Nel conflitto tra Israele ed Hamas alcune peculiarità tratteggiano le differenze con i precedenti scontri che ricadono nella “Questione israelo-palestinese”. Uno dei fattori da considerare è che l’Iran rappresenta la madrina della rete delle milizie coinvolte in questo conflitto sempre più tentacolare. Infatti, anche se questi scontri e attacchi non sempre danno l’idea di avere alle spalle un coordinamento, le azioni delle milizie contraddistinguono gli eventi in tutta la regione. Il dato certo è che questa guerra ha già abbondantemente superato gli argini della stretta Striscia di Gaza; i missili solcano i cieli sopra lo stretto di Bab al-Mandab, come quelli del Mar Rosso; il confine israelo-libanese è un fronte: qui da oltre tre mesi i terroristi di Hezbollah quotidianamente si confrontano con l’esercito israeliano, l’Idf. Senza dimenticare il bacino mesopotamico dove le milizie irachene, note come “mobilitazione popolare”, prendono di mira le basi statunitensi presenti in Siria – meno di mille militari – e in Iraq (quasi duemilacinquecento soldati). Ieri è stata attaccata, con i droni, una base Usa in Giordania (uno dei Paesi arabi più equilibrato), confinate con la Siria, dove sono stati uccisi tre soldati statunitensi; l’Iran ha smentito ma i droni erano del modello fornito dal Paese alla rete dei miliziani che combattono nella regione, Houthi compresi. Anche il Mediterraneo orientale è un’area in fibrillazione da tempo. Quindi il conflitto si è internazionalizzato, anche alla luce delle posizioni assunte da molti Stati arabi e non, che ormai palesemente hanno scelto il “lato” in cui stare.
A oggi l’unica “consolazione” di cui possiamo nutrirci è che il “virus della guerra” israelo-palestinese è rappresentato solo da milizie sponsorizzate e finanziate dall’Iran, non da Forze armate regolari di espressione nazionale. Quindi, il supporto militare ad Hamas, che ricordo rappresenta il ramo islamico del movimento nazionale palestinese, è composto da combattenti/terroristi, formato cioè da un collettivo di milizie arabe addestrato e mantenuto da Teheran, chiamato “l’asse della resistenza”. Nel frattempo, i Paesi arabi si adoperano a elaborare sbilanciati e precoci piani di pace che, sistematicamente, Israele respinge. Tuttavia, nonostante il frangente estremamente delicato, quei Paesi arabi che intrattengono relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico, tramite gli Accordi di Abramo e quelli precedenti, con un equilibrismo raffinato e cauto non hanno interrotto tali “legami”, ma mostrano, altresì, solidarietà con i palestinesi di Gaza. Indubbiamente gli attori, non i registi, di questo palcoscenico mediorientale di guerra sono i miliziani coordinati e pagati dall’Iran, non le strutture statali.
Il Governo degli Ayatollah sta tessendo una ragnatela di milizie che anche all’ombra dello sciismo cercano di dare una “caratterizzazione islamica” al proprio ruolo; in particolare l’armata yemenita degli Houthi – sciiti – ha l’obiettivo di rafforzare la propria statura in un ambiente arabo, sunnita, ostile. Gli Houthi controllano il nord dello Yemen: sono riusciti, per ora, a sabotare, anche se non totalmente, il traffico nel Mar Rosso; missili cruise e droni tattici sono le armi che Teheran fornisce a questi gruppi che combattono dal 2014 una guerra civile con gli yemeniti sunniti vicini a Riad. La risposta di Stati Uniti e del Regno Unito è ora completata dagli accordi di pattugliamento di altre nazioni europee.
La peculiarità di queste parcellizzate milizie è che, anche se non appartengono a un esercito regolare di uno Stato, sono equipaggiate al pari di eserciti nazionali: hanno missili di ogni genere, compresi quelli balistici, radar, droni armati e sofisticati che creano impegno per la loro intercettazione. Molti di questi armamenti vengono assemblati in strutture proprie, come ha fatto e fa Hamas; i terroristi sono addestrati per il loro funzionamento e i “tecnici” più preparati migrano da un’area di guerriglia all’altra, per portare il loro know-how dove si accendono gli scontri. Inoltre, queste milizie vestono divise conformi al caso, attrezzate e corredate di ogni strumento idoneo alla battaglia. Insomma, una figura molto diversa da quella delineata fino a poco tempo fa, quando questa tipologia di terrorismo banditesco era rappresentato da personaggi abbigliati con vestiti tradizionali, magari malconci, armati di Kalashnikov usati, che sparavano su sparute carovane di “nemici” in ambienti aridi e rocciosi.
La Repubblica Islamica dell’Iran fin dalla sua nascita – 1979 – ha professato la sua stretta vicinanza alla causa palestinese; Teheran ha sempre sbandierato solidarietà e finanziato i gruppi estremisti palestinesi per creare un complesso di elementi atti a un futuro attacco a Israele. La grande struttura architettonica dei tunnel sotto Gaza è uno di questi finanziamenti. Questa predisposizione verso le posizioni palestinesi non è solo per convinzione, ma anche per attrarre le attenzioni del mondo arabo sunnita, con l’obiettivo di porre lo sciismo in una posizione egocentrica nel mondo islamico. Tuttavia, oggi, gli Ayatollah non possono permettersi di avere uno scontro diretto né con Israele, né con gli Stati Uniti, che condurrebbe il Paese verso un baratro dove perderebbero il già vacillante potere all’interno di una società esausta. Intanto, continuano la loro missione anti-occidentale e anti-Israele, facendo proliferare queste milizie apparentemente senza uno Stato, ma alle quali Teheran fa con arroganza da madrina.
Aggiornato il 30 gennaio 2024 alle ore 09:17