La portata dell’attacco allo Stato d’Israele ha risvegliato l’Occidente dal torpore e dall’inerzia che lo ha pervaso negli ultimi anni rispetto al Medio Oriente. Questa martoriata terra vede contrapporsi due modi di intendere la vita. Da un lato Israele, che è una democrazia liberale in cui si svolgono regolari elezioni, i governi debbono avere una maggioranza parlamentare per potere operare, la proprietà privata è tutelata, la religione seppur ha un ruolo fondamentale per alcuni partiti non è motivo di estremismo per gli altri, e lo Stato garantisce cristiani, mussulmani e altre confessioni. E dall’altro chi crede di potere imporre il proprio totalitarismo di stampo collettivistico con ogni mezzo, con il pretesto della religione, che per un cristiano è motivo di liberazione spirituale ma evidentemente per l’Islam radicale è una giustificazione per l’oppressione delle coscienze.
Alcuni vicini di Israele, seppur abbiano promulgato Costituzioni che a parole garantiscono libertà religiosa, nella pratica tollerano, e in qualche caso forse persino finanziano, azioni di morte per esempio contro i cristiani, la cui presenza in Medio Oriente si assottiglia sempre di più ogni anno, con la colpevole indifferenza dell’Occidente. Pensiamo alle stragi di cristiani che si sono ripetute in Egitto ed in altri Stati della regione. E che dire dell’alleato di Hamas, Hezbollah, il “Partito di Dio” in Libano guidato da Hassan Nasrallah, che grazie al supporto iraniano ha costituito una forza paramilitare considerata non solo più potente dell’esercito regolare libanese ma, secondo Israele stesso, della maggior parte delle forze armate arabe al mondo. E che ha allestito un impero nei media da cui diffonde il suo credo e persino un sistema di welfare, grazie al quale trova sempre nuovi adepti. Ma in quale Paese una milizia di un partito diventa più potente e meglio armata dell’esercito regolare? In Europa ne abbiamo avuto un esempio: si chiamavano Sa, Sturmabteilung, le squadre d’assalto al servizio del Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori guidato da Adolf Hitler e sappiamo cosa ha prodotto.
Basta leggere il primo e il secondo manifesto politico di Hezbollah per capire che ha come obiettivo, fin dalla sua fondazione, quello di sovvertire ogni tentativo di pace in Medio Oriente. Nella “lettera aperta” del 16 febbraio 1985 presentata a Beirut da Amin al-Sayyid, si affermava l’intendimento di instaurare uno Stato sciita integralista collegato a tutti gli altri nel mondo. Infatti, si legge: “Noi siamo una Umma connessa ai musulmani di tutto il mondo dalla solida dottrina e dalle connessioni religiose dell’Islam, il cui messaggio Dio ha voluto essere diffuso dal sigillo del Profeta, cioè Muhammad. Ecco perché tutto ciò che tocca o colpisce i musulmani in Afghanistan, Iraq, Filippine e altrove, si riverbera in tutta la Umma musulmana, di cui siamo parte integrante”. Emerge una volontà totalitaria di unità e dominio in nome della religione, in aperto contrasto con quello che in Occidente chiamiamo libertà e democrazia. Quando qui da noi abbiamo accettato per acquiescenza e quieto vivere questo tipo di ragionamento sono nati il nazismo e il comunismo. Intanto, il movimento dell’Islam totalitario è passato a una ben più chiara definizione dei suoi obiettivi e dei suoi nemici. Con un nuovo manifesto nel 2009 ha ridefinito la sua missione, mantenendo le sue posizioni anti-israeliane e anti-americane. Nel primo capitolo, che s’intitola “L’egemonia ed il risveglio”, si afferma: “L’aspetto più pericoloso della logica economica occidentale in generale e degli Stati Uniti in particolare, è, in sostanza, la convinzione che il mondo sia di loro proprietà e che essi hanno il diritto di dominare sulla base della loro presunta superiorità in più di un campo. Così la strategia di espansione occidentale e in particolare statunitense, accoppiata al sistema economico capitalistico, si riduce ad una avida strategia internazionale priva di limiti quanto a bramosia e a cupidigia”.
Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, parlando da un maxischermo, durante la presentazione di questa nuova piattaforma ha inveito contro il “capitalismo selvaggio”, riaffermando l’impegno del “Partito di Dio” per l’affermazione del diritto islamico e invocando “l’unità degli oppressi”: quasi un Karl Marx con il turbante. Un distillato puro di socialismo reale fondato su l’invidia che ha ridotto alla fame e all’abbrutimento intere popolazioni mediorientali. Nasrallah poi, infarcendo la torta di ogni pregiudizio antiamericano, antisemita e anti-capitalistico, unitamente a un odio viscerale e inestinguibile verso lo Stato d’Israele che, a suo dire, è la causa di tutti i mali della regione, ha affermato che “per secoli il mondo arabo e islamico è sempre stato oggetto di infinite guerre selvagge. Tuttavia, le fasi più pericolose sono iniziate con l’insediamento dell’entità sionista nella regione, nel quadro di un progetto di disintegrazione di questa regione”. Detto senza retorica, Nasrallah e i suoi adepti odiano Israele perché odiano la democrazia e la libertà. E con queste il capitalismo, il sistema economico frutto di questi due principi, che gli ebrei, con il supporto dell’Occidente, hanno con grande sforzo instaurato in quella terra, strappando all’estremismo molte leve. In territori dominati dalla povertà, dal tribalismo retrogrado, i totalitarismi, islamici compresi, si abbeverano del bisogno delle persone e si rimpolpano grazie ad un welfare da cui proprio Hezbollah trae forza. Perché amarci allora, se il nostro sistema gli toglierebbe la possibilità di reclutare soldati suicidi a buon mercato?
Umberto De Giovannangeli, un esperto conoscitore della regione, scrivendo di Hezbollah afferma che si basa su “ideologia e kalashnikov; katyusha e welfare in chiave islamica. Condizionare le istituzioni politiche statuali e, nello stesso tempo, dar vita ad un universo socio-economico-militare parallelo, con i suoi centri di assistenza, istituti di formazione, una rete indipendente di finanziamento, un articolato e iper-moderno sistema mediatico che ruota attorno al canale televisivo satellitare Al-Manar e che può contare anche su due stazioni radio, un settimanale e frequentatissimi siti web, una capacità di mobilitazione politica e militare, che segue percorsi autonomi di Governo”. E che dire dei fiancheggiatori di Hezbollah, il regime degli ayatollah di Teheran: una teocrazia sciita che non è andata mai tanto per il sottile quando doveva reprimere libertà politiche, diritti individuali, accenni di protesta contro le assurdità imposte per legge alle persone. È quello che è successo recentemente al movimento “Donne, vita, libertà”, sorto dopo l’uccisione di Mahsa Amini e represso nel sangue. La povera ragazza curdo-iraniana di 22 anni è stata arrestata dalla polizia morale il 14 settembre 2022 per aver indossato l’Hijab in modo “improprio”. E dopo una serie di torture, a causa di un trauma cranico, è deceduta. L’Occidente, che fa affari con l’Iran, l’ha dimenticato fin troppo rapidamente. Inoltre, la repressione che ne è scaturita dopo le proteste nelle università e in piazza è stata furiosa e implacabile, con esecuzioni capitali e “incidenti mortali” causati dalla polizia religiosa.
Purtroppo, proprio il cosiddetto “mondo libero” “democratico, pacifista, progressista” – in una parola: di sinistra – ha la coscienza sporca rispetto all’Iran, perché con la conferenza di Guadalupe fra Francia, Regno Unito, Stati Uniti d’America e Germania Ovest, svoltasi sull’Isola di Guadalupa fra il 4 e il 7 gennaio 1979 decise di mollare al suo destino lo Scià di Persia, Mohammad Reza Pahlavi, che aveva iniziato un processo di liberazione dal tribalismo retrogrado della società iraniana attraverso l’istruzione, l’industrializzazione, l’apertura al capitalismo occidentale, la meccanizzazione dell’agricoltura e l’emancipazione delle donne (cosa non secondaria in ogni società aperta) e di appoggiare l’ayatollah Khomeini, che intanto viveva tranquillamente a Neauphle-le-Château nei pressi di Parigi, protetto dalle leggi d’Oltralpe. Proprio la sinistra “egualitaria e progressista”, rappresentata ai massimi livelli politici dal primo ministro britannico, il laburista James Callaghan, dal cancelliere tedesco socialdemocratico, Helmut Schmidt e dal presidente degli Stati Uniti, il democratico Jimmy Carter a cui si unì l’ex gollista, Valéry Giscard d’Estaing, presidente della Repubblica francese, fece piombare la Persia sotto la tirannia barbuta degli ayatollah, facendola diventare lo Stato intorno al quale ruotano molti dei movimenti sciiti della regione e del mondo. E un fedele alleato di Russia, Cina e Corea del Nord.
Non c’è che dire: un grande risultato per il fronte “democratico”. E pensare che lo Scià Mohammad Reza Pahlavi aveva dichiarato nel 1969: “Ovviamente Israele esiste come Stato, e non si può sterminare un popolo; il desiderio manifestato da certe persone di sterminare la razza ebraica non può avverarsi”. Ma le responsabilità politiche arrivano solo dopo quelle intellettuali dei cattivi maestri del fronte social-comunista. Infatti, in quel periodo i pensatori più osannati a sinistra in nome dell’anticapitalismo e dell’antioccidentalismo scrivevano della grande battaglia umanitaria di Khomeini. Un esempio lo fu Michel Foucault che, dalle colonne del Corriere della Sera, il 22 ottobre del 1978 si espresse in questi termini: “La situazione sembra essere sospesa a una grande tenzone tra due personaggi dal blasone tradizionale: il re e il santo; il sovrano in armi e l’esule inerme; il despota con, di fronte, l’uomo che si erge con le mani nude, acclamato da un popolo”. Khomeini, il “santo” che Parigi proteggeva. Jean-Paul Sartre volato a Teheran insieme alla sua compagna di vita e di studi, Simone de Beauvoir, disse: “Non ho religione, ma se ne avessi sarebbe quella di Ali Shariati”. Cioè l’anticipatore con le sue teorie su Islam, esistenzialismo e marxismo umanitario, della rivoluzione capeggiata da Ruhollah Khomeini.
In tanti furono abbacinati dall’illusione ottica della rivoluzione khomeinista, anche in Italia. Capofila dei pasdaran de “noantri” fu Lotta continua, che con Carlo Panella definiva “stupendo” tutto quanto stava terribilmente accadendo in Iran unitamente ai giornalisti Paolo Patruno, Renato Ferraro, Leo Valiani superati solo da Francesco Alberoni, che sul Corriere scrisse: “La liberazione cessa di essere un prodotto della dominazione culturale dell’Occidente e diventa una autoliberazione nel nome del Corano. La rivoluzione iraniana è la manifestazione più spettacolare della rinascita islamica”. Oriana Fallaci, di ritorno dall’intervista proprio con Khomeini, ebbe il coraggio di scrivere “a me sembra fanatismo del genere più pericoloso” cha fa il paio con la considerazione che fece sul Nouvelle Observateur Maxime Rodinson nel gennaio del ’79: “Khomeini non è Robespierre o Lenin, forse nemmeno Savonarola, Calvino o Cromwell. Ma può tendere al Torquemada”. Resta quindi evidente la caratterizzazione gnostica, messianica e marxista della tragica svolta in Iran da cui poi si dipanarono prima quella in Libano e poi quella a Gaza.
È per questo che non stupiscono i vari distinguo dell’attuale sinistra italiana, che condanna Hamas ma anche Israele (taluni forse solo per il fatto di esistere). Per alcuni di loro è scontato sostenere che un’azione terroristica verso bambini, vecchi e donne indifesi sia la naturale, meglio bestiale, reazione a quanto subiscono i cittadini palestinesi a causa di Tel Aviv, che ovviamente ha anche delle responsabilità, che nessuno nasconde, ma in ogni caso non è paragonabile a quelle di un regime totalitario. E se una colpa va attribuita in questo caso al Governo ebraico, è soprattutto nel fatto di non aver capito subito che cosa stesse covando nel suo seno o forse di averlo sottovalutato. Adesso ha tutto il diritto di difendersi da un’aggressione di questa natura ferina anche con il supporto l’Occidente. Vi immaginate cosa accadrebbe se un regime simile a quello di Teheran si instaurasse difronte le nostre coste? Tornerebbero le incursioni piratesche in tutto il Mediterraneo e sulle spiagge italiane. Cosa dobbiamo aspettare: di diventare i nuovi martiri idruntini? Quello che dobbiamo avere chiaro è la viscerale avversione del mondo musulmano verso quella che noi occidentali chiamiamo democrazia liberale, conquistata a forza, fondata sui diritti, sulla libertà di culto, di associazione e di impresa. E lo Stato ebraico è l’avamposto di tutto questo in mezzo a un mondo ancora tribale. Difenderne il diritto all’esistenza significa affermare tutto quello che la nostra civiltà rappresenta anche in termini di cultura della vita. Chi detesta il capitalismo, detesta la libertà. Chi disprezza Israele, disprezza la democrazia. Chi odia Israele, odia l’Occidente. Chi tradisce Israele, tradisce noi. Sicurezza, pace e libertà per Israele.
Aggiornato il 13 ottobre 2023 alle ore 12:06