Non possiamo dire con certezza chi siano i responsabili dell’attacco a Mosca. Tuttavia, è chiaro che, indipendentemente da chi abbia commesso la strage, il regime di Vladimir Putin strumentalizzerà l’attacco per accrescere la repressione in Russia e per intensificare l’aggressione contro l’Ucraina. Il 7 marzo l’ambasciata americana a Mosca aveva messo in guardia contro un possibile attentato ad opera di terroristi radicali islamici. L’intelligence americana aveva colto i segnali in rete attraverso i suoi canali d’informazione ed aveva condiviso questo allarme con i russi, ma il Cremlino non ha voluto crederci. Ora che l’attentato è stato compiuto ed è stato rivendicato dall’Isis-K, i russi anziché investigare sui propri errori cercano di manipolare i fatti e tentano di usarli per legittimare le loro scelte politiche e militari. Anne Applebaum, storica e giornalista esperta della Russia moderna, ha così commentato: “I russi non indagano, manipolano i fatti”. Aggiungendo: “L’Europa non si illuda! A Putin non interessano le nostre condoglianze”.
Chi fosse portato a credere che l’ondata di condanne internazionali contro l’attentato a Mosca possa in qualche modo facilitare una ripresa del dialogo tra il fronte occidentale e Putin si sbaglia. Una cosa è certa. È strano che i terroristi si siano mossi con tanta facilità in una regione che avrebbe dovuto essere “super controllata” da polizia e servizi di sicurezza, come Mosca. È davvero curioso che questo gruppo di uomini armati abbia potuto agire in questo modo. Ancora una volta la Russia dimostra di essere un gigante dai piedi di argilla. Da due anni, Mosca mira a conquistare l’Ucraina, ma – a quanto pare – non controlla a sufficienza il proprio territorio dalla minaccia del terrorismo, di Isis e degli altri estremisti islamici. Putin ha subito usato questo bagno di sangue per incolpare noi occidentali e attaccare l’Ucraina. È bene ribadire che non è interessato ad alcuna forma di dialogo con noi. Putin non cerca la nostra amicizia, non vuole il negoziato per raggiungere un compromesso e non vuole concessioni da parte nostra.
Lo abbiano ben chiaro coloro che continuano a invocare trattative per raggiungere una pace immediata. Suo obiettivo principale resta la distruzione dell’Ucraina indipendente e il suo asservimento a Mosca. Certo, alla fine ci sarà un negoziato. Ma ciò avverrà solo se Putin capirà che non può vincere e allora ritirerà le sue truppe. La pace arriverà solo quando la Russia abbandonerà i territori occupati e riporterà i suoi soldati a casa. L’idea ingenua per cui vi sarebbe un lato gentile e cordiale di Putin e che stia a noi coltivarlo è profondamente sbagliata. L’uomo forte che garantisce ordine e sicurezza al popolo russo, pagando lo scotto di rinunciare ad ogni forma di democrazia reale, ha dimostrato di essere anche un falso mito. È evidente che, in realtà, sia molto più debole di quanto non cerchi di dimostrare. L’orrore di Mosca ha ulteriormente rivelato, se ce ne fosse stato ancora bisogno, il terribile bluff di Vladimir Putin. Si è fatto beffare sotto il naso a pochi chilometri dal Cremlino in una carneficina raccapricciante.
Un fatto che non è in alcun modo conciliabile con la narrazione putiniana che dipinge una “vita russa” perfetta. La cruda realtà è quella di un Paese in cui gli apparati di polizia e di intelligence non sono in grado neanche di individuare e identificare, figurarsi controllare e prevenire, le cellule terroristiche di matrice islamica che hanno colpito venerdì il territorio della Federazione Russa. Il capo del Cremlino, una volta spalle al muro, ha prevedibilmente cercato di gettare le responsabilità, che avrebbero dovuto essere addebitate ai propri fallimentari servizi di sicurezza e intelligence, sui nemici giurati: gli ucraini in primis e l’Occidente generalmente inteso. Peccato che fossero stati proprio gli occidentali, nello specifico gli apparati di intelligence statunitensi, ad aver avvertito da settimane la Russia di segnali da non sottovalutare, anticipando possibili attentati di matrice islamica nel cuore del Paese. Come è poi avvenuto. Si sarebbe quindi portati a credere che l’attacco terroristico di venerdì notte al municipio Crocus, alla periferia di Mosca, in cui 137 cittadini russi sono morti ed altri 180 sono rimasti feriti, sia solo frutto dell’incapacità di Putin e del suo regime di garantire la sicurezza dei russi. Ma se così non fosse?
L’unica spiegazione alternativa plausibile sarebbe quella che Aleksander Litvinenko, ex agente dei servizi segreti russi e successivamente dissidente diede, nel 2002, degli attentati esplosivi occorsi in Russia tra l’agosto e il settembre del 1999 che fecero più di trecento vittime. Nel suo libro, dal titolo Blowing up Russia: Terror From Within, Litvinenko accusava gli agenti dell’Fsb di essere i veri responsabili della serie di attentati, ufficialmente attribuiti ai separatisti ceceni, allo scopo di giustificare la ripresa delle operazioni militari russe in Cecenia. In un suo libro successivo, “Gang from Lubyanka”, Litvinenko accusò Putin di esserne il mandante. Ovviamente queste accuse non caddero nel vuoto. Dopo quattro anni, Litvinenko venne assassinato. I giudici di Strasburgo hanno stabilito nel 2022 che gli esecutori materiali dell’omicidio di Litvinenko agirono “come agenti dello Stato russo”.
(*) Docente di Diritto internazionale e normative sulla sicurezza
Aggiornato il 26 marzo 2024 alle ore 09:47