Sono passati più di cinque mesi dall’inizio della risposta israeliana ai massacri perpetrati da Hamas il 7 ottobre. Ora la striscia di terra palestinese è in gran parte inabitabile in quanto rasa quasi completamente al suolo e priva di ogni servizio, acqua ed elettricità. Tuttavia sembra che tali servizi siano ancora funzionanti in quella colossale struttura architettonica composta dalle estesissime gallerie e numerosi bunker ancora agibili sotto Gaza. Una guerra quella tra Israele ed Hamas che si sta protraendo forse oltre il previsto, anche per l’articolazione che ha assunto nel quadro di un conflitto ad ampio raggio, dove l’anacronistico Governo degli Ayatollah gioca, forse, le ultime sue carte su un palcoscenico che comprende anche la guerra in Ucraina. Ma la questione che occupa ogni tipo di negoziato tra le diplomazie arabe e i vari interlocutori, più o meno ufficiali, anche occidentali, è quella della liberazione degli ostaggi israeliani ancora detenuti da Hamas; ma soprattutto avere notizie certe sul loro stato di salute e quanti sono ancora vivi. A tal proposito martedì scorso è stata confermata la morte di Itay Hen, un militare diciannovenne con doppia nazionalità israeliana e statunitense, ucciso il 7 ottobre durante l’attacco di Hamas contro Israele. Il suo cadavere è ancora in mano ai miliziani di Hamas.
Per ora i colloqui tra Israele e Hamas, sul rilascio di decine di ostaggi israeliani, sono in fase di stallo; e questa realtà affonda nella disperazione dei familiari, i cui sentimenti, pragmaticamente, fanno lottare la speranza con la ragione. Gli ultimi confronti sono incentrati sulle condizioni per il rilascio di circa venti prigionieri palestinesi condannati per gravi atti di terrorismo, che dovrebbero essere scambiati con alcune soldatesse israeliane rapite il 7 ottobre. Inoltre i negoziati sono indirizzati su accordi che prevederebbero il rilascio, da parte di Israele, di centinaia di criminali palestinesi, con una proporzione di uno israeliano e dieci palestinesi. Il tutto dovrebbe realizzarsi nel quadro di una fase di cessate il fuoco. Questi negoziati svolti prima in Qatar, poi in Egitto, e da sabato tornati a Doha, si auspicava che sarebbero stati facilitati dall’inizio del Ramadan, il 10 marzo (fine 9 aprile), ma negli ultimi giorni Hamas non ha dato segni di adesione alle ipotesi di accordi proposti, avanzando richieste che Israele ha rigettato categoricamente. Va comunque considerato che la delegazione israeliana non ha partecipato alle sessioni di incontri al Cairo proprio a causa delle nuove richieste di Hamas. La diplomazia israeliana ha comunicato che gli ampi margini di accordo stabiliti nella prima fase dei negoziati, sono stati per Hamas l’alibi per alzare il livello delle richieste.
La questione degli ostaggi è stata trattata anche dal ministro degli esteri del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani, durante un incontro programmato a Washington con il Segretario di Stato Antony Blinken; dal colloquio sono emerse preoccupazioni strategiche comuni. Entrambi, con un comunicato ufficiale, hanno ribadito l’importanza di cercare di ottenere il rilascio degli ostaggi e una qualche forma di cessate il fuoco. Tuttavia John Kirby, dal 2024 portavoce e consigliere per le comunicazioni per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, ha affermato, la settimana scorsa, che gli Stati Uniti sono delusi dal fatto che non sia stato raggiunto un accordo a causa della poca affidabilità dei rappresentanti di Hamas. Insomma tutto l’impegno delle varie diplomazie pare sia incentrato su convincere i delegati di Hamas ad accettare anche un minimo barlume di accordo con Israele.
Ma la questione degli ostaggi, è l’ondivago atteggiamento di Hamas, può rivelare scenari che volutamente il gruppo estremista palestinese tende ad occultare. Perché Hamas, oltre valutare gli ostaggi israeliani merce di scambio, è così reticente nel dare comunicazione dei nominativi dei vivi e delle loro condizioni? Israele chiede ripetutamente ad Hamas di fornire l’elenco dettagliato degli ostaggi ancora in vita; ma il movimento terroristico palestinese ha replicato di non poter confermare chi tra gli ostaggi fosse ancora vivo o morto. Inoltre il loro numero è molto incerto, è sicuro, invece, che stanno subendo da cinque mesi violenze di ogni genere. L’inviato speciale delle Nazioni Unite, Pramila Patten (nella foto), che indaga sulle violenze sessuali nei conflitti, ha comunicato che molte donne e bambini in ostaggio di Hamas sono stati sottoposti a stupri e torture sessuali. Si sospetta che tali abusi sono tuttora in atto. La Patten ha inoltre affermato di non essere riuscita ad incontrare i sopravvissuti alle violenze sessuali conclamate durante gli attacchi del 7 ottobre.
Tuttavia, il team delle Nazioni Unite è stato in grado di intervistare gli ostaggi rilasciati e parlare con numerosi testimoni, oltre visionare una grande quantità di filmati e immagini. Questi resoconti degli ostaggi rilasciati hanno dato informazioni chiare e inequivocabili sulle “torture sessualizzate”, sulle violenze sessuali, sugli stupri, e sulla grande crudeltà esercitata contro molte donne e bambini. In conclusione quali possono essere gli “effetti connessi” a tali drammatiche esperienze? Senza dubbio i traumi psicologici, molto noti, che martorizzeranno le vittime per anni se non per sempre; ma un altro effetto “sostanzialmente parallelo” e drammaticamente probabile, è che queste ragazze possano essere rimaste in stato di gravidanza. Cinque mesi sono passati, e se ciò si è verificato, oltre al trauma, la ragazza ebrea porterebbe in grembo, oltre che il segno dell’atroce violenza, il frutto di un seme palestinese-musulmano. Con tutti i ragionamenti ed analisi che ne conseguono sui quali, al momento, non intendo indugiare.
Aggiornato il 18 marzo 2024 alle ore 14:41