La guerra ibrida di Mosca passa per il Sahel

Il 26 luglio 2023, i soldati della Guardia presidenziale del Niger hanno circondato il palazzo del presidente Mohamed Bazoum e hanno arrestato lui e la sua famiglia. In seguito, un altro gruppo militare, composto da alti ufficiali della Guardia nazionale del Niger e delle Forze Armate del Niger, ne ha annunciato il rovesciamento, chiudendo le frontiere. Sono state sospese le attività degli uffici governativi ed è stato decretato il coprifuoco. Si è formato il Consiglio nazionale per la Difesa della Patria (Giunta militare), che il 28 luglio ha proclamato capo del governo di transizione il comandante della Guardia presidenziale, generale Abdourahmane Tchiani. Questo colpo di stato militare è il quinto da quando il Paese ha ottenuto l’indipendenza nel 1960. Mohamed Bazum è stato eletto presidente nel 2021, dopo le prime elezioni democratiche completamente pacifiche della storia del Niger.

Dopo il colpo di stato militare nel Niger, un altro Stato è entrato a far parte del “club” dei Paesi africani i cui leader simpatizzano per Vladimir Putin e sono pronti a concludere contratti importanti con il Cremlino, oltre che a ricevere i consiglieri politici e militari russi. Finora non sono state trovate evidenze dell’ingerenza diretta di Mosca negli eventi in Niger. Tuttavia, l’Occidente è chiaramente perplesso in quanto, dal 2020, colpi di stato molto simili si sono verificati in altri cinque Paesi africani: Guinea, Mali, Burkina Faso, Ciad e Sudan (senza contare il fallito colpo di stato in Guinea-Bissau). Di conseguenza, un’enorme striscia di nuova instabilità attraversa tutto il continente africano.

Molti analisti occidentali hanno già coniato l’espressione “cintura golpista africana”. Per dirla con altre parole, questo “corridoio” – lungo più di 5.500 chilometri – percorre l’intero continente da ovest a est, dall’Atlantico al Mar Rosso, lungo la cosiddetta “Zona del Sahel”. Questa parte dell’Africa, che è occupata da semi-deserti e rade savane, soffre cronicamente di carestie, siccità, cambiamenti climatici globali e continui conflitti armati. È qui che i gruppi terroristici stanno diventando ogni anno più attivi, principalmente per effetto del proselitismo islamista radicale, associato all’Isis e ad Al Qaida. La “zona del Sahel” è diventata da tempo l’epicentro globale della violenza jihadista, superando il Medio Oriente e l’Asia meridionale messi assieme. Secondo il Global Terrorism Index, uno studio pubblicato annualmente dall’Institute for Economics & Peace (Iep), nel 2022, più di 6.700 persone sono state uccise da terroristi islamici in tutto il mondo. Il 43 per cento di queste uccisioni si è verificato nella zona del Sahel. Un enorme balzo in avanti se confrontato con l’1 per cento registrato nel 2007.

Il Niger, dove ha avuto luogo l’ultimo putsch militare, è un’ex colonia francese, con una popolazione di circa 25-26 milioni di persone, uno degli Stati più poveri del pianeta, che riceve ogni anno assistenza internazionale per un importo di quasi 2 miliardi di dollari. Più dell’80 per cento del territorio del Paese si trova nel Sahara. Tuttavia, il Niger è ricco di risorse naturali, che rappresentano, ad esempio, circa il sette per cento delle riserve mondiali di uranio. In questo Paese si estraggono anche oro e metalli delle terre rare. Ci sono, inoltre, grandi giacimenti di petrolio e gas. Il colpo di stato in Niger ha avuto un’enorme risonanza che è andata ben oltre i suoi confini. I leader africani stanno ora lanciando l’allarme per gli eventi in Niger, che, ad esempio, il presidente keniota William Ruto ha definito “il colpo finale alla democrazia nel continente”.

Alla giunta militare che ha preso il potere in Niger è stato intimato di reintegrare, entro sette giorni, il presidente legittimamente eletto, Mohamed Bazoum. Altrimenti, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) non esclude la possibilità di mettere in atto un intervento militare. La storia dell’Africa ha già visto altri interventi dell’Ecowas riusciti in Paesi colpiti da crisi e colpi di stato militare, come la Liberia, il Gambia e la Guinea-Bissau. Finora l’Ecowas, che è composto da 15 Paesi, ha imposto sanzioni economiche al Niger, compresa la sospensione di tutte le transazioni finanziarie. In particolare, il Niger non ha ancora ricevuto il pagamento obbligazionario di 51 milioni di dollari previsto per il 1° agosto.

Prima del golpe, il Niger era, de facto, la pietra angolare della strategia regionale del Pentagono per combattere i jihadisti. Gli Stati Uniti hanno realizzato, nella città settentrionale di Agadez, una base militare per droni d’attacco al confine con il Sahara. Fino ad oggi, la “Niger Air Base 201” ha rappresentato il fronte più all’avanguardia nella lotta Usa alla crescente “minaccia terroristica” nella vasta regione africana del Sahel. In Niger sono tuttora presenti circa 1.100 soldati americani, 1.500 militari francesi, ed un contingente militare italiano che sono nel Paese, nell’ambito di uno sforzo congiunto europeo e statunitense, per la stabilizzazione dell’area e il rafforzamento delle capacità di controllo del territorio delle autorità nigerine e dei Paesi del G5 Sahel (Niger, Mali, Mauritania, Chad e Burkina Faso).

Il segretario di Stato americano Antony Blinken, parlando in una conferenza stampa, ha avvertito i ribelli nigerini che gli Stati Uniti potrebbero porre fine alla loro cooperazione finanziaria e di sicurezza con il loro Stato a meno che Mohamed Bazoum non venga reintegrato come presidente. Anche l’Unione europea, sottolineando di non riconoscere l’autoproclamato nuovo governo del Niger e di considerare ancora – quale presidente del Paese – il democraticamente eletto Mohamed Bazoum, ha preannunciato la sospensione del sostegno finanziario e della cooperazione in materia di sicurezza con il Niger.

In questo quadro, vedere le bandiere russe nelle mani dei sostenitori del colpo di stato militare nella capitale del Niger, ricorda scene già viste in altri Paesi dell’area. Da tempo, in Africa, il Cremlino – attraverso i propri tentacoli – destabilizza regimi democratici, prende il controllo di governi fantoccio e costruisce proprie basi. Nel frattempo, Mosca brinda per il golpe che è stato realizzato in Niger. Uno Stato democratico, cruciale sia per arginare gli estremisti islamici sia per mettere sotto controllo i criminali che gestiscono le rotte dei migranti. Non si tratta di un episodio isolato, ma solo dell’ultimo tassello di una strategia che Mosca ha elaborato e che sta cinicamente realizzando. Il Niger, nell’area del Sahel, è forse l’ultimo Paese su cui Stati Uniti ed Europa possano contare. Prenderne di fatto il controllo, attraverso una “giunta militare” amica, significa poter inondare l’Europa di milioni di migranti sfruttati dai trafficanti di esseri umani e destabilizzare così i Paesi europei.

(*) Docente universitario di Diritto Internazionale e Normative sulla sicurezza

Aggiornato il 03 agosto 2023 alle ore 09:22