giustizia sociale, devono, a loro avviso, essere glorificati.
L’ideologia femminista radicale è rivolta a tutte le società occidentali, e i precetti religiosi alla base dei valori della società rappresentano un obiettivo primario da sradicare. Ciò è particolarmente vero nei confronti del popolo ebraico, in quanto custode di valori fondamentali e promotore di una dipendenza dai fatti, una caratteristica che molti potrebbero trovare scomoda. Come in tutti i casi in cui si ricerca la fine degli ebrei e della loro patria ancestrale, la questione fondamentale riguarda la fede, la terra e le prove storiche. La rivendicazione esclusiva di legittimità da parte di tutti i movimenti rivoluzionari, che pretendono di agire nell’interesse dell’equità, della libertà e delle opportunità economiche, come nel caso della Russia di Lenin, della Cina di Mao, di Cuba di Castro o del Venezuela di Chavez e Maduro che impoveriscono il loro popolo, rende l’ebraismo un obiettivo cruciale.
Cos’altro si può dire a queste “liberatrici delle donne del mondo”, a queste attiviste per i diritti delle donne, a queste presunte oppositrici della violenza di genere, a queste vociferanti femministe presumibilmente alla ricerca della giustizia sociale, e autoproclamate sostenitrici della “sorellanza di tutte le donne” ma sì, “We see you” e il vostro silenzio sbalordiscono tutti coloro che hanno realmente a cuore la giustizia.
(*) Tratto dal Gatestone Institute – Traduzione a cura di Angelita La Spada
(**) Nella foto: una manifestazione di protesta fuori dal quartier generale delle Nazioni Unite, a New York, il 4 dicembre 2023, sotto lo slogan “#MeToo a meno che tu non sia ebrea”, per protestare contro il silenzio delle Nazioni Unite sulle violenze sessuali perpetrate dai terroristi di Hamas contro donne e ragazze israeliane (foto di Charly Triballeau/Afp via Getty Images)
Aggiornato il 10 aprile 2024 alle ore 09:31