Se dopo il rovesciamento della dittatura monarchica in Iran, l’11 febbraio 1979, il nuovo Regime khomeinista avviò la sua politica interna bastonando le ragazze che partecipavano l’8 marzo alle celebrazioni della Giornata internazionale della donna, in politica estera occupò, il 4 novembre, l’ambasciata americana a Teheran prendendo in ostaggio 52 diplomatici americani per 444 giorni. Eravamo solo all’inizio, correva ancora l’anno 1979. Subentrata alla dittatura dello sciah, la nuova dittatura che aveva islamizzato la rivoluzione iraniana per la democrazia fece di tutto per farsi attaccare dall’Iraq. Grazie a questa guerra, iniziata il 22 settembre 1980, il nuovo Regime poté massacrare decine di migliaia di dissidenti per instaurare in Iran una stabilità interna, mai realmente ottenuta.
La teocrazia al potere in Iran non è figlia dei nostri tempi e non avrà mai stabilità o futuro. Nell’ottobre 1983 il Regime khomeinista sponsorizzò un duplice attentato dinamitardo, per mano di Hezbollah, a Beirut alle basi – francese e americana – della forza multinazionale, che costò 241 morti tra i marine statunitensi e 56 morti tra i paracadutisti francesi. Questo per rimarcare il ruolo della politica estera del Regime islamico che si era insediato nella terra dell’Iran. Ronald Reagan definì quell’attentato “odioso”, ma a metà degli anni Ottanta scoppiò lo scandalo del traffico illegale di armi tra l’Iran e l’amministrazione del Presidente. L’elenco delle esibizioni del Regime iraniano nella politica estera è lungo e senza soluzione di continuità, ed è anche chiaro il suo legame con la politica interna. Nell’estate del 1988, quando furono prosciugate le risorse umane ed economiche dell’Iran, il Regime khomeinista dovette accettare, suo malgrado, il cessate il fuoco con l’Iraq. Per sedare eventuali rivolte della popolazione in protesta per quella inutile e disastrosa guerra e applicare la soluzione finale contro i dissidenti, il Regime decise di impiccare 33.700 prigionieri politici, che stavano scontando in carcere le loro pene. Con questo eccidio, il Regime volle congelare i germi della rivolta ed incutere il terrore nella società; perché, sia chiaro, il nemico principale della dittatura teocratica era allora e rimane tuttora il popolo iraniano.
Il Regime dei mullà non è figlio dei nostri tempi ed oggi più che mai è in forte e irrisolvibile contrasto con la popolazione iraniana, in un Paese erede di una civiltà millenaria. La popolazione è incompatibile con il Regime e non potrà mai sopportare un presidente della Repubblica con la licenza elementare, che da giudice improvvisato condannò a morte per impiccagione migliaia dei dissidenti. Ebrahim Raisi fu membro della “delegazione della morte” che nel 1988 spedì migliaia di prigionieri politici nel braccio della morte. Una Corte d’appello svedese ha confermato, il 19 dicembre di quest’anno, l’ergastolo a Hamid Nouri, ex funzionario della sicurezza iraniana di basso rango, per quelle esecuzioni di massa.
Ora gli iraniani chiedono di processare lo stesso Raisi e soprattutto il leader spirituale del Regime, Ali Khamenei. I cittadini non sopportano questo Regime da decenni e la repressione, forte e inaudita, non può più bastare. Ecco perché l’Iran ha bisogno di creare caos e guerra fuori dai suoi confini per sopravvivere. Lo farà finché esisterà. Le ingerenze della teocrazia iraniana in altri Paesi dell’area non sono dettate da espansionismo imperialista, ma intendono scaricare la pressione dello scontento popolare dovuta all’inaccettabile gestione del potere del Regime fatto di incapacità, corruzione e repressione.
Il Regime crea, forma e sponsorizza i gruppi terroristici in Medio Oriente e dovunque può arrivare, in Iraq, Siria, Libano e nello Yemen, per la propria sopravvivenza. Tramite questi proxy colpisce le basi americane, gli impianti petroliferi in Arabia Saudita, alimenta conflitti dove può. In quattro decenni, il Regime iraniano ha macchiato la terra di ogni Paese europeo col sangue dei dissidenti. È arrivato perfino in Argentina, il 18 luglio 1994, con l’attentato all’Associazione mutualità israelita argentina (Amia), causando 85 morti e oltre 300 feriti. Per questa strage l’attuale ministro degli Interni del Regime iraniano è sotto un mandato internazionale di cattura. L’Occidente spesso ha rivolto lo sguardo dall’altra parte, di fronte alle scorribande di questi barbari usciti dal paleolitico.
Dopo la crisi israelo-palestinese del 2021, sotto la diretta supervisione di Khamenei, il capo della Forza Qods Esmail Qaàni ha instaurato un nuovo rapporto con il capo di Hamas Ismail Haniyeh, acconsentendo alle sue richieste. Mentre proseguivano i rapporti intensi e già esistenti con la Jihad islamica di Ziad Najaleh. Ali Khamenei inviava a entrambi i leader di Hamas e Jihad Islamica messaggi che incitavano a continuare ed intensificare la loro resistenza, cosicché con “l’aiuto di Dio” avrebbero ottenuto la vittoria e purificato la Terra santa dalle “sozzure degli usurpatori”. Inoltre il capo della Forza Qods chiedeva alvertice di Hamas di essere informato sulle loro necessità per garantire direttamente la prosecuzione degli aiuti e compensare le carenze.
Anche il Governo di Raisi ha tenuto sempre un rapporto continuo con Hamas, e Amir-Abdollahian, ministro degli Esteri del Regime, ha incontrato in Libano Osama Hamdan, il responsabile degli Affari esteri di Hamas, e in due viaggi in Qatar, ha incontrato Ismail Haniyeh. L’Iran, per finanziare il realizzare dei tunnel a Gaza e la fornitura di materiali per gli armamenti, ha aumentato gli aiuti economici ad Hamas. Lo stesso Ismail Haniyeh in un’intervista tivù ad Al-Jazeera, il 2 gennaio 2022, ha confermato questi aiuti da parte del Regime iraniano. Con la donazione di 70 milioni di dollari il Regime dei mullà ha creato le condizioni affinché Hamas progettasse e realizzasse la strategia da sorprendere Israele. Insomma l’attacco del 7 ottobre è stato organizzato per anni. Non è pertanto difficile individuare di chi siano le mani che tirano i fili da dietro al palco, sono quelle dello Stato islamico di Teheran. Si dice addirittura che l’idea di questa guerra a Gaza fosse di Qhassem Soleimani, eliminato, Il 3 gennaio 2020, da un attacco mirato all’aeroporto di Baghdad, per ordine di Donald Trump, allora presidente degli Stati Uniti.
La teocrazia di Teheran, in continua guerra con la sua gente, saprà vivere senza le sue ingerenze che seminano morte in tutto il Medio Oriente? Il Regime iraniano, sotto il colpevole silenzio dell’Occidente, ha sulla coscienza centinaia di migliaia di morti mussulmani, sunniti e sciiti, in Iran, Iraq, Siria, Yemen, Libano e ora drammaticamente a Gaza. Il Regime chiama queste ingerenze, “profondità strategica”, che gli servono per sedare la rivolta iraniana. Dall’inizio della guerra a Gaza, il 7 ottobre, il Regime ha impiccato oltre 250 persone e solo nel mese di novembre almeno 172. Il macabro numero di esecuzioni in Iran, quest’anno, è già di oltre 825 vittime, mentre nel 2022 erano 582, e nel 2021 erano 333. Il corpo penzolante nel vuoto della sposa bambina, Samira Sabzian, sta lì a ricordare il vuoto che la politica di accondiscendenza verso la teocrazia di Teheran ha creato attorno ai valori e ai diritti umani calpestati in Iran. Un vuoto che sa di beneplacito al Regime di massacrare gli iraniani ed incitare gli Huthi dello Yemen ad attaccare le navi mercantili nel Mar Rosso, nonostante l’annuncio – per ora solo annuncio – degli Usa di una nuova forza di protezione marittima.
Con il Regime teocratico iraniano, testa di serpente dell’instabilità e dell’integralismo islamico, non solo il Medio Oriente ma nessun’altra parte del mondo avrà pace. Con ogni evidenza la fonte dell’acuirsi dell’attuale crisi mediorientale e la guerra a Gaza risiede a Teheran. In altre parole, per instaurare la pace e stabilità in Medio Oriente, il rovesciamento del Regime iraniano è un prerequisito. Era l’8 febbraio 1985 quando Massuod Rajavi, leader della Resistenza iraniana scampato nel 1972 alla fucilazione dello sciah di Persia – grazie alla campagna internazionale messa in atto dal fratello maggiore, docente universitario in Svizzera – diceva queste testuali parole: “La pace e la vita dipendono dallo schiacciamento della testa del serpente del Velayat-e Faghih, la dittatura religiosa a Teheran”.
Per sostenere questo, Massuod aveva formato una coalizione democratica intenzionata a schiacciare la testa del serpente, il Consiglio nazionale della Resistenza iraniana, e l’anno dopo aveva formato l’Esercito di liberazione nazionale di patrioti iraniani alla frontiera Iran-Iraq. Anche oggi le Unità di resistenza, ideate da Massuod, tolgono il fiato al Regime. Ora la locuzione “testa del serpente” è di dominio pubblico. Non credo che chi l’ha usata per la prima volta pretenda il diritto d’autore, è un generoso. Usarla con onestà intellettuale è consigliato.
Aggiornato il 22 dicembre 2023 alle ore 11:43