Consiglio d’Europa: la Commissione Affari giuridici e Diritti umani ha definito la Russia una dittatura

La Commissione per gli Affari legali e i diritti umani dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha definito la Russia una dittatura, esprimendo preoccupazione per le modifiche apportate alla sua Costituzione nel 2020. Tali variazioni consentono all’attuale presidente russo, Vladimir Putin, di rimanere al potere fino al 2036.

“Lo strapotere del presidente, derivante dal suo lunghissimo mandato in carica, in assenza di pesi e contrappesi quali un Parlamento forte, un sistema giudiziario indipendente, media liberi e una vivace società civile, ha trasformato la Russia in una dittatura di fatto”, ha affermato la Commissione in un suo rapporto.

Secondo i parlamentari del Consiglio d’Europa, l’invasione russa dell’Ucraina ha dimostrato che i regimi dittatoriali “rappresentano una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale, all’integrità territoriale e all’indipendenza politica dei loro vicini”.

“Il ripristino della democrazia in Russia sarebbe nell'interesse del popolo russo, così come dell’Europa e del mondo intero”, ha sottolineato la Commissione.

Nelle conclusioni del Rapporto redatto il 12 settembre, la Commissione ha ribadito che “i limiti di mandato servono a tenere sotto controllo coloro che potrebbero essere tentati di usare il proprio potere presidenziale per eliminare qualsiasi opposizione, e proteggono (il sistema di) controlli e contrappesi che vengono erosi, man mano che i presidenti escono gradualmente dalla portata di potenziali voci critiche. I presidenti che sanno che il proprio mandato è limitato e che presumibilmente vogliono vivere il resto della loro vita nel proprio Paese d’origine sono incentivati a non usare una forza eccessiva contro gli oppositori politici, perché sanno che un giorno uno di loro potrebbe essere eletto loro successore e non potranno più esercitare il potere politico per proteggersi dalle conseguenze”.

La Commissione ha riaffermato che i limiti di mandato non sono solo consentiti in una democrazia (dal punto di vista dei diritti del governante), ma sono necessari per preservare i diritti dei cittadini. I limiti di mandato implicano che il presidente, e – in particolar modo – il presidente nel corso del suo ultimo mandato, sia incentivato, per poter mantenere il proprio consenso popolare, a preoccuparsi delle sfide che il Paese deve affrontare, piuttosto che usare la brutale repressione contro l’opposizione.

Una volta che un presidente ha intrapreso la strada della grave oppressione dell’opposizione e della crudeltà contro il suo stesso popolo, sa che non c’è via d’uscita. Rinunciare all’incarico significa rischiare di essere chiamati a rispondere delle proprie malefatte; per evitare ciò, tentano di trascorrere il resto della loro vita ricoprendo incarichi a costi sempre più alti per il proprio Paese, la propria gente e, in ultima analisi, se stessi.

Ecco perché un Paese che compie un lungo passo verso l’estensione dei limiti di mandato oltre i due periodi fa un passo altrettanto lungo sulla strada che allontana la democrazia e lo Stato di diritto. Alcuni Paesi, compresi quelli membri del Consiglio d’Europa, sono stati troppo lenti nel realizzare i rischi connessi ai cambiamenti costituzionali avvenuti in Russia e hanno accettato troppo rapidamente l’esito di una procedura profondamente viziata, compreso il “voto popolare”.

Un presidente, insieme ai suoi alleati politici, di solito esercita un potere sostanziale per nominare i propri sostenitori nelle posizioni chiave dello Stato, siano esse le Corti più alte, il corpo elettorale, l’ufficio dei revisori dei conti, le forze armate, la banca centrale o altre istituzioni. È compito di queste istituzioni statali tenere sotto controllo i poteri presidenziali. Questi controlli e contrappesi tendono però a erodersi nel tempo, quando un presidente rimane in carica a lungo, in quanto coloro che dovrebbero esercitare tali funzioni di controllo risultano sempre più spesso figure fedeli al presidente. Anche le voci dissenzienti scompariranno dalla sua cerchia ristretta.

In definitiva, ciò ha un costo elevato anche per il presidente, poiché il sistema di controlli ed equilibri esiste per prevenire errori su larga scala. Ciò si può osservare in Russia: il presidente Putin chiaramente non riceve più informazioni e consigli affidabili sulla potenza effettiva delle forze armate russe e sulla volontà (e capacità) del popolo ucraino di resistere, per non parlare degli aspetti legali e morali dell’avvio di una guerra di aggressione quando decise di invadere l’Ucraina. Questo è esattamente il tipo di errore e di crimini su vasta scala che il sistema di controlli e contrappesi intende prevenire.

Nel progetto di risoluzione la Commissione ha riassunto i principali risultati, in modo tale da inviare un segnale forte alla Comunità internazionale e alla società russa, che dovrebbero comprendere come la rinuncia al limite del mandato presidenziale a favore del presidente Putin non possa essere legittima né in base alla stessa Costituzione russa, né in base agli standard internazionali volti a impedire lo scivolamento verso una dittatura, con tutte le nefaste conseguenze per la Russia e per i suoi vicini.

In relazione ai rilievi contenuti nel rapporto della Commissione, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa potrà valutare, in primo luogo, di invitare i competenti organi costituzionali russi, vale a dire la Duma di Stato, il Consiglio della Federazione e la Corte costituzionale, a revocare la deroga ad personam del limite del mandato presidenziale per Putin e Dmitrij Medvedev. In secondo luogo, l’Assemblea potrà voler invitare la Comunità internazionale nel suo insieme a ridurre al minimo i contatti con Putin, che dovrebbero essere limitati a quelli inevitabili per motivi umanitari e per il perseguimento della pace. Ciò dovrebbe applicarsi, in particolare, dopo la scadenza del suo attuale mandato nel 2024. In terzo luogo, l’Assemblea dovrebbe ricordare che tutti gli Stati parte dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale sono legalmente obbligati ad arrestare Putin, qualora dovesse entrare nella loro giurisdizione, sulla base del mandato d’arresto emesso il 17 marzo 2023. In tale mandato d’arresto Putin è stato accusato di aver supervisionato la deportazione in Russia di un elevatissimo numero di bambini ucraini dalle zone temporaneamente occupate dell’Ucraina.

L’Assemblea parlamentare potrà sfruttare questa opportunità, per ribadire il proprio sostegno alla creazione di un tribunale penale internazionale ad hoc per il crimine di aggressione e per accogliere con favore i progressi compiuti in tal senso. Il tribunale internazionale ad hoc dovrebbe essere in grado di indagare su eventi a partire dall’annessione illegale della Crimea nel 2014 in poi. E quindi anche sulla guerra nella regione del Donbas e sull’abbattimento del volo MH17.

(*) Docente universitario di Diritto Internazionale e Normative per la Sicurezza

Aggiornato il 13 settembre 2023 alle ore 13:22