Si è conclusa l’era del bazooka. La Bank of Japan ha deciso dio chiudere la stagione dei tassi di interesse. Si tratta del primo passo importante verso la normalizzazione della politica monetaria ultra-accomodante. Lo yen ha perso quota nei confronti delle principali valute mentre la Borsa di Tokyo ha chiuso in rialzo dello 0,66 per cento. Il Giappone era in modalità bazooka da molti anni. Di fronte allo spettro della deflazione con cui ha dovuto fare i conti fin dagli anni Novanta, la Bank of Japan (BoJ) ha dato il massimo dal 2013, nell’ambito della politica di stimolo XXL “Abenomics” dell’allora premier Shinzo Abe aumentando a dismisura gli acquisti di asset, in particolare di titoli di Stato giapponesi, inondando i mercati di liquidità.
Con questo “bazooka monetario”, la BoJ sperava di raggiungere rapidamente l’ideale di un’inflazione stabile al 2 per cento. Ma ciò non era sufficiente, e quindi nel 2016 la BoJ ha introdotto un tasso negativo a breve termine fino a -0,1 per cento: le banche private dovevano pagare una parte dei loro depositi presso la BoJ, per incoraggiarle a concedere più prestiti. Sempre nel 2016, la BoJ ha introdotto un altro strumento ancora più anticonvenzionale, anch’esso abbandonato ufficialmente: il “controllo delle curve”. Con questo strumento la banca centrale nipponica si prefigge come obiettivo quello di controllare il livello dei rendimenti lungo un tratto più ampio della curva, dichiarando – per semplificare – di essere disposta ad acquistare qualsiasi quantità di titoli obbligazionari con una determinata scadenza ad un prezzo target. Così facendo il prezzo target della banca centrale diventa presto il prezzo di mercato, ed il rendimento scivola ai livelli voluti. L’applicazione di tassi di interesse bassissimi a lungo termine ha avuto l’effetto di far crescere facilmente il debito, a partire da quello pubblico: il Giappone è il Paese più indebitato al mondo in rapporto al Pil: 255 per cento nel 2023, secondo il Fondo monetario internazionale.
Il credito gratuito può aver portato a “una mancanza di disciplina di bilancio e a un’allocazione inefficiente delle risorse, mantenendo in vita aziende non vitali. La pandemia di Covid-19 ha aggravato il fenomeno. Nel biennio 2022/23, 251mila aziende private giapponesi, ovvero una su sei, erano – secondo uno studio dell’istituto Teikoku Databank – “aziende zombie”. Vale a dire, aziende mature ma incapaci di pagare gli interessi sul debito per almeno tre anni di fila. Il controllo dei rendimenti obbligazionari ha portato anche a distorsioni del mercato, con la BoJ che ha finito per detenere più della metà di tutti i titoli di Stato giapponesi in circolazione.
Aggiornato il 19 marzo 2024 alle ore 16:51