Per l’Esecutivo degli ayatollah gestire le fibrillazioni libertarie delle donne iraniane è più complicato che governare l’esplosiva politica estera. Infatti, tra le più importanti colonne ideologiche della Repubblica islamica, quella che rappresenta l’inflessibile codice di abbigliamento imposto alle donne si erge maestosa negli elucubrati ragionamenti dei governati. A fine settembre il Parlamento iraniano ha emanato un nuovo disegno di legge, che scandisce rigide sanzioni contro le donne che non indossano il velo in pubblico. Concetti come “l’ostentazione della nudità” o la “derisione dell’hijab” prevedono ora sanzioni pecuniarie e condanne detentive di primo grado, cioè da cinque a dieci anni. Queste coercizioni hanno toccato naturalmente anche “l’arte”. Il 25 ottobre il regime degli Ayatollah ha reso noto che una dozzina di attrici, che in recenti performance artistiche sono apparse senza indossare l’hijab, sono state interdette dal lavorare nell’industria cinematografica.
Mohammad Mehdi Esmaeili, ministro della Cultura e dell’Orientamento islamico, ha tenuto a chiarire che coloro, le donne, che non hanno rispettato la legge emanata a settembre non potranno più svolgere la professione di attrici, confermando così quanto detto da Habib Ilbeigi, dirigente del settore cinematografico, il quale aveva assicurato che le dodici attrici, per non aver rispettato la legge sull’hijab, non avrebbero più girato nuovi film. Tuttavia le pellicole non distribuite, dove sono apparse con i capelli scoperti, saranno comunque proiettate per non penalizzare finanziariamente le case di produzione. Una “moralità” legata comunque al denaro.
Intanto, a Teheran i cittadini sono oppressi dalla proliferazione dei posti di blocco. Internet è attiva a intermittenza; nelle due provincie del sud-est, Baluchistan e Sistan le manifestazioni anti-regime si susseguono soprattutto il venerdì. In questi contesti la polizia è particolarmente oppressiva, facendo assomigliare l’area a una zona di detenzione. Le repressioni dopo l’uccisione di Mahsa Amini hanno provocato oltre cinquecento morti, facendo comunque cessare le grandi manifestazioni di piazza. Nessun cambiamento politico si è avuto e il rapporto tra il popolo iraniano – soprattutto le sue donne – e il Governo non potrà mai essere risolto. Ciononostante, arresti, vessazioni e licenziamenti continuano, vanno avanti senza un apparente clamore anche con l’ostinata ed eroica resistenza passiva, che vede in crescita le donne che passeggiano senza velo.
La realtà è che dal 1979 – data della nascita della Repubblica islamica – la questione del velo e della discriminazione contro le donne è diventata la rappresentazione di tutte le ingiustizie imposte alla popolazione. Così, oggi, le rivendicazioni di tutti i gruppi – minoranze religiose ed etniche, associazioni sindacali, donne e uomini di ogni classe sociale ed economica – ovunque siano collocate in Iran trovano una eco in questo movimento. Che, spesso, ha il suo suggello nei bar di Teheran e in altre città, dove le donne iraniane sostano e conversano sfrontatamente senza velo, in spregio all’ottusità del moribondo regime degli Ayatollah e alle schizofreniche repressioni dei “Guardiani della rivoluzione”: i pasdaran.
Aggiornato il 31 ottobre 2023 alle ore 11:26