La morte di Aleksej Navalny in detenzione (oltre il Circolo polare artico) pone problemi non solo come quelli discussi (e agitati) in questi giorni, sul tasso di democrazia del regime putiniano, sui diritti umani in Russia, sul ruolo (e lo status) dell’opposizione in un regime democratico (più o meno), ma, ancor di più sulla convenienza di chi ha il potere di uccidere (o procurare la morte) a un avversario politico. Due esempi (tra i tanti offerti dalla storia) vengono in mente: l’assassinio dopo un processo-farsa (al fine di contentare i legalitari un tanto al chilo) del duca d’Enghien da parte di Napoleone. Il quale fu accusato di avere commesso un crimine (accusa non infondata). A tale proposito fu attribuito a Fouché (ministro di polizia di Napoleone) di aver così commentato la vicenda “è peggio di un delitto, e un’idiozia”. Giudizio esatto: la morte del duca non arrecava alcun beneficio alla Francia e a Napoleone. Invece sia per le circostanze del fatto (il duca era stato rapito dai francesi nel territorio di un altro Stato, era stato giudicato da un Tribunale ad hoc) che, e ancor più, per senso e conseguenza politica dell’azione (la quale allargava il divario di Napoleone con i legittimisti) generava gravi inconvenienti.
L’altro esempio è quello del trattamento praticato da Winston Churchill al Mahatma Gandhi durante la Seconda guerra mondiale. Nel 1942, a seguito dell’intervento giapponese, l’India era invasa. I giapponesi conquistarono gran parte della Birmania (oggi il Myanmar). Il partito del congresso lanciò una (energica) campagna per l’indipendenza indiana (Quit India) seguita da una sanguinosa repressione inglese. I leader del partito del Congresso, Gandhi compreso, furono arrestati. L’accortezza politica di Churchill, tuttavia, fece sì che Gandhi fosse recluso nel palazzo dell’Aga Khan a Pune, con moglie al seguito. Però il Mahatma aveva deciso di praticare lo sciopero della fame; dato che era un vecchietto macilento c’era un alto rischio che morisse prigioniero degli inglesi.
Il premier britannico ordinò ai medici che assistevano Gandhi di alimentarlo anche a sua insaputa. Il tutto per evitare che la morte del leader indiano aggravasse la già difficile situazione politica e militare. Putin non sembra aver preso esempio da tali vicende: aver fatto condannare Navalny, averlo recluso oltre il circolo polare artico (e non nel palazzo dell’Aga Khan) e quant’altro ha finito per provocare (o almeno agevolare) la morte dell’oppositore. Con “ritorno” politico a favore dei nemici della Russia, proprio quando la vicenda della guerra in corso, e il ridotto (forse) appoggio dell’Occidente dell’Ucraina, fa intravedere una soluzione – o almeno una fase discendente del conflitto. Un risultato controproducente: proprio quello che un politico prudente deve evitare.
Aggiornato il 23 febbraio 2024 alle ore 14:39