Gli analisti dell’Istituto per lo Studio della Guerra (Isw), in un loro recente rapporto pongono in evidenza che l’ex comandante della 58esima Armata, il maggiore generale Ivan Popov, ha dichiarato – in una registrazione audio trapelata – che il ministro della Difesa russo, Sergej Šojgu, lo ha licenziato per aver costantemente espresso insoddisfazione al comando superiore circa i problemi sul fronte occidentale nella regione di Zaporizhia.
Il tentativo di Popov di appellarsi direttamente a Vladimir Putin e la sua disobbedienza a Valerij Gerasimov testimoniano il comportamento che si sta sviluppando nella catena di comando russa e nelle unità militari che combattono in Ucraina.
Del resto, Putin ha ripetutamente ignorato le lamentele dei dirigenti militari russi che, per prendere le distanze dai fallimenti bellici, parlano a nome del personale militare. Inoltre, gli analisti confermano che i disaccordi pubblici tra le unità russe rischierate in Ucraina, in merito ai rifornimenti e alle missioni di combattimento, nonché la conseguente necessità del Ministero della Difesa russo di negoziare con i comandanti subordinati su questi temi, indicano la presenza di seri problemi nel sistema di comando.
La mancanza di riserve in Russia, probabilmente, non ha permesso a Gerasimov di prendere seriamente in considerazione l’appello di Popov. E le dichiarazioni rese da quest’ultimo hanno confermato, ancora una volta, che le truppe russe non sono in grado di ruotare le proprie forze impegnate nei combattimenti.
Nel suo discorso, il maggiore generale Popov ha dimostrato molto chiaramente di comprendere il proprio ruolo e la propria missione. Nell’appello fatto agli uomini della sua unità, Popov chiama i soldati gladiatori e, come tutti ricordano, i gladiatori erano schiavi che combattevano tra loro o contro animali selvatici. L’analogia è perfettamente calzante. Lui stesso, vestendo i panni di Spartacus, dimostra un animo ribelle, in quanto Spartacus sollevò una rivolta contro i proprietari degli schiavi.
Nel frattempo al fronte, un altro generale russo, Oleg Tsokov, è stato ucciso nell’attacco ucraino sferrato nella città di Berdyansk, sul mare di Azov. Pochi mesi fa, l’ufficiale era stato promosso vice-comandante del distretto meridionale, quello da cui dipendono le truppe che combattono nell’Ucraina occupata. Tsokov si trovava nell’Hotel Dune, trasformato in quartiere generale russo, centrato da un missile a lungo raggio Storm Shadow lanciato da un caccia di Kiev. Il numero dei generali russi uccisi dall’inizio dell'invasione in Ucraina è sempre più rilevante.
Come se tutto ciò non bastasse a gettare nel caos le forze armate russe, è tuttora in corso la campagna di epurazione attuata dal Ministero della Difesa per rimuovere dai propri incarichi quegli alti ufficiali ritenuti sleali o inaffidabili. Il Cremlino ha ordinato la detenzione e la sospensione di 13 alti ufficiali in seguito all’ammutinamento armato del 24 giugno.
Tra i militari di alto rango “epurati”, figurano il generale Serhiy Surovikin ed il suo vice Andriy Yudin. Anche il vicecapo dell’intelligence militare, Volodymyr Alekseev, è stato tratto in arresto, ma è stato successivamente rilasciato, sebbene resti sospeso dal servizio. I movimenti di questi alti ufficiali sono limitati e restano sotto sorveglianza.
Tra gli altri detenuti, c’è il colonnello generale Mykhailo Mizintsev, che in precedenza ricopriva la carica di viceministro della Difesa e si era guadagnato il soprannome de “Il macellaio di Mariupol”, per aver guidato l’assalto russo alla città, accompagnato da massicci bombardamenti di aree residenziali, per costringere Mariupol ad arrendersi.
Generali russi: alcuni muoiono, altri si ribellano, altri restano seduti per timore di essere i prossimi a “cadere” per mano ucraina o sotto la scure del Cremlino.
(*) Docente universitario di Diritto Internazionale e Normative sulla Sicurezza
Aggiornato il 17 luglio 2023 alle ore 11:20