Il Senegal non è un Paese africano qualsiasi. Nel panorama geopolitico del Continente rappresenta una delle massime stabilità politiche; la sua capitale, Dakar, accoglie uno dei due centri di ricerca scientifica più all’avanguardia dell’Africa, il Pasteur (l’atro centro è in Sudafrica). L’affidabilità del Paese ha permesso eccellenti e fruttuosi rapporti internazionali, anche con la onnipresente Cina, che hanno dato allo Stato africano strumenti e infrastrutture efficienti, proiettate verso un futuro tecnologicamente avanzato. Tuttavia, qualche insidiosa crepa nella struttura economica c’è, tanto che la Cina da tempo ha contratto la sua politica di investimenti a causa di mancati “rientri”. Comunque, politicamente, la sua stabilità non era messa in discussione, fino a quando il suo presidente, Macky Sall, sabato 3 febbraio è apparso sugli schermi, con “mimica inquieta”, annunciando di avere abrogato il decreto di convocazione del corpo elettorale stabilito per il 25 febbraio. Da quel momento, il Senegal è piombato in una delle crisi politiche più gravi degli ultimi decenni. L’Assemblea nazionale ha votato per rinviare la scadenza elettorale al 15 dicembre, dopo aver espulso i deputati dell’opposizione, come Karim Wade, personaggio controverso e impresentabile. L’Assemblea ha poi deliberato di mantenere Sall al potere fino all’insediamento del suo successore, in teoria quindi fino all’inizio del 2025.
L’annuncio del rinvio delle Presidenziali ha gettato il Paese sulla strada dell’incertezza. A poco è valsa la motivazione di rimandare il confronto elettorale al fine di poter svolgere elezioni “libere, trasparenti e inclusive”. Una scelta, quella del rinvio delle elezioni, fatta a solo tre settimane dalla data, ed è da ritenersi eccezionale in un Paese noto per le sue prassi democratiche; ciò ha fatto gridare al colpo di Stato costituzionale. Ma quali sono le motivazioni di tale rinvio? Sall ha ammiccato ad accuse di corruzione rivolte al Consiglio costituzionale, mentre l’opposizione sospetta che i sostenitori dell’area presidenziale prendano tempo perché certi della sconfitta del suo candidato, il primo ministro Amadou Ba, designato da Macky Sall come successore. Ma esiste anche un’altra possibilità che vede Sall volersi ricandidare; il capo dello Stato è stato eletto nel 2012 e nuovamente nel 2019. Il suo mandato è ufficialmente scaduto il 2 aprile ma resta il sospetto che non abbia nessuna intenzione di lasciare il “trono”. Tuttavia, Sall sostiene che il rinvio delle elezioni presidenziali è causato dalle pesanti polemiche innescate dal processo di convalida dei candidati, aggiungendo di volere elezioni indiscutibili, temendo nuovi scoppi di violenza, cercando di trovare una pacificazione e una riconciliazione con il resto della classe politica. Ricordo che nel 2021 decine di persone sono state uccise e centinaia sono state arrestate, come gli oppositori Bassirou Diomaye Faye e Ousmane Sonko, ancora detenuti. A seguito delle proteste del giugno 2023, il candidato alla presidenza, l’antagonista anti-sistema Ousmane Sonko, è stato tratto agli arresti. Alcuni media locali hanno ipotizzato che un dialogo con l’opposizione, con scopo pacificatorio, possa portare a una amnistia generalizzata.
Comunque, la crisi è sì grave, ma meno se si contestualizza nella regione dove i golpe sono la consuetudine. Tuttavia, questa crisi fa paventare nuovi casi di violenza anche a causa della vaghezza mantenuta da Sall sulla sua eventuale candidatura per un terzo mandato. L’opposizione ha inteso questo rinvio elettorale come un tentativo di colpo di Stato istituzionale, che ha portato a una serie di manifestazioni nella capitale Dakar. Le proteste sono feroci, la risposta delle autorità alle recenti mobilitazioni ha rappresentato un pesante uso della forza: arresti indiscriminati, violenze su numerosi giornalisti, interruzione canali internet e di alcune tivù indipendenti. Questa ostentazione di un potere autoritario ha anche destato critiche e preoccupazioni tra i principali partner internazionali del Senegal che hanno auspicato, anche in modo palese, un ripensamento sul rinvio del calendario elettorale. Ma ormai è troppo tardi. Questa vicenda, forse, preannuncia anche in Senegal un crollo “democratico” senza precedenti? Dal 1960, data della indipendenza del Paese dalla Francia, lo Stato africano ha rappresentato un’eccezione e un simbolo nell’Africa occidentale. Dagli anni Sessanta non vi è mai stato nessun golpe militare e nessuna elezione è stata rinviata. Tuttavia, martedì 13 febbraio le autorità governative senegalesi hanno vietato lo svolgimento di un grande marcia organizzata dalla società civile a Dakar. Ma si sa che il fascino del colpo di Stato è forte, soprattutto in Africa occidentale. E che non risulterebbe anomalo, in un contesto dove gli avvicendamenti al potere governativo avvengono normalmente tramite il sistema golpe, se anche il Senegal si dovesse adeguare alle “consuetudini locali”.
Aggiornato il 19 febbraio 2024 alle ore 09:21