Evitare il contagio del malessere francese

A seguito della rivolta delle Banlieue (l’ennesima e, in assoluto, la più grave dal 2005!) è lecito porsi la domanda se esista un rischio di contagio per il resto d’Europa e per l’Italia. Per il momento gli analisti tendono a escluderlo, stando ai riscontri obiettivi. Potrebbe, forse, fare eccezione in tal senso la realtà urbana del Belgio, dove in alcune situazioni si sono creati veri e propri “distretti musulmani” che tendono a comportarsi come uno “Stato nello Stato”. Se allarme per le nostre periferie urbane dovesse esserci in futuro, riguarderebbe la progressiva configurazione in ghetti chiusi e auto amministrati, derivanti dalla concentrazione numerica di determinate etnie, come nel caso delle molte centinaia di migliaia di immigrati provenienti dalla Cina ipernazionalista di Xi Jinping. Anche se non si è mai registrata una rivolta in una sola delle Chinatown sparse per il mondo! Tutto merito, probabilmente, del ferreo controllo esercitato anche all’estero dal Partito comunista cinese.

Sarebbe bene chiederci, in merito, quale sia la strategia di silenziosa colonizzazione dell’Occidente da parte del regime di Pechino. Infatti, da tempo il Celeste Impero, con i suoi imponenti finanziamenti di Stato, facilita l’insediamento (resiliente!) in tutte le città italiane ed europee di una miriade di piccole imprese commerciali, negozi e magazzini all’ingrosso, che promuovono prodotti e beni esclusivamente made in China, a prescindere dai volumi di vendita reali. In merito, è sufficiente notare che il solo piazzare sui mercati europei centinaia di miliardi in euro di merci cinesi, anche invendute, di bassa qualità ma a buon mercato, fa girare a pieno ritmo la manifattura del Dragone, stabilizzandone l’occupazione interna e consolidando così il regime comunista.

Ma che cosa è successo veramente in Francia, in questo caldissimo inizio del mese di luglio? A scatenare la rivolta è stato l’intervento di una pattuglia della polizia che, il 27 giugno scorso, in una normale operazione di controllo, ha reagito, uccidendolo, al tentativo di fuga di un diciassettenne di origine algerina, Nahel Merzouk, che guidava senza patente. Da lì, in vari dipartimenti della Francia, si sono scatenati saccheggi sistematici, sommosse di piazza con centinaia di autovetture private date alle fiamme, e scontri ripetuti e sempre più violenti con le forze di polizia. I disordini hanno coinvolto centinaia di città di media grandezza e l’Ȋle de France (sobborghi di Parigi), in cui si registra una forte presenza di giovani immigrati maghrebini di terza e quarta generazione, ai quali si sono affiancate formazioni organizzate di casseur professionisti, come i Black Bloc. Questi teppisti in maschera costituiscono, com’è noto, gruppi eversivi di pronto impiego dell’ultrasinistra extraparlamentare, mobilitabili via social e attraverso gruppi chiusi con semplice preavviso ad horas. Giovani mascherati, esperti in scontri e sedizioni di piazza, sempre disponibili a creare volutamente caos e un clima violento da stadio che, nel caso francese, è stato intenzionalmente prolungato per settimane di fila, con migliaia di poliziotti e manifestanti feriti e molte centinaia di fermi e di arresti. A Nanterre, ad esempio, le forze dell’ordine sono state prese di mira con un diluvio di costosi fuochi d’artificio, mentre violente sassaiole hanno tenuto lontani i pompieri dalle autovetture e dai cassonetti incendiati.

E qui, forse, le forze di polizia italiane avrebbero qualcosa da insegnare ai colleghi francesi sul piano della prevenzione e del fermo preventivo dei gruppi di Black Bloc “in trasferta”, per impedire loro di raggiungere gli obiettivi da colpire. Forse, l’errore politico più grave, da parte delle autorità francesi e del presidente Emmanuel Macron, è di non aver voluto dichiarare lo stato di emergenza, a causa di un eccessivo senso di colpa per l’imperdonabile errore iniziale delle forze di polizia. In caso contrario, si sarebbe potuto disporre delle misure preventive degli arresti domiciliari, del divieto di assembramento nei luoghi pubblici, della chiusura coatta di ristoranti, negozi e sale da concerto. E, comunque, le tempestive dimissioni del ministro dell’Interno Gérald Darmanin avrebbero rappresentato il minimo sindacale per stemperare i tumulti di piazza, seguiti all’uccisione di Nahel.

Come nel 2005, anche nel 2023 gli attacchi hanno preso di mira istituzioni dello Stato (non pochi sindaci sono stati aggrediti e minacciati), edifici pubblici, scuole, mediateche, centri sociali, trasporti pubblici. La vera distinzione, però, tra ieri e oggi, ha riguardato la pianificazione sistematica di saccheggi, furti e appropriazioni indebite di beni in ben 40 città sulle 135 in cui sono avvenuti i disordini. Ai giovani di origine maghrebina si sono associate frange sempre più consistenti di elementi radicalizzati autoctoni, che si potrebbero definire (secondo Le Figaro) con l’ossimoro di “consumisti anticapitalisti”. Prontissimi questi ultimi a sfruttare i disordini, muniti di carrelli per la spesa e di automobili lanciate come arieti contro le vetrine dei negozi, per svaligiare con tranquillità e metodo i magazzini del lusso, anziché le panetterie come ai bei tempi della Bastiglia, dato che la loro sola ragione di vita sembrano essere smartphone, griffe e alcolici di marca!

In prima approssimazione, pertanto, non sembrerebbe in gioco tanto la matrice sociale dei disordini, quanto piuttosto la questione postcoloniale e la ghettizzazione (a oggi decisamente irreversibile) di una popolazione proveniente dall’Africa del Nord e, soprattutto, dalle regioni sub sahariane delle ex colonie francesi. Ed è per l’appunto l’enorme divario delle classi di reddito tra have e have-not ad aver giocato un ruolo preponderante nel braciere delle Banlieue. Realtà profondamente degradate socio-economicamente e culturalmente, queste ultime, devastate dall’abuso e dallo spaccio di droga.

Tra l’altro, la presenza diffusa di bande violente di giovani delinquenti crea un clima generalizzato di intimidazione e paura nei residenti, già colpiti dal grave stato di abbandono e di incuria dei loro quartieri, in cui gli edifici sono a basso reddito per i proprietari. Paradossalmente, ma non tanto, si sono rivelate più tranquille di quanto ci si potesse attendere le zone in cui i traffici di droga sono più consistenti, forse perché “chi dirige il traffico” (nel senso etimologico della parola) aveva tutto da perdere dall’intensificazione dei controlli di polizia. Insomma, la pace sociale assicurata dai trafficanti, purché i consumi restino stabili. Un altro modo, si direbbe, di come funziona il mercato. Soprattutto, quello dell’immigrazione illegale e dei barconi. Per ora, la rivolta è del tutto impolitica (in assenza di qualsivoglia elaborazione ideologica) e si limita ai concetti da stadio di voler fare casino a tutti i costi e dare battaglia alle forze di polizia. Un po’ triste, diciamo pure.

Aggiornato il 15 luglio 2023 alle ore 10:17