Una occasione per attenuare il ricatto egiziano nell’attraversamento del Canale di Suez
Non voglio assolutamente accampare dei meriti ma sono stato uno dei primi nel denunciare il grave rischio che correva la portualità dell’intero bacino del Mediterraneo con gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso. Ricorderete che nei primi giorni le varie preoccupazioni sollevate da alcuni porti italiani parlavano solo di un numero limitato di società pronte ad abbandonare l’attraversamento del Canale di Suez, oggi leggiamo che in un solo mese è crollato il numero di transiti del 40 per cento. Ma per essere più ricco di dati riporto quanto dichiarato da Freightos, cioè da una società che gestisce una piattaforma di prenotazione e pagamento per il trasporto merci internazionale, in Europa per ogni container si arriva a pagare prezzi compresi tra 5mila e 8mila dollari sulle rotte provenienti dall’Asia, cioè prezzi 3-4 volte superiori rispetto alla norma soprattutto per questa stagione dell’anno. In particolare in un analisi pubblicata il 3 gennaio la società rivela che da metà dicembre i noli tra Asia e Nord Europa sono saliti del 173 per cento mentre sulle rotte per il Mediterraneo si è arrivati a soglie di aumento de 108 per cento. Tra l’altro è utile ricordare che i rinnovi dei contratti di trasporto marittimo si negoziano nel mese di marzo e sicuramente tale impennata condizionerà tutta la contrattualistica.
A questi dati, davvero preoccupanti, penso sia utile aggiungere anche quelli raccolti e riportati su diversi organi di informazione della Clarksons Research, società leader nella fornitura di dati su tutti gli aspetti della spedizione e del commercio, che intanto denuncia quale sia stato il numero di navi che è transitato attraverso Suez nel 2023 rispetto al 2022; in particolare nel 2023 sono transitate 25.886 navi pari ad una crescita del 10,5 per cento rispetto al 2022 però se si guarda il mese di dicembre 2023 si nota che sono transitate 2.089 navi un valore questo inferiore di circa il 3,5 per cento rispetto al dato dello stesso mese del 2022. Infine non posso non aggiungere un ulteriore dato: tra il 28 dicembre ed il primo gennaio di questo anno il totale dei passaggi giornalieri nel canale ha registrato un calo del 38 per cento rispetto alla media della prima metà del mese di dicembre 2023, in particolare transiti in direzione Nord -45 per cento, transiti in direzione Sud -31 per cento.
Nasce spontaneo chiedersi quale sia l’alternativa a tale itinerario; ebbene via mare la alternativa è la rotta attraverso il Capo di Buona Speranza e questa alternativa, cioè la circumnavigazione dell’Africa, allunga il percorso delle navi provenienti dall’Asia di 9 giorni; cioè l’intero tragitto passa da 31 a 40 giorni. Voglio concludere ricordando che Suez rappresenta quasi il 30 per cento del commercio mondiale delle merci per cui l’aumento dei costi di trasporto inciderà in modo davvero preoccupante sul costo del trasportato. Questa triste elencazione di dati preoccupa perché:
1) Destabilizza l’economia di un intero Paese: l’Egitto trova il suo sostentamento per oltre il 50 per cento nei proventi del transito delle navi attraverso il Canale. Nel 2022 i ricavi del Canale di Suez hanno raggiunto la cifra record di 9,4 miliardi di dollari con un aumento del 34,7 per cento rispetto all’anno precedente e si stima che il 2023 il valore superi i 10,5 miliardi di dollari.
2) Il periplo dell’Africa comporta, come detto in precedenza, rilevanti costi aggiuntivi che automaticamente renderanno possibile un aumento di nuovo della inflazione.
3) Il ritardo sia nell’accesso ai mercati delle merci provenienti dal sistema asiatico ed indiano, sia della consegna finale nei vari siti terminali produce danni che difficilmente apprezziamo ma che incidono in modo rilevante addirittura nel complesso iter produttivo.
4) L’incidenza di un simile cambiamento sulle supply chain, cioè su quel processo che comincia con le materie prime, continua con la realizzazione del prodotto finito e la sua gestione di magazzino e termina con la fornitura del prodotto finale al cliente, crea seri problemi nel controllo e nella gestione dell’intero processo logistico.
5) Una volta cambiato l’intero itinerario ed identificata, ad esempio, una alternativa al periplo dell’Africa attraverso la scelta di un corridoio terrestre entrando nel porto di Bassora e seguendo il corridoio Bassora – Bagdad – Mosul – Ankara – Sofia – Bucarest – Centro Europa, difficilmente si tornerà ad utilizzare con i livelli attuali Suez.
Senza dubbio preoccupa forse più degli altri punti proprio l’ultimo, quello in cui si fa presente che la scoperta di una alternativa terrestre possa diventare una soluzione definitiva. In realtà nel 2003 quando, come già ricordato poche settimane fa, insieme al professor Giuseppe Moesch coordinammo i lavori del Piano dei Trasporti irakeno avemmo, dall’allora Governo provvisorio irakeno, la richiesta di realizzare un corridoio plurimodale (sia stradale che ferroviario) Bassora – Bagdad – Mosul che attraverso la Turchia raggiungesse il “Corridoio 10” delle Reti Ten-T e attraversa la Bulgaria e la Romania entrasse nel centro d’Europa. Questa richiesta nasceva dal fatto che gli irakeni erano convinti da sempre, ed avevano ragione, che il vasto territorio yemenita conteneva al suo interno organizzazioni pronte a destabilizzare l’intero sistema di accesso al Canale di Suez. Questo progetto nel 2011 fu addirittura condiviso da un Consorzio di grandi imprese di costruzione italiane e fu sottoposto formalmente al Governo irakeno con il supporto del nostro Ministero degli Esteri. Il confronto e gli approfondimenti durarono quasi un anno e poi, per una serie di motivi, rimase solo una interessante proposta.
Sicuramente la ipotesi pianificatoria avanzata nel 2003, cioè venti anni fa, testimonia non solo la lungimiranza programmatica ma anche la volontà di scegliere uno scenario di lungo periodo. Tra l’altro questa alternativa non offre solo una grande occasione a Paesi come la Turchia, la Bulgaria e la Romania ma assicura anche un rilancio dei porti del Mar Nero, un rilancio anche alla luce della iniziativa portata avanti da Erdogan con la realizzazione di un canale parallelo al Bosforo. Onestamente questa visione strategica di ampio respiro non l’avevamo capito ed avevamo immaginato che una simile scelta era legata essenzialmente a garantire un corridoio sicuro; in realtà sia l’Iraq che la Turchia avevano capito sin dal 2003 che il costo del transito imposto dall’Egitto alle navi provenienti dall’area asiatica era comparabile ad un vero “dazio”, ad una vera “gabella” e che prima o poi, indipendentemente dalle emergenze belliche e terroristiche, sarebbe stato quasi obbligato identificare una alternativa terrestre. Una nave portarinfuse di circa 33mila tonnellate di stazza lorda paga per il transito del canale circa 300-400mila dollari (ed in alcuni casi anche 600mila dollari) e questa immotivata crescita e questa esplosione sistematica delle tariffe trovava e trova nella soluzione terrestre una ottima occasione per ridefinire e ridimensionare in modo rilevante i costi del transito attraverso Suez.
Penso che questa emergenza dovrà essere oggetto non solo del dibattito, che spero cominci finalmente, sulla riforma della nostra offerta portuale, ma anche su quanto il nuovo Parlamento europeo dovrà fare per evitare una folle esplosione dei costi sia della logistica che dei vari prodotti. Ritengo tuttavia che, indipendentemente dagli attacchi degli Houthi, il Canale di Suez nel suo ruolo storico di arteria portante dei flussi di accesso al bacino del Mediterraneo, dovrà essere affrontato anche nel prossimo Festival Euromediterraneo di Napoli perché la sua funzionalità e le sue imposizioni tariffarie determinano la crescita o la decrescita della nostra portualità, della portualità dell’Unione europea e, soprattutto, della portualità del nostro Mezzogiorno.
(*) Tratto da Le Stanze di Ercole
Aggiornato il 28 febbraio 2024 alle ore 11:16