Cannoniere avanti tutta: ritorno a Trafalgar

Le recenti cronache militari ci dicono che siamo tornati a un’epoca non dissimile da quella di Trafalgar, in cui occorre prepararsi ad affrontare uno scontro navale tra grandi potenze. Varrà la pena di proporre di seguito alcuni esempi concreti per capire come stanno le cose. Se fino a non molto tempo fa i vascelli della Guardia costiera erano di dimensioni modeste, oggi, come accade nel caso della nave italiana Francesco Morosini, hanno le dimensioni di una fregata degli anni Novanta e ospitano a bordo sistemi missilistici e armamenti pesanti. Idem per la prossima generazione di cacciatorpediniere americani, che imbarcheranno nelle loro stive il 30 per cento in più delle loro attuali dotazioni missilistiche. E non c’è nulla di meglio dell’upgrading della flotta sottomarina occidentale per tenere a bada avversari molto più numerosi, potendo colpire a distanza di sicurezza di centinaia di chilometri le coste nemiche e le loro infrastrutture portuali.

Ad esempio, oltre a spiare le mosse e a intercettare le comunicazioni delle squadre navali rivali, gli U-Boot americani della classe Ohio hanno un ruolo strategico, essendo in grado di trasportare 154 Cruise, il che equivale come carico al 26 per cento in più di quanto oggi possa fare una grande nave da guerra. E non per nulla, al fine di rafforzare la sua presenza all’interno dell’alleanza militare Aukus (Patto di sicurezza trilaterale anti-Pechino tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti), l’Australia ha investito centinaia di miliardi di dollari in tre decenni per l’acquisto in leasing di sommergibili nucleari americani e per costruirne di nuovi, in partenariato con l’Inghilterra.

E sarà proprio la classe Aukus di nuovi sottomarini ad avere supermoderni sistemi di lancio verticali (Vls) e una più elevata dotazione di missili avanzati rispetto a quella attuale. Importanza strategica rivestirà poi nell’immediato futuro il ricorso alla misura del blocco navale, vitale per il controllo del Mar Meridionale di Cina, dato che rappresenta la prima mossa che farà Pechino in una guerra per la riconquista di Taiwan. Più a lungo durerà il blocco da parte del People’s Liberation Army Navy (Plan), maggiori saranno le probabilità di una capitolazione di Taipei. Infatti, se la Cina avesse il controllo totale delle acque internazionali che circondano Taiwan, potrebbe di conseguenza imporre a tutte le navi commerciali, che transitino nello Stretto e siano dirette sull’isola, l’approdo forzato in un porto cinese per l’ispezione del carico, danneggiando così il commercio mondiale (compreso il suo, per evidente ritorsione!). Ora, si immagini che cosa potrebbe accadere se il Plan aprisse il fuoco, a seguito di un intervento in difesa di Taiwan da parte dell’Aukus e degli altri alleati americani della regione, con centinaia di navi da guerra alleate intenzionate a violare il blocco navale cinese: si andrebbe o no verso una Terza guerra mondiale? O il tutto resterebbe confinato a una conta alla Trafalgar a chi avrà affondato più tonnellaggio nemico? Sì, forse questo potrebbe essere lo scenario più probabile, visto che nessuno dei due contendenti si sognerebbe di mettere mano al nucleare tattico. Ma, nel frattempo, la prima ad andare a picco sarebbe proprio la globalizzazione dei commerci mondiali!

Altro aspetto fondamentale, nel caso il Plan volesse evitare lo scontro diretto: quanto tempo sarebbe necessario alle squadre alleate per bonificare i campi di mine (comprese quelle “intelligenti” che si riposizionano autonomamente grazie alla Ai) che i cinesi avrebbero nel frattempo stesso tutto intorno alla costa taiwanese? E proprio il rischio delle mine potrebbe far salire alle stelle i costi di assicurazione per le navi commerciali e per il reclutamento del personale navigante, di cui occorre mettere in conto il rischio di venire affondati, con perdite elevate per gli equipaggi. Ma garantire la riapertura delle vie d’acqua a Est di Taiwan, anche nel caso di vittoria alleata, non sarà una cosa facile, considerato che i porti della costa Est dell’isola sono circondati da montagne piuttosto alte e collegati da stradine tortuose, che passano attraverso tunnel particolarmente vulnerabili agli attacchi missilistici cinesi. Avendo infatti la Cina l’assoluta superiorità aerea, non sarà possibile rifornire l’isola assediata con ponti aerei, e l’America sarebbe costretta a trasportare via mare ogni giorno, e verosimilmente per mesi, centinaia di tonnellate di merci verso le aree portuali a Est, più facili da proteggere.

Unica consolazione per l’Occidente è rappresentata dal fatto che, parimenti a Taiwan (dipendente in assoluto dalle vie d’acqua per le sue importazioni energetiche e agricole), anche la Cina avrebbe tutto da temere da un contro-blocco alleato nei confronti dei porti cinesi (Fuzhou, Quanzhou, Xiamen) che affacciano sullo Stretto, con attacchi a danno delle sue navi commerciali e la collocazione di mine lungo le sue coste, così come ha fatto la Russia contro l’Ucraina, senza chiedere il permesso a nessuno e tantomeno all’Onu. Certo, una mossa così esplicita che violi il territorio cinese potrebbe elevare significativamente il rischio di un conflitto nucleare tra le due grandi potenze. Ma in questo caso, ad avere tutto da perdere sarebbe proprio il regime di Xi Jinping, perché la Cina non sarebbe più in grado di riprendersi economicamente con la fine della globalizzazione. Tuttavia, mettere in piedi un imponente blocco navale comporterà per il Celeste impero un’emorragia di risorse da stornare per molti mesi agli impieghi civili, mettendo così a rischio il trono di Xi. Sicché, prevarrà il saggio detto “It’s the Economy, stupid!” o basterà il timore di una sconfitta militare a trattenere il Plan sulla soglia di casa sua?

Aggiornato il 25 gennaio 2024 alle ore 09:52