Perché non voglio tornare in Urss: un opuscolo estremamente attuale

A seguito della Conferenza di Yalta, Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill e Stalin firmarono un accordo segreto sul ritorno di tutti i prigionieri di guerra britannici e americani nei loro Paesi, nonché sul ritorno, senza eccezione alcuna, di tutti i prigionieri di guerra e gli sfollati sovietici nell’Urss. Indipendentemente da cosa potessero desiderare.

Secondo l’accordo di rimpatrio, solo nel 1945 più di due milioni di persone furono deportate nell’Ucraina sovietica. Vennero organizzati raid nei campi profughi durante i quali, con la minaccia delle armi, i profughi ucraini vennero spinti con la forza su camion o su vagoni merci, per essere “restituiti” all’Unione sovietica.

Chi non ha vissuto almeno per un giorno nel “paradiso” bolscevico non potrà mai capire di cosa si tratti e perché tutte queste persone si opposero così fermamente al proprio rimpatrio forzato. Come potevano quei profughi spiegare che l’Urss non era la loro “famiglia”, che la loro Patria era stata occupata dall’Unione Sovietica e che in Patria li attendevano il Gulag e la distruzione? Lo scrittore ucraino Lozovyahin Ivan Pavlovych, noto con lo pseudonimo di Bahrianyi, nelle fredde baracche del campo profughi di Nuova Ulma scrisse un opuscolo dal titolo piuttosto eloquente: “Perché non voglio tornare in Urss?”. Lavorò molto velocemente, tenendo a malapena il passo con il flusso di pensieri. In questo modo le persone di altre nazioni avrebbero potuto leggere e comprendere la difficile situazione degli ucraini sotto il regime sovietico. Quell’opuscolo rappresentò la salvezza per centinaia di migliaia di ucraini. Oggi, il contenuto di questo opuscolo è, purtroppo, tornato di grande attualità.

IN FILA VERSO UN AMARO DESTINO

C’era una lunga fila al campo profughi di Nuova Ulma, nella Germania occidentale, che si trovava nella zona di occupazione americana alla fine della Seconda guerra mondiale. Qui c’erano tantissimi rifugiati provenienti dall’Ucraina. Erano tutti in attesa di essere intervistati da una Commissione che avrebbe dovuto decidere del loro destino. Bahrianyi si fece strada tra la folla fino alla stanza dove erano riuniti. Entrando, posò il suo opuscolo davanti ai membri della Commissione. Secondo il traduttore che era con lui, disse: “Ecco la risposta per voi! Siamo stati assassinati da Stalin e da Hitler. E ora state minacciando di farci tornare di nuovo nella famiglia (l’Unione Sovietica, ndr). Stalin si vendicherà di noi, come traditori”.

Dopo aver pronunciato queste parole, lo scrittore si voltò e se ne andò. Nell’opuscolo presentò gli argomenti per cui centinaia di migliaia di suoi compatrioti non volevano tornare nella loro Patria occupata. Scrisse del genocidio per fame perpetrato dal regime sovietico, che era costato la vita a milioni di persone, delle campagne antireligiose e delle altre persecuzioni ordinate da Mosca. Bahrianyi, per la prima volta a livello internazionale, affermò che la politica di Stalin mirava alla denazionalizzazione degli ucraini, del loro spirito nazionale. Una distruzione finalizzata a trasformarli in “popolo sovietico”, dove l’Urss avrebbe rappresentato “un unico impero”.

BAHRIANYI CONOSCEVA LA REPRESSIONE STALINIANA

Bahrianyi sapeva esattamente cosa attendeva lui e le altre centinaia di migliaia di ucraini, se fossero stati rimpatriati in Unione Sovietica. Lo scrittore venne arrestato per la prima volta a Kharkiv nel 1932, quando aveva soli 25 anni, con l’accusa di “agitazione controrivoluzionaria”. Dopo aver scontato undici mesi in isolamento nella prigione interna del Dipartimento di Polizia, venne trasferito in un “insediamento speciale” in Estremo Oriente. La fuga dal campo e la sopravvivenza nella foresta costituiranno la base del suo libro Cacciatori di tigri.

Nel 1938, lo scrittore fu nuovamente arrestato con l’accusa di “partecipazione a un’organizzazione nazionalista borghese controrivoluzionaria”, ma venne rilasciato sotto sorveglianza nell’autunno del 1940 “per mancanza di elementi per una nuova condanna”, come ricorderà in seguito lo scrittore stesso. Le condizioni disumane di quella prigionia, la tortura (che una mente sana non può neanche lontanamente immaginare), la sopravvivenza sull’orlo della morte, gli interrogatori e l’intero sistema repressivo di distruzione dell’uomo e della sua anima, costituiranno poi la base di un altro romanzo di Bahrianyi, intitolato Il giardino del Getsemani.

In fuga dal regime stalinista, si trasferì in Slovacchia, poi in Ungheria, quindi in Croazia e Austria. Nell’autunno del 1945 raggiunse il campo profughi di Nuova Ulma in Germania, uno dei più grandi centri di insediamento di ucraini dopo la fine della Seconda guerra mondiale.

L’OPUSCOLO DI BAHRIANYI CONTRASTÒ LA DISINFORMAZIONE SOVIETICA

La leadership sovietica compì sforzi incredibili per disinformare la Comunità internazionale, sostenendo che coloro che non volevano tornare in Unione Sovietica erano presunti criminali di guerra. In effetti, tutti coloro che vivevano nei campi profughi in Europa rappresentavano un pericolo per i vertici dell’Unione Sovietica, poiché erano portatori di informazioni sulla vera essenza dell’Urss.

L’opuscolo è stato ampiamente distribuito. Il testo è stato tradotto in inglese, tedesco, spagnolo e olandese. La moglie del presidente statunitense, Eleanor Roosevelt, che sosteneva la protezione di coloro che erano stati rimpatriati con la forza in Urss, ha utilizzato le informazioni dell’opuscolo di Bahrianyi per scrivere i suoi rapporti, presiedendo la Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani. In particolare, con la sua partecipazione attiva, nel 1948 ottenne che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottasse la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che garantiva la libera circolazione e conferiva il diritto di cercare rifugio dalle persecuzioni in altri Paesi.

Grazie a ciò, migliaia di sfollati dall’Ucraina, anziché tornare in Unione Sovietica, poterono emigrare negli Stati Uniti, in Canada e in altri Paesi, continuando a difendere il diritto di vivere in un’Ucraina libera.

LE PAROLE PROFETICHE DI BAHRIANYI

Dopo essere rimasto nella Germania occidentale, Bahrianyi creò il giornale Ukrainian News e continuò la sua attività letteraria. Viaggiò molto in giro per il mondo, parlando dell’Ucraina e del regime sovietico. Fino alla fine della sua vita le autorità sovietiche cercarono di riportarlo in Urss, rendendosi conto che la sua voce aveva molto peso all’estero. Sapendo di essere un possibile “bersaglio”, Bahrianyi portava sempre con sé una fiala con cianuro di potassio cucita nel bavero della giacca, per non cadere vivo nelle grinfie dei cacciatori di uomini del Cremlino.

Oggi le sue parole, scritte quasi 80 anni fa, suonano addirittura profetiche: “Per una persona cresciuta in condizioni umane normali, è difficile credere a tutto quello che è successo lì, in un sesto del mondo”. Aggiungendo: “Il mondo non ci creda! Bene! Allora organizzino un processo per noi. Lasciamoci processare, ma in Europa, davanti al mondo intero. Ci accusino di quello che vogliono, ma i rappresentanti del mondo civilizzato ci giudicheranno. Tutte quelle centinaia di migliaia di noi, fuggitivi dal bolscevismo, siederanno sul banco degli imputati. Ma Stalin non andrà a un processo del genere! Noi non abbiamo paura di quel processo, ma lui ne ha paura”.

Con questo testo, Bahrianyi non solo ha rivoluzionato la coscienza del mondo occidentale, che non poteva immaginare ciò che stava accadendo al di fuori dei confini della sua civiltà, ma ha anche instillato, negli ucraini perseguitati, la fede nei diritti. Negli ultimi anni, lo scrittore è stato molto malato, a causa delle mutilazioni subite durante gli interrogatori nelle camere di tortura di Stalin.

Il suo Cacciatori di tigri, solo in inglese, ha avuto una tiratura di oltre un milione di copie. Il romanzo è stato pubblicato tre volte in tedesco e in olandese. Il libro Il giardino del Getsemani, che descrive la devastante macchina repressiva dell’Urss, è stato pubblicato vent’anni prima de L’arcipelago Gulag di Solzhenitsyn. Prima della dichiarazione di indipendenza, Bahrianyi era bandito in Ucraina.

PERCHÉ DOBBIAMO CONTINUARE A CREDERCI

Ecco perché, quando la Russia cerca ancora una volta di assoggettare l’Ucraina, rileggere le parole di Bahrianyi può aiutarci a capire come mai il popolo ucraino, esattamente come nel 1946, non voglia accettare una resa. Consentire la prevaricazione dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin rappresenterebbe un fallimento per tutti noi, segnerebbe la sconfitta delle libertà contro le tirannie.

Mi piace credere che la corte, di cui Bahrianyi ha scritto nel suo opuscolo, non rimarrà solo nei sogni e scritta sulla carta. Spero davvero che tutti noi potremo vedere con i nostri occhi un giusto processo contro il sanguinario regime russo, che finalmente pagherà per tutti i suoi crimini.

(*) Docente universitario di Diritto Internazionale e Normative sulla Sicurezza

Aggiornato il 04 ottobre 2023 alle ore 09:50