Rafah: la “linea rossa” geopolitica?

Il gruppo sciita degli Houthi in Yemen ha assunto una visibilità planetaria sabotando la navigazione nel Mar Rosso e danneggiando alcune infrastrutture sottomarine nel tratto dello Stretto di Bāb el-Mandeb. Il gruppo sciita, coordinato strategicamente e armato – come Hamas, dall’Iran – sta operando al fine di ostacolare il traffico navale, sia commerciale che militare, nell’area dello Stretto, anche per destabilizzare ogni operazione tendente a dare qualsiasi tipo di continuità ai negoziati con Israele. 

La scorsa settimana, al fine di coordinare le azioni contro lo Stato di Israele, i capi dei ribelli Houthi yemeniti, il Fplp, Fronte popolare marxista-leninista per la liberazione della Palestina, i membri della cosiddetta jihad islamica e gruppi minori estremisti palestinesi, si sono incontrati per coordinare le azioni belliche contro lo Stato ebraico. Il vertice, i cui nomi dei partecipanti non sono stati resi noti, è stato incentrato sulle modalità di coordinamento delle azioni terroristiche contro Israele, anche in previsione di una nuova fase di attacco in funzione del programma israeliano di una incursione di terra a Rafah, città collocata all’estremo sud della Striscia di Gaza. Una fonte anonima degli Houthi ha affermato che l’incontro si è svolto a Beirut, che si è basato sulla strategia di creare nuovi fronti contro Israele e con il programma di accerchiamento dei suoi confini; notizia poi confermata giovedì dal capo degli Houthi, Abdel Malek al-Houthi.

Questi gruppi che generalmente si ritrovano nel “quadro estremistico/politico” denominato “asse della resistenza” – sostenuto dall’Iran e di cui fanno parte anche gli Hezbollah libanesi, le milizie irachene, e alcuni gruppi sciiti siriani – rappresenta i movimenti nemici di Israele e degli Stati Uniti – hanno definito la strategia di aggressione, demarcando il ruolo che dovrà assumere Ansar Allah, altro nome dato agli Houthi, insieme alle fazioni palestinesi. In particolare, nel caso di una offensiva di terra di Tel Aviv su Rafah, dove si conta almeno un milione e mezzo di palestinesi. Così come previsto, gli israeliani – nella notte tra lunedì e martedì – hanno sferrato una serie di “leggeri attacchi” sulla città di Rafah (un test in previsione di un attacco di terra), dove sono rimaste uccise oltre venti persone e ferite oltre una decina – i dati comunicati sono della massima incertezza – e a Jabalia, situata a nord di Gaza. Inoltre, lunedì 18 marzo il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense, Jake Sullivan, nel corso di una conferenza stampa, ha comunicato che nella notte tra il 9 e il 10 marzo è stato bombardato un bunker sotterraneo di Hamas, nel centro della Striscia di Gaza, dove erano presenti due alti leader dell’organizzazione, tra cui il cinquantanovenne Marwan Issa, numero tre di Hamas, che è stato eliminato. Issa ha rivestito anche il ruolo di vice di Mohammed Deif capo delle Brigate Ezzedin Al-Qassam, braccio armato del movimento islamista palestinese.

Durante la conferenza stampa il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense, Jake Sullivan, ha anche informato circa una possibile offensiva di terra da parte dell’esercito israeliano a Rafah. Ha ricordato, tuttavia, la pericolosità di una tale operazione, auspicando che Israele dovrebbe evitare tale intervento, che sarebbe devastante per la popolazione. Una importante manovra militare israeliana aperta al confine con l’Egitto, che “l’asse della resistenza” attende e che ha dato origine al vertice tra Hamas e gli Houthi. Ma il quasi certo attacco militare a Rafah, finalizzato ad estirpare i capi di Hamas che, come da prassi, utilizzano i civili come scudo, oltre che causare una ulteriore strage di disperati li rifugiati dalla Striscia di Gaza, aggraverebbe la già drammatica situazione umanitaria, estenderebbe il caos e l’anarchia a Gaza. E porterebbe Israele a un ulteriore isolamento sulla scena internazionale. Il dato chiaro è che a oggi sia per strategia, sia per una posizione di difesa politica, Israele non ha comunicato come, in caso di attacco a Rafah, evacuerà i civili o come provvederà al loro sostentamento e alla loro protezione. Ma Hamas, ovviamente, ha previsto questa tragica evenienza, oltre al tributo che i palestinesi sfollati a Rafah e i suoi cittadini dovranno pagare.

L’uccisione di Marwan Issa è stato sicuramente un successo per Israele; gradualmente alcuni leader del movimento islamico palestinese vengono eliminati, ma resta il fatto che la soppressione di un capo terroristico ha come effetti anche l’uccisione di civili. Il conflitto è comunque in espansione e la crescente potenzialità offensiva degli Houthi, con l’adozione di nuove strategie da adottare in cooperazione sia con Hamas che con vari gruppi estremisti palestinesi, rappresenta una escalation della crisi. Sullo sfondo, così, troviamo un orizzonte prevedibilmente dai tratti minacciosi, dove i tempi di risoluzione del conflitto assumono “spazi temporali” difficilmente definibili.

Aggiornato il 21 marzo 2024 alle ore 09:43