La comprensione della storia dei Paesi dell’ex blocco sovietico è fondamentale per analizzare e monitorare le problematiche separatiste che caratterizzano molte realtà che furono inglobate nell’Unione Sovietica. Quella del separatismo è stata una problematica importante anche in Azerbaigian. In un’escalation di tensione, negli anni Novanta con numerosi azerbaigiani residenti nella regione azerbaigiana del Karabakh che furono costretti ad abbandonare le proprie case.
La data del 20 gennaio è particolarmente importante nel processo che ha portato all’indipendenza l’Azerbaigian e assume un significato particolare oggi che il Paese, con le misure di antiterrorismo del settembre scorso, ha riconquistato la sua integrità territoriale. Sul valore di questa data è intervenuto per L’Opinione Rashad Aslanov, Ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia.
“Dal 1987, alcuni Paesi dell’ex Unione sovietica, in lotta per l’indipendenza, hanno subito problemi di separatismo. Lo stesso è avvenuto anche in Azerbaigian, con la regione del Karabakh. L’Armenia ha cercato di trarre vantaggio da queste circostanze, intensificando il suo obiettivo espansionista. In risposta alla politica discriminatoria della leadership dell’Urss contro il popolo azerbaigiano, alla deportazione di centinaia di migliaia di azerbaigiani dalle loro terre storiche nel territorio dell’attuale Armenia e alle infondate rivendicazioni territoriali dell’Armenia contro il Karabakh, il popolo azerbaigiano si espresse pacificamente radunandosi in massa a Baku, in Piazza Indipendenza. L’esercito sovietico fu introdotto nel Paese per reprimere con la forza le proteste di massa e il movimento di liberazione nazionale avviato dal popolo azerbaigiano. Nella notte tra il 19 e il 20 gennaio, infatti, sotto le dirette istruzioni di Mikhail Gorbaciov, allora segretario generale del Comitato centrale del Partito comunista dell’Unione Sovietica, unità militari dei ministeri della Difesa e degli Interni e del Comitato per la Sicurezza dello Stato dell’Urss entrarono a Baku e nei suoi dintorni, massacrando la popolazione civile. Morirono 131 civili. Questa ingerenza militare ha provocato il ferimento di 744 persone e l’arresto di altre 400. Tutto avveniva con una crudeltà senza precedenti: si trattava categoricamente di un atto che voleva essere un segnale per tutte le altre repubbliche, che facevano parte dell’Urss. Per l’organizzazione Human Rights Watch, la violenza usata dall’esercito sovietico contro gli azerbaigiani nella notte tra il 19 gennaio e la mattina presto del 20 gennaio è stata una punizione collettiva. Immediatamente dopo la tragedia, il 21 gennaio 1990, il leader nazionale dell’Azerbaigian, Heydar Aliyev, insieme alla sua famiglia, visitò l’ufficio di rappresentanza permanente dell’Azerbaigian a Mosca. Ha espresso la sua solidarietà al suo popolo, ha condannato duramente la leadership sovietica per aver commesso la sanguinosa tragedia e ha smascherato coloro che hanno guidato l’operazione. Questa azione sanguinosa è stata considerata un’aggressione militare e un crimine commesso dal regime totalitario comunista, sia per soffocare il movimento di liberazione nazionale in Azerbaigian, sia per spezzare la fede e la volontà del popolo. Il 20 gennaio 1990, gli azerbaigiani che sacrificarono la loro vita e furono vittime di questo massacro, in nome della tutela degli interessi nazionali, hanno scritto una nuova pagina nella cronaca eroica del nostro popolo. Questo è un evento storico nel ripristino dell’indipendenza statale dell’Azerbaigian ed è stato un punto di svolta. Dopo questa tragedia, il movimento di liberazione nazionale è diventato una realtà politica e le persone sono state guidate a vedere il proprio futuro verso un’unica strada, quella di considerarsi un Paese indipendente. Il traguardo dell’indipendenza arriverà finalmente il 18 ottobre dell’anno successivo ‒ nel 1991 ‒ e questo episodio sanguinoso, ricordato come “Gennaio nero”, sarà un evento chiave che produrrà un effetto a catena, che si svilupperà poi in tutte le repubbliche che facevano parte dell’Urss. Oggi i martiri dell’indipendenza riposano nel Parco di Dagustu (situato nel punto più alto della città), a loro, ogni 20 gennaio, rendiamo omaggio”.
Aggiornato il 19 gennaio 2024 alle ore 12:26