Massima conclamata: “I terroristi per gli uni (Global North) sono i patrioti per gli altri (Global South)”. Prima, come dopo l’intervento di Tsahal a Gaza, Cina e Russia non hanno mai condannato l’attacco di Hamas, in quanto le loro rispettive linee politiche tendono a stare con il piede in due staffe, mantenendo buoni rapporti sia con l’insieme del mondo islamico (Iran compreso), che con Israele. Malgrado Mosca e Pechino siano nella posizione migliore come mediatori del conflitto attuale in Medio Oriente, Cina e Russia hanno fatto oggi una scelta di campo piuttosto netta a favore dei palestinesi, criticando Israele per la devastante rappresaglia contro Gaza. Gli Stati Uniti, invece, vantano una posizione esattamente opposta ai suoi grandi competitor mondiali euroasiatici. Impossibile, quindi, pensare a una risoluzione comune di condanna di Hamas in Consiglio di sicurezza, in considerazione del potere di veto che hanno entrambi i Paesi-leader del Global South. Oramai, è evidente che “l’Amicizia senza limiti” tra Vladimir Putin e Xi Jinping abbia un solo, vero obiettivo: cancellare l’egemonia americana (e occidentale, per immediata derivazione) sul sistema internazionale post-1945, per controbilanciarla con una alternativa in cui non conta più lo “Stato di diritto”, ma “il diritto dello Stato”. Quest’ultimo derivante dalla transazione sociopolitica tra un’attenuata libertà individuale del cittadino e una sua maggiore sicurezza garantita dallo Stato. Infatti, “l’Occidente, più che un’espressione geografica è un luogo metafisico. Una regione dell’Essere quanto del mondo” (Bernard Henri Lévy). Gli altri, invece, rimangono potenze tellurocratiche/talassocratiche, come Russia e Cina.
Anche in Asia, Africa e America Latina, come in buona parte delle opinioni pubbliche occidentali, dopo un mese di bombardamenti su Gaza, l’attuale conflitto tra Israele e Hamas ha fatto pendere la bilancia nettamente a favore della causa palestinese, tanto è vero che si torna a parlare sempre più insistentemente di riesumare la politica dei “due popoli, due Stati”. Ipotesi del tutto irrealistica, dato che l’azione devastante di Hamas e le gravissime perdite subite dalla popolazione palestinese di Gaza congeleranno per molti anni a venire il processo di pace. Esattamente come hanno voluto, perseguito con ogni mezzo e previsto sia Hamas che i suoi sponsor mediorientali (Iran in testa!) con le stragi indiscriminate di civili innocenti israeliani del Sabato nero. E, in fondo, è Benjamin Bibi Netanyahu stesso a rifiutare la soluzione dei due Stati, volendo a ogni costo cancellare la presenza di Hamas da Gaza. Anche qui, è come voler sperare di uccidere l’Idra fondamentalista radicale recidendo solo una testa per volta. Evidentemente, un lavoro di Sisifo per Israele, dato che in nessun modo potrà vincere il “messianismo” dell’Islam radicale. Infatti, chi verrà dopo Hamas (ed è sicuro che verrà) vorrà vendicare con ogni mezzo, e con il sostegno dei giovani palestinesi di oggi e delle prossime due/tre generazioni, la strage di Gaza di questo novembre 2023, sabotando con le armi e con gli eccidi qualsiasi ipotesi di compromesso arabo-israeliano sui territori palestinesi.
Attualmente, la cosa che sembra maggiormente preoccupare le cancellerie dei governi occidentali è la letterale, possente ondata di ritorno (eterno!) dell’antisemitismo, che oggi trova sulla sua strada due formidabili contrafforti: quello della sinistra e dei campus universitari occidentali, da un lato; e delle popolazioni dei Paesi musulmani, dall’altro. Ovviamente, ad approfittarne sono la Russia (che da sempre ha storicamente tollerato nel suo seno una forte componente antisemita) e la Cina. Ambedue i Paesi leader del Global South attuano una propaganda sfrenata a favore di Hamas e contro gli Stati Uniti, intesa a demolire ulteriormente l’ordine internazionale, dettato dalla supremazia americana e occidentale del post-Guerra fredda. Lo dimostrano in tal senso i ripetuti incontri a Mosca e a Pechino con i responsabili politico-militari di Hamas e con esponenti iraniani, noti sponsor dei primi. Del resto, l’Iran (accolto con grande risonanza nel club dei Brics) è da tempo diventato uno snodo fondamentale, una sorta di spada perennemente sguainata, per tenere sotto scacco gli interessi dell’Occidente con il nucleare e il terrorismo islamico. E, proprio per discreditare sempre di più le Nazioni Unite, ormai del tutto paralizzate nella loro irrilevanza e inazione, si è in ogni modo favorita da parte del Global South la nomina del rappresentante iraniano per presiedere, nella seduta del 2 e 3 novembre, il foro annuale del Consiglio dei diritti umani dell’Onu. Come affidare a Dracula le trasfusioni di sangue, insomma.
L’Iran ricambia sentitamente i suoi nuovi amici e alleati, fornendo armi a Putin perché possa continuare ad libitum la sua guerra in Ucraina, e vendendo i suoi idrocarburi alla Cina a prezzi stracciati. Come si vede, la morsa del Sud Globale è sul punto di chiudersi sulle illusioni “wokeiste” della sinistra democratica americana e occidentale, profondamente malate di anti-free speech e della profusione di diritti di tutti i tipi per le minoranze etnico linguistiche e sessuali del mondo intero, per fare ammenda delle imperdonabili colpe storiche dell’Occidente imperialista e coloniale. E questa aberrante tendenza ha avuto il suo epilogo con le manifestazioni pro-Hamas e antiebraiche dei campus universitari americani e occidentali. Tuttavia, politicamente, il Global South è tutt’altro che un blocco omogeneo, essendo denso di contraddizioni al suo interno. Ad esempio, l’India è membro dei Brics ma rimane saldamente filoisraeliano e antagonista geopolitico della Cina, come dimostrano i recenti accordi con gli Stati Uniti per modernizzare la sua industria degli armamenti e acquistare armi tecnologicamente avanzate di fabbricazione americana. Idem per la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, che si guarda bene di uscire dalla Nato, pur dando il suo aperto sostegno ad Hamas, che fa parte del movimento dei Fratelli musulmani, cui si riconosce lo stesso presidente turco. Come ultimo folgorante esempio, si prenda l’ambiguissimo Qatar: da una parte, l’emirato ospita la più grande base aerea americana nella regione; dall’altra finanzia movimenti fondamentalisti radicali e terroristi come Hamas e la sinistra ferocemente antioccidentale, filopalestinese e antiebraica dei campus universitari americani. Unica consolazione: i tre player globali, Usa, Cina e Russia non hanno alcuna intenzione di scontrarsi in Medio Oriente per fare un favore all’Iran e ai suoi alleati palestinesi. Finché dura, ovviamente.
Aggiornato il 21 novembre 2023 alle ore 10:42