Immaginare che in Africa ci possa essere una pace globalizzata o si possa operare esternamente per questo fine, rasenta o l’utopia patologica o l’ipocrisia cronica. I conflitti, più o meno noti oppure diversamente importanti, tratteggiano il comune vivere del popolo africano che, anche se diviso da perimetri statali generalmente impropriamente disegnati, vive su base etnica. Così, le frontiere hanno creato nuove identità nazionali, ormai intoccabili e garanti di prospettive di pace anche se complesse, dal percorso tortuoso e ricco di insidie. Tra le innumerevoli ostilità, che interessano quasi totalmente il Continente, per i più articolati motivi, il Ruanda, da quasi trenta anni (il genocidio divampato nell’aprile 1994) sta sconfinando nell’est della Repubblica democratica del Congo – Rdc – inviando truppe, saccheggiando le sue ricchezze, causando il drammatico esodo della popolazione. Il Ruanda è uno Stato che sembra sostenere apertamente le azioni terroristiche dei ribelli del Movimento 23 Marzo (M23), al fine di destabilizzare la Rdc. Tutto ciò violerebbe il diritto internazionale e le norme che regolano i rapporti tra gli Stati.
Recentemente, il Dipartimento di Stato Usa ha chiesto il ritiro delle truppe ruandesi presenti nella Rdc, ma tale richiesta si infrange contro le ambizioni del presidente ruandese Paul Kagame, che comunque ostinatamente nega di avere una presenza militare nella parte orientale della Rdc. Ricordo che, attualmente, le Forze armate della Repubblica democratica del Congo (Fardc) non sono in grado di respingere gli attacchi dei miliziani in quota M23. Infatti, in trent’anni di incursioni ruandesi, la Rdc non ha avuto forze sufficienti per garantire l’intera fascia di sicurezza su questa parte della nazione. È noto che l’esercito ruandese è ottimamente equipaggiato. Inoltre, il vicesegretario generale delle Nazioni Unite, Amina Jane Mohammed, ha affermato che l’M23 dispone di armi più sofisticate di quelle della Monusco, Missione dell’organizzazione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo, cioè i caschi blu schierati nel Paese.
Soffermarsi solo su uno scontro tra esaltazioni ruandesi e sofferenze congolesi, potrebbe fuorviare le attenzioni su altri aspetti della “questione”, dove le interferenze internazionali pesano gravemente. Intanto, in questa tragedia umanitaria, che martoria la popolazione al confine tra Ruanda e Rdc, e che annovera dal 1994, tra morti nei combattimenti, genocidi e alcuni milioni di vittime, conseguenti catastrofiche carestie, scaturisce un accordo tra l’Unione europea e il Ruanda sullo sfruttamento delle materie prime strategiche. Oltre, secondo fonti congolesi, accordi di cooperazione in ambito militare e di sicurezza. Azioni ritenute ostili dal Governo di Kinshasa, che afferma come l’Ue sia complice del saccheggio delle risorse congolesi e dell’aggressione del Ruanda contro il Paese. Così, la Rdc è al centro di una guerra geostrategica, una eredità del periodo della “Globalizzazione neoliberale americana unipolare” (inizio 1989), acronimo Guan. Un confronto che vede schierati i massimi poteri planetari. Da una parte, i Windsor che inglobano Regno Unito, Commonwealth, Belgio, Portogallo, Bulgaria e Germania; i Rothschild e Rockefeller, rappresentanti di Israele e Usa, che operano attraverso gli Stati Uniti. E dall’altra la coalizione pro-Rdc: la Cina, sostenuta dai Paesi Brics, oggi indubbiamente il gruppo più potente economicamente a livello mondiale e dalle Fardc, Forze armate congolesi, appoggiate da Burundi, Tanzania e Sud Africa, membro Brics. Quindi, non solo controllo e sfruttamento delle risorse congolesi usurpate dal Ruanda, ma la vigilanza delle nuove Vie della Seta in Africa, soprattutto il corridoio strategico che va dal porto di Dar Es Salaam in Tanzania, attraversa la Repubblica democratica del Congo nella regione di Kivu, prosegue lungo la ricca regione del Katanga, in Congo e Tanganica. Questo tracciato rappresenta la crescente importanza del Continente in scambi economici globali.
Eppure, in tale contesto i cittadini congolesi dell’Est sono le prime vittime di questo dramma iniziato nel 1994. Una insicurezza cronica causata dallo scontro con quella che viene vista come la coalizione filo-ruandese, Guan (Usa/Nato, Ruanda, Uganda, M23). Ma in questo pantano africano, le sempre latenti criticità interetniche tra Tutsi e Hutu, create ad hoc dai colonialisti belgi, sembrano un alibi per interferire e sfruttare le risorse della regione. La lotta geopolitica che si sta radicalizzando nell’est della Repubblica democratica del Congo vede coinvolti interessi tali da comprendere, come scritto, le dinastie più potenti del pianeta – Rockefeller, Windsor, Rothschild – delineando uno scenario con attrattive internazionali. Secondo la polizia congolese, molte armi prodotte dal Regno Unito – e destinate al conflitto in Ucraina – sarebbero state rinvenute a Bunagana, al confine tra la Rdc e l’Uganda, ora in uso alle milizie ruandesi. Da considerare, infine, il ruolo della Russia, altro attore di primo piano in Africa, che affiancata alla Cina sta monopolizzando qualsiasi decisone da applicare nella maggior parte delle aree strategiche del Continente africano.
Aggiornato il 08 marzo 2024 alle ore 09:50