Dimenticare l’Africa: fuga dal Sahel

Quanto è odiata la Francia (e in subordine l’intero Occidente) nel Sahel? Francia, per inciso, alla quale difficilmente, se non tra molti anni, gli italiani potranno perdonare il disastro immane della Libia e l’assalto conseguente sulle nostre coste di migranti provenienti dalle coste del Nord Africa. Invasione quest’ultima che dura da più di un decennio e che oggi ha raggiunto il suo culmine, grazie all’Immigration war alla turca (o alla libica), dichiarataci dall’ex protettorato francese della Tunisia, governata dal dittatore Kaïs Saïed. Stando ai recenti fatti, si direbbe obiettivamente che Parigi sia sempre più odiata nell’ex Africa francofona. E l’odio antifrancese, a quanto pare, si spinge da alcuni anni, di putsch militare in putsch militare, oltre ogni immaginazione. Ad esempio, il suo principale simbolo di successo politico-economico, il franco Cfa, è stato bruciato in piazza dagli attivisti nazionalisti senegalesi che, en passant, ne hanno approfittato per mettere a ferro e fuoco stazioni di benzina e supermercati con il marchio gallico. Idem l’anno scorso è accaduto in Mali, quando la popolazione ha festeggiato con l’insediamento del nuovo regime militare l’espulsione delle truppe francesi dal proprio territorio. In Niger, poi, il sentimento antifrancese è così pronunciato al punto che i manifestanti continuano ad acclamare i putschisti e chiedono l’espulsione dal loro Paese del contingente militare francese, preferendogli i mercenari della Wagner e Vladimir Putin.

A nulla sono finora serviti gli sforzi del presidente Emmanuel Macron di ricostruire con le sue ex colonie i legami andati ormai perduti, restituendo tesori d’arte trafugati ai legittimi proprietari africani e aprendo gli archivi storici agli esperti di tutto il mondo, per l’esame di documenti risalenti all’epoca coloniale. Altra mossa di charme, parimenti senza esito politico apprezzabile, è stata la revisione del regime di cambio del Cfa. Tutto inutile, se è vero che il risentimento antifrancese nella regione non ha fatto altro che crescere nel frattempo. L’ultimo capolavoro alla rovescia di Parigi riguarda l’ex protettorato francese de Gabon, con il rovesciamento manu militari di Ali Bongo Ondimba, figlio del ben noto dittatore Omar, ospite prediletto di Parigi per decenni, essendo di casa con tutta la sua famiglia, alloggiata in lussuosissimi appartamenti di proprietà di Ali. Per la storia, i Bongo hanno di fatto regnato per più di cinquanta anni sul loro Paese, distinguendosi per nepotismo e cleptocrazia! E se, a seguito del golpe, la popolazione gabonese ha fatto sentire la sua voce è stato per acclamare il nuovo uomo forte del Paese, il generale della Guardia presidenziale Brice Clotaire Oligui Nguema.

Del resto, per quanto riguarda gli affari del Gabon, l’Eliseo si viene a trovare oggi in una posizione piuttosto scomoda, visto che Emmanuel Macron, sbagliando tutti i tempi, si è recato a marzo scorso in visita a Libreville (cosa che, da quelle parti, è stata interpretata come un implicito sostegno alla dinastia autocratica e cleptomane dei Bongo), senza che, successivamente, la Francia abbia preso nettamente le distanze dai sospetti brogli e dalle irregolarità di voto, in occasione della rielezione recente di Ali Bongo Ondimba, avvenuta il 26 agosto scorso. Ragion per cui il presidente eletto è stato deposto dai militari pochi giorni dopo la proclamazione dei risultati. Dopo il Mali, la Guinea, il Burkina Faso e il Niger, il Gabon è ben il quinto Paese africano dell’Africa francofona dopo il 2020 a essere oggetto di un colpo di stato militare. Gabon che, fino a oggi, aveva rappresentato il pezzo forte dell’antico quadrilatero coloniale francese, vero e proprio emblema della così detta Françafrique. Anche se va detto che per Parigi l’interesse economico e geopolitico di questo stato petrolifero, una volta vero propulsore della politica della presenza post-coloniale francese in Africa, è andato progressivamente perdendo d’importanza, a partire dagli anni Novanta.

A seguito dell’ennesima elezione truccata (che avrebbe insediato al potere la moglie di Ali, Sylvia, una franco-gabonese, e suo figlio Noureddin) i militari, ai quali nel 2016 era stato ordinato di sparare sulla folla a seguito delle proteste popolari per le elezioni truccate dell’epoca, sono intervenuti per evitare l’ennesimo bagno di sangue. Anche se non ci sono speranze che a loro volta riescano a venire a capo della corruzione dilagante. In realtà, occorre dire che negli scenari recenti di ripetuti golpe nell’Africa centrale, emergono tutti i gravi limiti che caratterizzano i regimi postcoloniali, in cui nella maggior parte dei casi la scelta democratica non è andata oltre una semplice facciata perbenista, da presentare a cospetto delle opinioni pubbliche occidentali. Ed è stata proprio la propensione mercantilista dell’economia globale a dominante occidentale (e, oggi, cinese!) a voler ignorare le malefatte dei dirigenti africani, che hanno confiscato potere e ricchezza dei loro popoli lasciandoli scivolare nella miseria più nera! È così accaduto che una parte della loro gioventù abbia deciso di non stare più al gioco di una finta democrazia che la privava dei minimi benefici, preferendo affidare il proprio destino agli “uomini forti”, che promettono loro risultati che forse mai verranno, e ne assecondano il risentimento verso la loro vecchia potenza coloniale francese.

E così la Francia diviene per costoro un comodo capro espiatorio, che consente a quelle stesse élite africane di non fare i conti con la propria storia e con le gravissime responsabilità post-coloniali poste interamente a loro carico. Per parte sua, Parigi non ha capito che, dopo la caduta del Muro di Berlino, l’Africa si sarebbe mondializzata affrancandosi rapidamente dai vincoli maturati con la Guerra fredda e dalla logica dei Blocchi contrapposti. La sorte di Parigi dovrebbe funzionare da severo monito per tutti gli Stati ex colonialisti europei, che eviti loro di atteggiarsi a lord protettori. Soprattutto smettendo di inviare propri contingenti militari per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza, in cambio di contratti e concessioni vantaggiose per lo sfruttamento delle materie prime delle ex colonie. Il gioco non regge più e sarebbe bene che tutti in Europa ne traessimo le giuste conclusioni, assecondando con consistenti capitali occidentali Piani Mattei di grande respiro, per la costruzione di vitali infrastrutture nei Paesi africani emergenti. Occorre fare molto meglio geopoliticamente di quanto oggi accade con i finanziamenti-capestro messi a disposizione dell’Africa dalle Vie della Seta cinesi. L’obiettivo dell’Occidente deve essere quello di creare milioni di posti qualificati per i lavoratori africani, mentre la remunerazione dei nostri capitali va adeguatamente differita. Preferendo, in merito, puntare esclusivamente, a seguito dell’intervento occidentale, sulle capacità di rimborso che siano proporzionali alla crescita del Pil degli Stati africani beneficiari. Basta davvero con fucili e affari!

Aggiornato il 28 settembre 2023 alle ore 12:38