I “cittadini del mondo” migrano e drenano risorse nei Paesi che lasciano

Il Burkina Faso è una Repubblica ma al cui interno sopravvivono dei re che hanno una sorta di ruolo morale sulle rispettive tribù. E di conservazione delle tradizioni. In occasione di uno degli annuali omaggi rituali tributati al re, il figlio primogenito spiegò ai responsabili di Artaban – una onlus italiana che porta aiuti anche in Africa – che, alla morte del padre, lui avrebbe rinunciato alla successione: “Faccio il medico a Parigi e resterò in Francia”. D’altronde aveva una quarantina tra fratelli e fratellastri e la successione era comunque garantita.

Però resta il problema fondamentale posto dalle migrazioni: in nome del diritto individuale si rubano ai Paesi poveri anche le migliori risorse umane. Dopo aver depredato le risorse naturali. La logica, in fondo, è sempre la stessa. Il modello occidentale ha imposto ai giovani la credenza di essere “cittadini del mondo”. Nessuno è valdostano, piemontese, veneto, trentino, lucano, siciliano, sardo. Nessuno è burkinabé, bengalese, quechua, bantù, khmer. Tutti uguali, senza tradizioni, senza culture proprie. Solo cittadini del mondo e, in quanto tali, impegnati esclusivamente nella ricerca dell’interesse individuale. Giustificando, dunque, ogni migrazione in ogni parte del mondo. Anche di questo si parlerà sabato pomeriggio a Pergine Valsugana (in diretta streaming), nel corso del convegno Patrie dei Migranti, organizzato dalla fondazione Nodo di Gordio.

Esistono ancora le Patrie? No, se si è cittadini del mondo. E, di conseguenza, non c’è più neppure il diritto di considerare “casa propria” la terra dei padri, dei nonni, degli avi. Tantomeno esiste il diritto di difendere ciò che, su questa terra è stato costruito e che ora i cittadini del mondo appena arrivati considerano di proprietà comune. Peccato che coloro che sostengono tesi di questo tipo siano favorevoli al saccheggio di ingegneri, medici, tecnici specializzati da prelevare nei Paesi poveri e si indignino, poi, per la fuga dei cervelli italiani che, in base al medesimo criterio, si trasferiscono nei Paesi dove si è retribuiti decorosamente, a differenza dell’Italia. Ma le anime belle si stupiscono anche per la fuga dei cervelli appena sbarcati in Italia. Restano le braccia, chi ha competenze e professionalità attraversa lo Stivale e supera le Alpi.

Nessuno che faccia il conto di quanto costa, all’Africa, questo esodo di laureati. In termini economici e di prospettive future. Il calcolo è stato fatto per l’Italia. Ogni laureato costa, oltre a quanto pagato dalle famiglie, tra i 100 ed i 150mila euro di denaro pubblico, a seconda delle facoltà. E i rettori, anime belle per antonomasia, si eccitano nel raccontare quanti studenti stranieri frequentino le nostre università. Per un costo sempre più alto per i contribuenti italiani. Quanti di questi laureati stranieri restano in Italia dopo la fine degli studi? Pochissimi, quasi nessuno. Migrano verso casa propria o verso Paesi dove la qualità del lavoro è riconosciuta. Cittadini del mondo. A spese nostre.

(*) Tratto da Il Nodo di Gordio ed Electomagazine

Aggiornato il 09 novembre 2023 alle ore 18:21