Javier Milei, 53 anni, candidato di La Libertad Avanza, impegnato in politica da soli tre anni, ha trionfato nelle elezioni presidenziali in Argentina con il 55,69 percento dei voti, sbaragliando il peronista Sergio Massa, attuale ministro dell’Economia che ha ottenuto solo il 44,31 per cento. Milei ha vinto il ballottaggio in ventuno province su ventiquattro, ottenendo un gradimento di consensi mai raggiunto nelle presidenziali dal 1983, data del ritorno della democrazia, con una affluenza al voto che ha toccato il 76 per cento. La vittoria era attesa, a causa anche di una crisi economica cronica e una stagnazione politica che aveva esasperato la popolazione argentina, abituata a tutto ma sicuramente esausta. Però il trionfo ha superato le aspettative. Così ieri gli ammiratori di Milei, assembrati davanti alla sede elettorale del candidato ultraliberista, a Buenos Aires, hanno potuto gridare “libertà, libertà!”. Le bandiere dell’Argentina con impressa l’immagine di un leone, simbolo del partito del vincitore, hanno sventolato suggellando la fine della brutta copia dell’ideologia peronista che aleggiava sull’Argentina da tempo.
Il nuovo presidente dello Stato sudamericano, durante la sua campagna elettorale, ha sempre manifestato la sua visione “antisistema”. Con un programma da applicare in una nazione che per decenni è stata governata da due forze antagoniste strutturali alla società argentina: il peronismo, “ideologia” derivante dal generale Juan Domingo Perón, presidente dal 1946 al 1955 e dal 1973 al 1974, e l’anti-peronismo. Già dalla sua prima apparizione da presidente in pectore, nel suo discorso sul successo ottenuto ha dichiarato che l’Argentina sarà ricostruita e il sistema “caste” – che ha saccheggiato il Paese – sarà smantellato. Aggiungendo: “Stiamo adottando il modello della libertà, per diventare di nuovo una potenza mondiale. Oggi inizia la fine della decadenza”.
I programmi economici di Milei sono radicali: niente mezze misure e niente gradualismo, con l’obiettivo di agire a livello strutturale, onde evitare una crisi dal profilo drammatico. In particolare, l’interessante e discussa “dollarizzazione”, cioè la sostituzione della moneta nazionale con il dollaro e la drastica riduzione della spesa pubblica. Ma anche il divieto di aborto con una legislazione “attenta”, la liberalizzazione della vendita di armi, la messa in discussione delle relazioni diplomatiche, tanto per iniziare, con Brasile e Cina. Da qui la tiepida reazione del presidente brasiliano, Luiz Inácio Lula da Silva, che ha pubblicato sui social network il recepimento della vittoria, ma non si è congratulato chiaramente con Milei. Contrariamente a Jair Bolsonaro, predecessore di Lula, che ha manifestato il suo pieno entusiasmo anche per la visione anti-sistema dell’ultraliberista Milei.
Intanto, l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha espresso il suo orgoglio per gli argentini, auspicando una nuova luce che faccia risplendere di nuovo l’America Latina. Ma ovviamente anche il segretario di Stato americano, Antony Blinken si è congratulato con il neo-presidente argentino, apprezzando “la forte partecipazione e lo svolgimento pacifico del voto”. Fattore non di poco conto. Milei non disprezza il fatto di essere stato paragonato a Trump durante la sua campagna elettorale. E non ha indicato tratti di politica estera che possano fare intuire quali siano le prossime relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti. Ma sappiamo che si è sempre definito un anarco-capitalista e che non intende cooperare con i “comunisti”. Ricordo che dal 2024 l’Argentina è candidata ad entrare nel gruppo Brics, Brasile Russia, Cina, India e Sudafrica, dove i “comunisti” “pullulano”. Una traccia ben netta di politica estera, salvo futuri strategici ripensamenti. Nel frattempo, una bella fetta del Sudamerica vira nuovamente verso destra.
Aggiornato il 21 novembre 2023 alle ore 09:21