Medusa 2024: l’annus horribilis

Come si chiuderà il 2023 e che cosa accadrà nel 2024? Di certo, continuerà a rafforzarsi la tendenza a ribaltare i rapporti di forza che hanno caratterizzato il periodo aureo e il dominio assoluto della Pax americana, che va dal 1945 al 10 settembre 2001. Un periodo quest’ultimo caratterizzato dalla vittoria occidentale nella Guerra fredda, e dall’effimera presunzione della “fine della storia”. Qui in Occidente, cioè, ci si era illusi sulla definitiva affermazione, in secula seculorum, della nostra “dittatura democratica”, fondata sul rispetto del diritto internazionale e dei “principi universali” di illuministica memoria. L’invasione russa dell’Ucraina dell’inverno 2022 ci ha obbligato ad attraversare il Gate del ritorno al passato, facendo così scivolare il mondo molto all’indietro, ai tempi del mattatoio delle trincee della Prima guerra mondiale 1914-18. In precedenza, l’11 settembre ci aveva aperto le porte dell’inferno jihadista, la cui onda lunga non si è minimamente ridimensionata dopo la morte di Osama Bin Laden e la sconfitta militare dell’Isis. L’odio antioccidentale non ha fatto altro che aumentare da allora, per arrivare fino ai giorni nostri, dapprima con la penetrazione africana nel Sahel dello Stato islamico e, due mesi fa, con il riaccendersi del conflitto israelo-palestinese, che ha causato un numero di vittime civili (soprattutto palestinesi) mai registrato prima. Non solo: la stanchezza dell’aiuto occidentale all’Ucraina e la chiamata alle urne di miliardi di persone nel 2024 sono eventi destinati a terremotare, definitivamente, il quadro delle alleanze e degli interessi geopolitici di questo XXI secolo, che si annuncia “breve” come quello drammatico che l’ha preceduto.

E, a questo ballo dei neoimperialismi rinascenti, si segnalano come partecipanti straordinari l’anomalo trio Cina, Russia e Iran, una sorta di cubo geopolitico di Rubik. Tanto per dire, tra i tre Pechino è quello che, avendo un avanzo commerciale di 400 miliardi di euro nei confronti della Ue e di 650 verso gli Usa, non potrebbe mai sopprimere la sua gallina dalle uova d’oro, solo per far contenti gli altri due acerrimi nemici dell’Occidente. Però al contempo Xi Jinping acquista a prezzi di favore enormi quantitativi di petrolio dall’uno e dall’altro e, come l’Iran, non applica le sanzioni alla Russia e si astiene sull’Ucraina, mentre tutti e tre assieme non condannano Hamas. Ma, a loro volta, Mosca e Teheran sono come insetti imprigionati nella tela del ragno mandarino, ritrovandosi ad accentuare la loro dipendenza tecnologica dalla Cina e a “yuanizzare” i loro scambi commerciali, pur di creare un circuito alternativo alla dollarizzazione dell’economia mondiale. Mentre l’Iran esporta i suoi droni in Russia, quest’ultima collabora con la Cina per la messa a punto di un sistema di allerta nucleare e per il pattugliamento congiunto nel Pacifico, in modo da testare i limiti delle possibili forme di cooperazione all’interno della loro inedita Triade. Onde per cui le cose non stanno affatto come ironicamente diceva Thomas Stearns Eliot, ovvero che “il mondo finisce in questo modo: non con il rumore di un’esplosione, ma con un fastidioso piagnisteo”.

Infatti, prima di tutto occorre rispondere alla seguente domanda: quale mondo? Di quello nuovo post-occidentale si riconoscono per ora solo dettagli sparsi, difficilmente componibili in un quadro d’insieme coeso e unitario. Infatti, non solo manca al decantato Global South un amalgama ideologico chiaro e ben delineato, ma per di più gli eventuali soci o sodali che vi si riconoscono coltivano interessi di parte molto spesso divergenti. Anche se il punto di confluenza (abbastanza lontano nel tempo) è chiaro: sottrarre la leadership globale all’Occidente il cui Pil complessivo è sceso, per la prima volta dal XIX secolo, al di sotto del 50 per cento di quello mondiale. Non pochi grandi Paesi nel mondo ritengono oggi che il vecchio ordine mondiale non faccia più al caso loro. Come sostengono, ad esempio, India e Turchia, quest’ultima tornata in campo per ricostruire il suo “Impero ottomano”, in concorrenza con quello zarista, cinese e persiano. E, occorre stare bene attenti: gli Imperi hanno la memoria lunga. L’umiliazione cinese seguita alla Guerra dell’oppio riceve oggi la sua retribuzione con la Guerra del fentanyl! Russia e Cina, che intendono esplicitamente “sovvertire” il sistema esistente, dovranno faticare ancora un po’ (anche se l’auto-colpevolizzazione dell’Intellighenzia occidentale rischia di accelerare questo processo) per diventare primi in economia e in politica, superando così l’America, il cui momento unipolare è ormai sul viale del tramonto. Anche perché la così detta permacrisis, che poi è un coacervo di crisi intrecciate autoalimentate, non risparmia gli altri partner europei e giapponesi alleati degli Usa.

Tra l’altro, le elezioni presidenziali americane del 2024 saranno decisive per capire quale componente prevarrà, tra i due contrapposti fronti degli isolazionisti (alla Donald Trump) e dei globalisti, favorevoli a un maggiore coinvolgimento dell’America in Europa e in Asia. E proprio il 2024 sarà l’annus horribilis, in cui andranno alle elezioni due miliardi di persone in 70 Paesi, dove vive più di metà della popolazione del pianeta. Le urne riguarderanno elettorati e sistemi politici più diversi tra loro: dall’Inghilterra al Bangladesh, dall’India all’Indonesia. E molte coinvolgeranno regimi illiberali, corrotti e incompetenti ai quali dovrà dare una risposta l’elezione del futuro presidente degli Stati Uniti nel novembre 2024. Per noi ci vorrebbe invece una nuova Rivoluzione futurista!

Aggiornato il 14 dicembre 2023 alle ore 11:13