A Mosca il “padrino” ha gettato la maschera

Come molti osservatori hanno evidenziato in questi giorni, la Russia si è gradualmente trasformata in uno Stato mafioso, tenuto insieme dalla violenza e incapace di esercitare una leadership globale.

È noto che, all’inizio del suo mandato, Vladimir Putin avesse promesso di “uccidere” i terroristi in una latrina, se necessario. Tutti, però, sanno bene che Putin ha usato la violenza anche contro tutti i suoi avversari politici. Ha cacciato dalla Russia Boris Berezovsky e Mikhail Khodorkovsky, che erano protagonisti politici indipendenti. Non solo: i leader dell’opposizione, che hanno aspramente criticato Putin, sono stati avvelenati o imprigionati.

Boris Nemtsov, un carismatico politico dell’opposizione, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco da un’auto in corsa nel 2015. Poi vi fu il caso di Sergei Skripal, un ex ufficiale dell’esercito russo che viveva in Gran Bretagna e che venne avvelenato nel 2018 (sebbene in quel caso la vittima riuscì a sopravvivere).

La lista delle morti avvolte nel mistero e degli omicidi eccellenti avvenute dopo l’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina è davvero molto lunga. Il 9 dicembre 2022 era deceduto misteriosamente Dmitry Zelenov, oligarca russo di 50 anni e cofondatore del gruppo immobiliare Don-Stroy. Cadendo accidentalmente dalle scale, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti francesi, Zelenov aveva sbattuto la testa contro una ringhiera, dopo una cena con alcuni amici ad Antibes, in Francia. Ricoverato in terapia intensiva, la mattina del 10 dicembre era deceduto senza mai riprendere conoscenza.

Il 29 settembre, Pavel Pchelnikov, top manager di una delle filiali delle ferrovie russe, era stato ritrovato privo di vita nel suo appartamento di Mosca. Secondo i media russi, Pchelnikov si sarebbe suicidato il giorno prima, sparandosi sul balcone. Il motivo del presunto suicidio rimane al momento sconosciuto.

Un’altra morte sospetta in Russia è senza dubbio quella di Anatoly Gerashchenko, ex rettore del Moscow Aviation Institute (Mai), spirato il 20 settembre dopo una misteriosa caduta dalle scale all’interno della sede dell’istituto. In un comunicato stampa rilasciato dall’organizzazione, la morte del settantatreenne viene descritta come “il risultato di un incidente”.

A metà settembre è morto, a soli 39 anni, Ivan Pechorin. Era a capo della Far East and Arctic Development Corporation, agenzia pubblico-privata per lo sviluppo dell’Artico russo orientale. Pechorin sarebbe morto cadendo da una barca da diporto mentre viaggiava ad alta velocità nel Mar del Giappone.

Il primo settembre il presidente del Consiglio di Amministrazione di Lukoil, Ravil Maganov, era caduto da una finestra dell’ospedale di Mosca, dove era ricoverato per una malattia cardiaca. Suicidio apparentemente legato alla gravità delle sue condizioni diranno gli inquirenti russi. Ma, guarda caso, Lukoil, la più grande società petrolifera privata russa della quale era ai vertici, aveva criticato l’Operazione militare speciale in Ucraina.

Il 14 agosto è stata la volta di Dan Rapoport, finanziere e broker di origine lettone di 52 anni, che dopo aver fatto fortuna in Russia se ne era andato ed era diventato un vivace critico del Governo di Putin: è precipitato da un palazzo a Washington. Il 4 luglio, l’amministratore delegato e fondatore di Astra-Shipping, una società che lavorava su contratti artici per Gazprom, Yuri Voronov, 61 anni, è stato trovato morto nella piscina della sua villa di San Pietroburgo. Aveva una ferita da arma da fuoco alla testa.

Il 19 aprile a occupare le prime pagine dei media spagnoli e mondiali era stato l’oligarca russo Sergey Protosenya, trovato morto assieme alla moglie Natalya, 53 anni, e alla figlia Maria di 18 anni, nella villa di Lloret de Mar, vicino a Barcellona, dove stavano trascorrendo la Settimana Santa. L’uomo era stato trovato impiccato, mentre la moglie e la figlia recavano sul corpo segni di accoltellamento. Protosenya era l’ex vicepresidente di Novatek, azienda produttrice di gas naturale liquefatto, al settimo posto nella classifica mondiale per volumi di produzione. Il patrimonio dell’oligarca ammontava a circa 440 milioni di euro, secondo le ultime stime disponibili.

Solo un giorno prima, il 18 aprile, è stato trovato morto l’ex vicepresidente di Gazprombank, Vladislav Avayev. Con lui sono state trovate senza vita la moglie e la figlia. Sulla scena del crimine un lago di sangue e una pistola in mano al manager. L’apparenza era quella di un omicidio-suicidio, ma non tutto torna. Alcune persone avevano parlato con l’ex dirigente poco prima della sua morte, riferendo che era di buon umore e sembrava assolutamente sereno. Nelle parole di una vicina di casa del manager emergono dubbi su un possibile omicidio. “Non è possibile che un uomo del genere possa aver ucciso. Forse Avayev e la sua famiglia sono stati uccisi”, ha detto la donna, ipotizzando un omicidio mirato dell’uomo che, probabilmente, sapeva troppo in una Russia dove, spesso, chi non deve parlare viene messo a tacere.

E che dire della condotta delle operazioni militari e paramilitari della Russia in Africa? Qui il Cremlino non ha operato, come un tempo faceva l’Unione Sovietica, per acquisire reti di lealtà e cooperazione, ma – attraverso i suoi emissari – ha creato un racket di protezione su scala continentale che offre sicurezza a dittatori e signori della guerra in cambio dell’accesso a risorse preziose dei loro Paesi. Le sfumature mafiose di queste manifestazioni di potere brutale non sono casuali. Il loro scopo è intimidire, dimostrare che lo Stato russo non si fermerà davanti a nulla per proteggersi.

La Russia di Putin non ha né lo slancio europeo né l’astuzia diplomatica dell’Impero russo, tutt’al più cerca di emulare in modo maldestro l’Unione Sovietica. La sua politica estera ha isolato inutilmente la Russia dall’Occidente. Lo Stato mafioso di Putin per più di vent’anni ha costruito strumenti di controllo politico e sociale formidabili. In Russia i manifestanti contro la guerra vengono perseguiti attivamente e sono costretti a fuggire dal Paese.

È evidente che l’immagine della Russia sia stata irrimediabilmente compromessa dalle molteplici violazioni dei diritti umani durante la guerra in Ucraina e dall’incompetenza dell’esercito russo. Da quando la Corte penale internazionale ha emesso nei suoi confronti un mandato di arresto, Putin fa fatica a viaggiare all’estero e deve partecipare ai vertici internazionali in videoconferenza. Per effetto della sua scellerata guerra di aggressione, molti Paesi hanno interrotto le relazioni con la Russia.

Putin ha attaccato l’Ucraina, sperando di dimostrare che la Russia potesse essere destinata a essere un importante arbitro dell’ordine internazionale e, laddove la guerra fosse andata bene, probabilmente avrebbe cercato di dividere l’Europa dagli Stati Uniti.

Nonostante le pesanti perdite sul campo militare, Putin spera ancora di poter indebolire il sostegno occidentale all’Ucraina. Ecco perché il presidente russo è costretto a ricorrere all’aiuto di stranieri marginali, per fingere il sostegno della Comunità internazionale. Il messaggio è rivolto principalmente ai cittadini russi, ma anche a quelli europei. I propagandisti del Cremlino vogliono veicolare questo concetto: “La Russia non è isolata! La Russia gode del sostegno di tutte le persone ragionevoli nei paesi occidentali!”.

La maggior parte dei russi, sottoposta a un regime dispotico, non è in grado di valutare il grado di ragionevolezza di queste affermazioni. Fortunatamente, da noi le cose vanno diversamente.

(*) Docente universitario di Diritto internazionale e Normative sulla Sicurezza

Aggiornato il 04 settembre 2023 alle ore 13:30