Il litio islamico: il Green è fondamentalista

Qual è il colore dell’Islam? Il verde, guarda caso, perché il paradiso in persiano ha lo stesso significato di giardino. La parola corrispondente in inglese è per l’appunto Green. Oggi, dal punto di vista della percezione sociale, o sei verde o puoi anche scomparire. In questo caso, infatti, per la società mainstream sei un bieco “negazionista”, e quindi lecitamente assoggettabile a vilipendio, insulto, sanzione e, forse, prossimamente, al carcere. Ma poiché il diavolo è bravissimo nel confezionare pentole e mai i relativi coperchi, ecco che si viene a scoprire il demonio dietro il Santo Graal del Green, come ha fatto di recente il Washington Post del 23 luglio, con il suo editoriale “Rich lode of EV metals could boost Taliban and its new Chinese partners”. Ovvero, come si deduce dalla traduzione del titolo: “Una ricca vena di metalli green dà respiro ai talebani e rafforza i suoi partner cinesi”, dando così per scontato che Xi Jinping e i suoi si avvantaggeranno per primi delle relative, generose concessioni da parte del regime talebano, per lo sfruttamento dei colossali giacimenti afghani di litio.

Composto metallico quest’ultimo di fondamentale importanza, com’è noto, nella costruzione di batterie elettriche e pannelli solari. Potete immaginare la sorpresa nel 2021 di quei capi militari talebani, avvezzi a combattere per venti lunghi anni il nemico americano, quando hanno iniziato a vedersi tra i piedi sempre più stranieri cinesi che guardavano con crescente interesse e cupidigia verso le montagne circostanti che, per chi è nato da quelle parti, valevano meno di nulla. A poco a poco la parola magica “Litio” ha iniziato a circolare nelle menti ottuse degli Scolari di Dio, dato che il valore dei relativi giacimenti afghani si aggira sul trilione (= mille miliardi) di dollari, facendo dell’Afghanistan una sorta di “Arabia Saudita del Litio”, secondo le precedenti stime degli odiatissimi geologi americani, che avrebbero fatto meglio a tacere, detto a posteriori.

Un bottino di tutto rispetto, quindi, visto che l’Agenzia internazionale per l’energia prevede che nel solo 2040 la domanda di litio supererà di almeno 40 volte quella rispettiva del 2020. Una immensa riserva di denaro da rendita, quindi, destinato a garantire la sopravvivenza economica per almeno un decennio dell’attuale regime fondamentalista, già da tempo in default tecnico, non essendo in grado di ripagare il debito internazionale, anche perché soggetto a embargo sul rientro dei suoi fondi detenuti da banche estere. Così, i Politically correct che volevano vedere in ginocchio e distrutti quei misogini anti-Lgbtq+ dei fondamentalisti con il turbante, oggi scoprono di averne assolutamente bisogno per salvare il mondo dai superinquinatori di CO2, che rispondono al nome di Usa, Cina, India e Ue. A breve, prossimamente, le aride montagne afghane giocheranno un ruolo geopolitico, dato che non solo arricchiranno le casse vuote dei talebani ma, quel che è peggio, rafforzeranno moltissimo la Cina nella sua sfida tecnologica e politica all’Occidente.

Come tutte le corse all’oro, anche quella del litio afghano non fa eccezione, con avventurieri cinesi che tentano di esportare illegalmente il prezioso materiale. Ha fatto notizia, in merito, l’arresto di trafficanti cinesi che tentavano di far passare, attraverso la frontiera con il Pakistan, mille tonnellate di litio dirette in Cina. Ma, una volta firmati i contratti di concessione, non sarà facile prima di qualche anno instradare il metallo verso i mercati internazionali, soprattutto a causa della mancanza di infrastrutture stradali e ferroviarie, locali e nazionali. E questo vorrà semplicemente dire che saranno i cinesi a costruirle quelle infrastrutture indispensabili, facendole pagare ai talebani come anticipo sulle future forniture di litio afgano.

Litio che poi Pechino ci rivenderà in parte a caro prezzo, sempre che prima noi non facciamo la guerra alla Cina su Taiwan paralizzando l’intera giostra della globalizzazione. Dato che il destino gioca a dadi con la presunzione umana, il contrappasso storico ha voluto che fossero ricchissime di litio montagne di materiali di scarto (denominati “takhtapat”), prodotte nella lavorazione nelle miniere afghane di kunzite di alta qualità, una pietra dura di color rosa, molto utilizzata nella produzione di gioielli. I primi intermediari cinesi arrivati in Afghanistan si accorsero immediatamente del valore e dell’entità di quegli scarti, inviandone grandi quantità in patria, trasportate da giganteschi tir in grado di transitare sulle strade afghane disastrate dai bombardamenti americani.

Furono i geologi americani ad accorgersi all’inizio degli anni 2000 che le montagne di Konar e Nurestan (in quest’ultima regione i giacimenti di litio ammonterebbero a 2,5 milioni di tonnellate!) erano talmente ricche di litio, da far impallidire i giacimenti cileni e argentini, ma non poterono fare di più per ispezionare i relativi siti, allora off-limit per i team tecnici stranieri. Secondo le dichiarazioni di un esperto geologo Usa, “l’Afghanistan è il posto più ricco nel mondo di minerali vitali per la moderna industria”. Solo che, a causa della sua chiusura storica, manca tutta la parte di prospezione geologica preliminare per stimare l’entità dei giacimenti stessi. Da quello che è dato di sapere, esistono già contratti con la Cina che investirebbe in alcuni siti decine di miliardi di dollari, impiantando fabbriche in situ per la produzione di batterie, cosa che favorirebbe la creazione di decine di migliaia di nuovi posti di lavoro per gli afghani.

Da questi lauti contratti l’Occidente è automaticamente escluso, dato che l’Afghanistan è sotto embargo Usa, che sanziona qualunque rapporto commerciale con il regime dei talebani. Del resto, l’Occidente non ha davvero futuro in Afghanistan, se è vero che all’aeroporto di Kabul campeggia una scritta gigante, in inglese e in dari, dal titolo “La Belt & Road Initiative è il ponte che collegherà Cina e Afghanistan”. Tant’è vero che gli edifici più moderni in vetro e acciaio di Kabul sono stati costruiti da imprenditori cinesi che ritengono di fare in futuro affari d’oro affittandoli alle imprese del proprio Paese. In definitiva: sarà proprio l’Afghanistan a farci perdere la sfida planetaria con la Cina?

Aggiornato il 02 agosto 2023 alle ore 11:38