Rivolta o Saccheggio? Il “Non-Lieu” delle Banlieue

Assimilazione o integrazione? In che modo si diventa francesi? Conoscendo e condividendo la Costituzione francese, come è ovvio e si dovrebbe. In realtà, il Tricolore “Blu Bianco Rosso” funziona all’opposto della bandiera “Stars and Stripes” degli Stati Uniti, costituendo quest’ultima un vero e proprio fatto identitario, visto che gli americani di tutte le etnie, razze e religioni si riconoscono in lei e nei valori che rappresenta, mentre i giovani di origine maghrebina di oggi bruciano quella francese nelle pubbliche piazze. Sarà, forse, anche perché gli americani integrano, mentre i francesi pretendono l’assimilazione ai valori della loro République. O forse perché i magrebini sono ex sudditi delle colonie francesi, mentre gli Usa non ne hanno mai avuta una, colonizzando in compenso tutto il mondo con il proprio lifestyle e i suoi brand di successo, tra cui i famosi Gafam (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft). Da più di trent’anni (la prima vera rivolta delle Banlieue è però del 2005) lo schema delle sommosse in Francia è sempre lo stesso. Si parte da un intervento sbagliato della polizia con al centro una giovane vittima magrebina, residente nel disastro socio-urbanistico-economico delle Banlieue, e figlia di immigrati di seconda, terza o quarta generazione. Da lì, il sospetto che si sia trattato di un omicidio a sfondo razziale inizia il suo velocissimo cammino (oggi reso molto più devastante dalla gigantesca cassa di risonanza dei social media) nelle menti dei giovani emarginati delle immense periferie francesi, dove tutto ciò che è pubblico viene sistematicamente danneggiato e vandalizzato. Si parte, cioè, dal fatto luttuoso come giustificazione di massa, per spogliare gratis di tutti i loro beni le cattedrali del consumo e del lusso.

E, proprio per non smentire la tradizione delle sommosse dei Beur, i quartieri dove le proteste si fanno più violente sono proprio quelli in cui l’azione della polizia ha registrato i più significativi successi nel contrasto al consumo e allo spaccio di sostanze stupefacenti. Come una certa filmografia (anche di sinistra) ha mostrato al grande pubblico, la realtà della maggior parte delle case popolari (Hlm), devastate dall’incuria e dalle bande di spacciatori, è off-limits per le forze di polizia, che si tengono ben lontane da quel braciere socio-identitario, quando non conducono operazioni di vasta scala che prevedono l’impiego di un elevato numero di agenti. Dal fatto di cronaca (la bavure delle forze dell’ordine, che ha procurato la morte di un giovane indiziato magrebino) ha inizio cioè una vera e propria catena industriale del looting, o saccheggio sistematico, di grandi magazzini e di brand costosi, che la maggior parte dei rivoltosi non si potrebbe mai permettere, vivendo di assistenza pubblica e rimanendo molti di loro disoccupati o piccoli spacciatori a vita. Chi si rivolta non ha nessuna voglia, né idea di instaurare un contropotere, ma semmai quella di garantirsi l’accesso gratuito e temporaneo al Dio unico del consumismo, grazie al saccheggio sistematico consumato nell’anonimato della folla e forte del potere d’urto degli scontri violenti di piazza, generati dalle avanguardie organizzate dei Black bloc.

Statisticamente, le violenze urbane durano in media due giorni e tre notti. Le Figaro definisce questo lasso di tempo un “quantum abituale, sapendo che le feste musulmane dell’Eid al-Adha sono imminenti e possono avere un forte effetto temporale sugli eventi per spegnere l’incendio in corso”. In questo contesto, la guerra per bande tra piccoli delinquenti dei quartieri limitrofi diventa un’unica battaglia di tutte le bande riunite contro i simboli dello Stato francese, e le sue forze di polizia in primo luogo, che vengono così di fatto assimilate a “una banda rivale e non più a garanti dell’ordine repubblicano”. Del resto, anche il più recente trinceramento identitario nei simboli dell’Islam (velo per le donne e stretta osservanza dei riti in moschea per i maschi) è un modo subdolo per non impegnarsi nella società contemporanea francese, visto che il riconoscersi nelle regole rigide del Corano significa, in realtà, rifiutare in toto la società occidentale e i suoi ritmi di produzione-sfruttamento della manodopera. Come si è più volte accennato, citando i dati statistici oggettivi, questa tendenza al rifiuto dell’Occidente, sempre più radicato nelle comunità musulmane di tutto il mondo, porta soprattutto le giovani generazioni sempre più lontano dalla scienza e dalla tecnologia moderne. Per rendersene conto è sufficiente esaminare il numero praticamente inesistente di brevetti ad alta densità di know-how provenienti dalle aree del Maghreb e delle petro-economie mediorientali: elemento-chiave quest’ultimo che fa la differenza tra realtà nazionali sviluppate e quelle sottosviluppate. Tant’è vero che, per mantenere il proprio dominio sulle rispettive società, le upper class musulmane mandano a studiare i propri figli nelle migliori università del mondo (anglosassoni, in assoluta prevalenza: quelle cioè dei loro nemici giurati!), per mantenere intatto l’enorme divario che le separa dal resto dei propri sudditi.

Tutto il Maghreb, infatti, è oggi devastato dalla mancanza di lavoro giovanile e dai costi sempre più elevati dei beni di prima necessità (pesantemente sussidiati, tanto da rendere i loro Paesi degli Stati economicamente falliti), che spingono milioni di giovani a tentare l’ingresso clandestino nel territorio comune dell’Ue. Tra l’altro, questo tipo di forte arroccamento identitario provoca una travolgente corrente di razzismo alla rovescia, per cui l’uomo bianco, la sua cultura e religione divengono veri e propri nemici di classe, da un lato, e istituzioni da abbattere con la violenza, dall’altro, cancellandone laddove possibile la presenza sul sacro territorio dell’Islam. Va detto però che la stessa concezione urbanistica delle Banlieue portava con sé fin dall’origine i germi del malessere e del disagio sociale. In merito, si cita l’esperienza personale di chi come me, avendo frequentato a Parigi il Cycle étranger de l’Ena, Promotion Leonardo da Vinci, in sede di esame finale (avendo visitato di persona le nascenti realtà delle Villes Nouvelles) aveva ammonito la sua bella e rampante esaminatrice, figlia della corrente politica mitterandiana, che quei luoghi architettonicamente mostruosi (alla Corviale, tanto per intenderci) si sarebbero rivelati nel tempo una fucina di diseguaglianze, marginalità e violenza. Potete immaginare il giudizio finale che mi venne assegnato.

Aggiornato il 11 luglio 2023 alle ore 12:09