L’Ordine mondiale, oggi agonizzante, è il frutto del “marchio occidentalocentrico” nato da quei conflitti che vengono definiti “Guerre mondiali”, ma meglio sarebbe chiamarle “guerre intercontinentali”. Oltre il coinvolgimento di ventotto nazioni, nella Grande guerra, il fattore determinate a livello geopolitico fu il dissolvimento di quattro imperi, quello zarista, germanico, austro-ungarico e Ottomano, che tratteggiarono una nuova riorganizzazione del potere nell’emisfero Boreale. Le intermedie dittature, tra la Prima e seconda guerra mondiale, furono delle necessità sociologiche piuttosto che degli incidenti sociologici. Gli attori della Seconda guerra mondiale, segnarono senza dubbio un allargamento geografico del conflitto, anche se un cospicuo numero di nazioni non direttamente coinvolte sul campo di battaglia europeo, si rappresentavano con bandiere e cobelligeranze soft: invio piccoli contingenti, approvvigionamenti e posizioni politiche che, in caso di vittoria, avrebbero risolto interessi nazionali. Comunque da questi due eventi nacque quel nuovo riassetto mondiale che oggi mostra evidenti crepe nella sua struttura.
Così alla luce di quanto oggi sta accadendo possiamo, con maggiore consapevolezza, valutare quanto i conflitti in atto stiano riparametrando il potere globale. Oggi una molteplicità di macro e micro conflitti delineano questa parte della storia; limitandoci a Russia-Ucraina e Israele-Hamas, possiamo vedere coinvolti, con modalità, ufficialmente e banalmente indirette, i Paesi Nato (attualmente 31), una parte del mondo arabo e una parte dei Paesi Brics, che già da soli sarebbero di valore mondiale, considerando anche “l’antipodica” Corea del Nord del solfureo ed egocentrico Kim Jong-Un. Quindi un ordine mondiale a impronta occidentale che si sta sfaldando sotto il peso dell’innovativo e affascinante ordine mondiale Brics, a “impronta planetaria”? Come immaginare ora un ordine mondiale non basato su una visione comunque egocentrica, da qualsiasi aggregazioni di stati espressa? La formula che sta adottando il Brics sembra che non si basi sul voler fare uscire dalle rotaie le strutture esistenti di governance globale, ma piuttosto nell’esercitare un influenza globale per riequilibrare il sistema. Già vediamo che solo l’impatto creato dall’esistenza del Brics, e dalla sua crescente fascinazione che esercita sul Pianeta, con allargamenti vari, sta creando uno shock. Questo “trauma geostrategico” che sta colpendo l’Occidente, è favorito anche dalla constatazione di una reale cooperazione tra i Paesi più ricchi del Pianeta, piuttosto che dalla loro espansione o dal loro colossale potere economico.
Una osservazione va fatta sul ruolo della Cina e della Russia, membri fondatori del Brics, che anche se apparentemente potrebbero rappresentare una “agenda” anti-Usa e anti-G7, non sembra possano avere obiettivi divisivi. Occorre considerare infatti l’aspetto della domanda dell’equazione, “Cina, Russia-anti-Usa, G7”, cioè: perché così tanti Paesi sono desiderosi di associarsi ai Brics? I Paesi in via di sviluppo, anche se bisognerebbe riflettere cosa vuol dire “via di sviluppo” in alcune aree geografiche, non si ritengono vittime passive della multi-crisi; infatti proprio in questo “gruppo” sperano di trovare la sponda per riprendere il controllo sul proprio destino e magari essere semplici artefici della direzione che prenderà l’ordine mondiale a impronta Brics. Insomma questi Paesi, in questa mega area pluriarticolata, possono trovare le arene in cui poter giocare il futuro. Un esempio significativo è stato quanto accaduto all’Onu, marzo 2022, dove molti di questi Paesi si sono astenuti dal voto sulle sanzioni contro la Russia per la sua invasione dell’Ucraina.
Quando il 24 agosto 2023 a Johannesburg si è svolto il vertice Brics, dove ricordo erano presenti oltre sessanta leader dei maggiori Paesi in via di sviluppo, il presidente sudafricano Matamela Cyril Ramaphosa, che ha presieduto il vertice, ha messo al centro dell’incontro il tema delle riforme, dello sviluppo sostenibile, ma soprattutto del multilateralismo. Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva a nome del gruppo, dopo avere dichiarato che dal primo gennaio 2024 sarebbero entrati i colossi del petrolio, Etiopia, Egitto, Iran, Argentina e Arabia Saudita (Argentina non entrata, Arabia Saudita in fase di riflessione, Emirati Arabi Uniti entrati), ha condiviso un rapporto che ha tracciato senza ambiguità il percorso: rifiuto assoluto di ogni forma di neocolonialismo verde che impone barriere commerciali e politiche protezionistiche con il pretesto di proteggere l’ambiente. Lula ha anche affermato che l’agenda dei Brics vuole riformare l’ordine economico globale portando le proposte in seno al G20 (2024 presieduto dal Brasile). Ma quale arma possono adottare i Paesi in via di sviluppo per essere artefici del proprio destino? Sicuramente minacciando di lasciare gli organismi multilaterali dominanti per unirsi a organizzazioni influenzate dalla Cina, come la Shanghai Cooperation Organisation, dove è entrata anche Teheran a luglio; o appoggiarsi ai Brics innescando accordi bilaterali che garantiscono accessi a fondi monetari, ma anche a materie prime. La minaccia di uno spostamento di “fronte di potere”, o di abbandonare le organizzazioni esistenti, è senza dubbio un arma negoziale forte.
Ricordo che gli Stati del Brics non vogliono sostituire le strutture multilaterali come la Banca mondiale o il Fondo monetario internazionale, come sancito negli accordi bilaterali, ma la banca Brics, la Nuova banca per lo sviluppo (New Development Bank), dall’inizio della sua attività ha prestato quasi trentaquattro miliardi di dollari e che la Cina, attraverso le proprie banche di sviluppo, ha concesso quasi mezzo miliardo di dollari ai Paesi in via di sviluppo. “Concorrenza etica” alla Banca mondiale? Molti Paesi aspiranti Brics stanno già adottando questo sistema negoziale per ottenere prestiti; infatti utilizzano le loro relazioni con il nuovo blocco, come mezzo di pressione per raggiungere i propri interessi e obiettivi con l’Occidente. Insomma il Brics oggi a 9 membri, e almeno il quaranta per cento della popolazione mondiale, più una ventina di “Stati bussanti”, ed è l’immagine e la controparte con cui l’Occidente deve fare i conti; un Nuovo ordine Brics con caratteristiche globalizzanti e mondiali, che magari non creerà nuove spettacolari e costose istituzioni, ma che plasmerà cooperazioni più significative nel quadro di un potente multilateralismo.
Aggiornato il 13 febbraio 2024 alle ore 09:13