Dramma in Somalia: Al-Shabaab, carestia e carenza di informazioni

Osservando il cono d’ombra dell’informazione che incombe su alcune “scomode” aree geografiche tormentate da catastrofi umanitarie, rifletto sulle dinamiche del sistema comunicativo che lascia alcuni Paesi soccombere nelle “disgrazie”, tra le nebbie della non conoscenza dei fatti, mentre circa altri le martellanti notizie quotidiane portano alla luce, per mesi, i medesimi “eventi”. Valutando il peso geopolitico di alcune crisi rispetto ad altre, la realtà è che i drammi umani si differenziano tra loro anche per “l’audience” che suscitano nella massa.

Quindi, non indugiando sui “movimenti” che conducono i mass-media in certi lidi piuttosto che in altri, la Somalia è continuamente colpita, oltre che da carestie devastanti e dal jihadismo che tratteggia le sofferenze di questa regione centro-nord-orientale dell’Africa, anche da una scarsità di attenzione da parte dei media internazionali. Sabato e domenica due attentati firmati dal gruppo estremista islamico, cellula di Al-Qaeda, Al-Shabaab, hanno procurato complessivamente una quarantina di vittime nella Somalia centrale e nella zona di Beled Weyne.

La Somalia è un Paese estremamente instabile, dove la povertà e la penuria dei beni di prima necessità caratterizzano la difficile sopravvivenza della popolazione. Al-Shabaab, gruppo estremista islamico autoctono, persevera nel rendere vacillante l’equilibrio politico di questa regione con lo scopo di creare uno Stato islamico, obiettivo molto improbabile da ottenere. Ma le drammatiche carestie, causate dalla peggiore siccità degli ultimi quarant’anni, tendono a favorire l’ascolto, da parte di giovani “emarginati”, delle sirene jihadiste che promettono soluzioni chimeriche. Le Nazioni Unite, nei loro report sulla Somalia, hanno rivelato che, su una popolazione di circa sedici milioni di persone, quasi la metà soffre di una cronica carenza di cibo. Tra questi cittadini, oltre duecentomila sono a rischio di morte per fame.

Come possiamo verificare, la nascita dello Stato islamico nel Grande Sahara, frutto anche della parcellizzazione dell’Isis, ha incrementato l’organizzazione jihadista con risorse umane e infrastrutture. Infatti, i gruppi che fanno riferimento al jihadismo sono in forte crescita in tutta l’Africa, soprattutto nell’area sub sahariana. Dare una spiegazione ideologica a questo fenomeno è sopravvalutare il “caso”; infatti la quasi totalità degli “operatori del terrorismo islamico” hanno la percezione della loro appartenenza più come un lavoro che come un condizionamento ideologico.

Saccheggi, stupri, rapimenti sono il loro pane quotidiano; ma alzando un po’ il livello degli “operatori jihadisti”, si entra in un contesto commerciale che va dai minerali preziosi, strategici per la tecnologia globale, alle armi contrabbandate anche con alcuni governi africani. Quindi, le cause della diffusione del jihadismo in queste regioni possiamo sintetizzarle con motivazioni prettamente socio-economiche, ma indottrinate da pseudo-ideologie, che attecchiscono su una società incolta, prevalentemente emarginata quindi estremamente manipolabile. È noto che molti estremisti islamici, appartenenti alle articolate organizzazioni jihadiste, sono all’oscuro sia dei veri contenuti del testo sacro a cui fanno riferimento, il Corano, sia del significato di jihad, che è molto più complesso di “guerra santa”. Questi sistemi di aggregazione si basano su indottrinamenti orientati verso una generica ribellione contro l’ordine sociale.

Così Hassan Sheikh Mohamud, presidente della Somalia, ha ribadito – ma questo ormai è consuetudinario – il suo impegno a sopprimere i jihadisti di Al Shabaab che tentano di fomentare rivolte nel Paese. Tuttavia, la popolazione è fiaccata dagli sforzi quotidiani per la sopravvivenza e tendenzialmente subisce gli eventi causati dal terrorismo islamico, piuttosto che reagisce a essi. Insomma, è una passività rassegnata. Inoltre, gli attentati di sabato e domenica arrivano in un momento in cui il Governo somalo ammette di aver subito diverse battute d’arresto significative nella sua offensiva contro Al-Shabaab.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite aveva programmato in questi giorni il ritiro dalla Somalia di oltre tremila componenti dell’Atmis, Missione di transizione dell’Unione africana in Somalia, ma il presidente Sheikh Mohamud a inizio settimana ha chiesto il rinvio di almeno tre mesi, stante la gravità degli attentati di questi ultimi giorni. Ricordo che il Governo somalo è supportato con ogni mezzo, sia finanziario che strategico, dalla Comunità internazionale e fronteggia da circa quindici anni i moti destabilizzanti di Al Shabaab.

Le forze governative e le strategiche milizie dei clan locali, sostenute dalla Atmis, ex Amisom, e dall’aviazione statunitense stanno portando avanti un’offensiva militare nel centro della Somalia. I miliziani jihadisti tra il 2011 e 2012 sono stati espulsi dalle principali città della Somalia; ormai il gruppo affiliato ad Al-Qaeda, dalla quale trae notevoli risorse, rimane radicato in vaste aree rurali ubicate soprattutto nel centro e nel sud delle Paese, da dove effettuano sistematicamente attacchi contro obiettivi civili, politici e contro le forze di sicurezza, quasi sempre tramite camion-bomba scagliati in sequenza contro gli obiettivi designati.

Il Pianeta è fisiologicamente interessato da guerre e conflitti di vario peso geopolitico, ma Paesi come la Somalia e lo Yemen, solo per restare nell’area geografica, patiscono la piaga della sofferenza cronica, che raramente emerge dall’ombra gettata dalla non-informazione. Magari perché fa meno scalpore mediatico di una guerra più rumorosa.

Aggiornato il 29 settembre 2023 alle ore 10:39