La “questione” Prigožin non è finita

Evgenij Prigožin sostiene da giorni che “l’operazione militare speciale” sia fallita. Aggiungendo: “Siamo nella situazione in cui possiamo semplicemente perdere la Russia”. Considerazione che, fatta da colui che ha in mano l’offensiva russa, fa riflettere. Anche se da tale pesante affermazione trasuda una certa sfumatura politica, che mina le sempre meno solide “fondamenta” del potere putiniano. Questa era la parte finale di un mio articolo pubblicato su L’Opinione il 7 giugno il cui titolo è: “Wagner: Evgenij Prigožin, il sabotatore del Cremlino”. Quindi il capo dei mercenari aveva annunciato chiaramente, con verità e senza condizionamenti successivamente indotti da ricatti, la sua ribellione al “Sistema putiniano”; infatti le forze dell’agenzia dei mercenari Wagner, di cui Prigožin è il padrone, dopo avere dimostrato la completa insofferenza circa la strategia russa nella guerra in Ucraina, hanno circondato e occupato senza colpo ferire il quartier generale del distretto militare meridionale dell’esercito russo a Rostov. Avviando poi la marcia verso la “Terza Roma”; la memoria va ad Ivan III (1440 1505) detto il “Grande”, unificatore delle Terre Russe. Un’assonanza interessante, ma un paragone improponibile, tra i due “Cesari”, viste anche le ambizioni, ormai spente, di Putin nel voler riunire quelle che considera “terre russe” ucraine, alla madre Russia, in opposto alla Storia di successi lasciata da Ivan III.

Comunque, con questa azione il capo dei Wagner ha palesato la volontà di non avere solo un ruolo militare, ma politico, intenzione che in questi ultimi tempi era diventata chiara e assillante, e che tutt’oggi è accesa. Ma Prigožin si è dovuto confrontare con i ricatti esercitati sul suo portafogli e sui suoi parenti, una carta che forse sperava non fosse giocata da un disperato Vladimir Putin. Ma anche nel suo ritirarsi, momentaneamente, dall’impresa di invadere Mosca, ha adottato un sistema comunicativo spicciolo e penetrante, uno strumento che sa usare in modo eccellente, una comunicazione politica diretta alla massa, che vede la notorietà del leader dei mercenari superare, dopo questa “Operazione speciale dei Wagner”, quella che nessun avversario di Putin ha mai conosciuto.

Così il popolo russo, dopo ventitré anni di coabitazione con Putin, era consapevole che il tradimento era per regola presidenziale, il crimine massimo che si poteva commettere. Infatti, con la spada dell’accusa di tradimento, Sergej Skripal’ ex agente dei servizi segreti russi, e anche Aleksej Naval’nyj, solo per citare i più noti, hanno visto le loro vite inabissarsi in tentati omicidi eseguiti, avvelenamenti di Stato, per la loro presunta collaborazione con i nemici della Russia. Poi sono riemersi dal tunnel mortifero, confusi ma vivi; anche loro simboli della sorte destinata a chi non rispetta il pensieri unico. Ma il popolo russo inebriato dai dettati dogmatici putiniani, ha compreso che anche la lettura del tradimento è relativa; infatti lunedì 26 giugno hanno capito che il tradimento, quando commesso da veri “patrioti”, i Wagner, può essere considerato semplicemente un “errore”.

Un errore dettato dall’istinto, e quindi passibile di perdono. Ma la commedia apparentemente finita a duecento chilometri da Mosca, non ha recitato ancora la battuta finale; Putin rivestito il ruolo del padre comprensivo, trattando Prigožin come una sorta di “figliol prodigo”, ha sottolineato l’unione del popolo e il “consolidamento” della società. Si è spinto fino al paradosso di ringraziare i mercenari, che chiama “soldati e comandanti”, per avere scelto l’unica decisione possibile ad evitare un bagno di sangue fratricida. Per schivare di dimostrare debolezza Putin ha anche aggiunto che: “La ribellione armata sarebbe stata comunque schiacciata”.

Possiamo dire che la “questione marcia sulla Terza Roma” è finita? Sicuramente no. Anche l’ultima esternazione di Putin non allenta incertezze sulla crisi. Agli ammutinati il presidente propone tre opzioni: arruolamento nell’esercito regolare; ritorno alla vita civile, ovvero smettere di fare i mercenari; o ritirarsi in Bielorussia, offerta proposta a Evgenij Prigožin ai suoi uomini sabato sera. Intanto giocando la carta obbligatoria della de-escalation, l’Fsb, il servizio di intelligence incaricato degli affari di sicurezza interna, si è affrettato ad annunciare che l’indagine penale aperta contro il capo dei Wagner per incitamento alla ribellione armata è stata chiusa. Così anche il Ministero della Difesa, ha annunciato il trasferimento di armi pesanti dai Wagner all’esercito.

Infine il ruolo del presidente bielorusso Aljaksandr Lukašėnka, che potremmo definire “l’utile idiota di turno”, il vassallo di Putin, che sul “palcoscenico russo” gli hanno fatto indossare l’abito del mediatore tra Putin e Prigožin, ma sappiamo che “l’abito non fa il monaco”. La realtà è che ormai gli avversari di Putin sono troppi, anche interni al regime e più si indebolisce e più aumentano. In questa occasione anche il principale avversario russo di Putin, ora in esilio, l’uomo d’affari Michail Borisovič Chodorkovskij ha dichiarato che chiunque va bene per porre fine al regime di Putin. Aggiungendo che, pur di demolire il capo del Cremlino appoggerebbe anche il “... il diavolo”.

Aggiornato il 29 giugno 2023 alle ore 09:26