Putin è un genio (del male)?

Questa domanda, sepolta dai media mainstream nelle 48 ore in cui il “golpe” dell’ex cuoco Evgenij Prigožin ha scatenato titoli stellari come “Rivoluzione russa”, “guerra civile” e putipù vari, comincia ad aggallare tra gli analisti. È vero che il 25 per cento dei russi dopo questo weekend da panico ha meno fiducia in Vladimir Putin, ma si tratta dei russi che navigano su Telegram, TikTok e altri social più o meno tollerati e poco controllati. Il fatto è che la marcia su Mosca dei tank del gruppo Wagner è stata utile a Putin per migliorare il controllo sui mercenari. È strano che il canale Telegram non sia stato oscurato da Putin, ex dirigente del Kgb e il politico che ha portato il servizio di sicurezza russo Fsb a controllare una parte dell’Europa occidentale, con uomini legati all’oligarchia del Cremlino. È strano che Prigožin abbia occupato Rostov senza sparare neanche un colpo. Parliamo di una città che è il centro del comando e della logistica dell’invasione russa in Ucraina. Prigožin potrebbe anche essere un burattino manovrato da Putin. Le origini del golpetto dimostrativo si possono trovare nella mossa di obbligare tutti i gruppi paramilitari russi a sottoscrivere un atto di sottomissione ai comandi dell’esercito regolare.

La richiesta è stata fatta dal ministro della Difesa Sergej Šojgu, non senza il placet di Putin. La Wagner non ha sottoscritto l’atto, ma ha occupato Rostov e ha dimostrato di essere in grado di raggiungere Mosca coi suoi uomini (ciò non significa essere in grado di conquistare la Piazza Rossa). Infine, la milizia di Prigožin si è ritirata indisturbata quando stavano per arrivare i mercenari ceceni. Al centro del golpe, quindi, ci sono accuse esplicite di Prigožin al ministro della Difesa, Sergej Šojgu e al capo di Stato maggiore dell’esercito russo, Valerij Gerasimov. Queste accuse in realtà vengono fatte pesantemente, e con frequenza settimanale, da quando è iniziata la sciagurata “operazione speciale” in Ucraina. Il convitato di pietra di queste accuse si chiama Putin. Di fatto, a oggi il comandante del gruppo Wagner è esiliato – forse – in Bielorussia ed esce ridimensionato dal confronto con Vladimir Putin, rischiando di perdere il suo formidabile potere di arricchirsi in Africa a spese degli africani e degli occidentali (francesi e non solo).

Wagner in Africa ha svolto un ruolo fondamentale. A differenza dei “contractor” americani, che si occupano di logistica e non combattono, la Wagner ha potuto fare in Mali, Libia, Sudan e Repubblica Centrafricana ciò che gli eserciti regolari non potevano fare, contro la jihad islamica. Lo hanno potuto fare, perché avevano “licenza di uccidere” senza coinvolgere direttamente il Cremlino. Lo potevano fare perché, garantendo ai leader locali il controllo di miniere d’oro (in Sudan), di pozzi petroliferi, di miniere di uranio, di aree dove ci sono terre rare e altri metalli preziosi, potevano prendere ragguardevoli tangenti dagli Stati africani. Non sappiamo se le ricchezze accumulate da Prigožin finivano in parte nelle tasche del capo degli oligarchi russi, suo nemico formale. Può essere che gli accordi tra i due (ex?) amici siano saltati e che Putin preferisca gestire il dirty business senza un ingombrante Trump pietroburghese a capo di un potente gruppo armato. Pertanto, Putin avrebbe costretto la Wagner a uscire allo scoperto e a ridimensionarsi.

Un’altra ipotesi è inquietante, e si chiama Maskirovka (mascheramento), termine russo per descrivere un “inganno”, pratica teorizzata già da Sun Tzu ne L’arte della guerra duemilaseicento anni fa. Tra gli inganni militari ricordiamo il Cavallo di Troia, l’uso di carri armati di cartone per disinformare l’aviazione nemica, lo sbarco in Normandia.

In questo caso, sarebbe quasi impossibile capire le prossime mosse militari della Russia, ai danni dell’Ucraina e dell’Occidente. In realtà, Putin non esce ridimensionato dallo scorso weekend, almeno per ora. Comunque vada in Europa, il colpo più pesante assestato dagli Stati Uniti ai danni della Triplice dittatoriale di Cina, Iran e Russia, è stato siglato in India pochi giorni fa dal presidente Joe Biden. L’accordo geopolitico e militare tra il presidente americano e il suo omologo indiano Narendra Modi avvicina ancora di più New Delhi e Washington, allo scopo di contenere l’aggressività geopolitica cinese. Ciò può implicare un risultato utile a dare una realistica chance to peace sia in Ucraina sia nel Sud est asiatico. Mi sia consentito di autocitarmi: da mesi indicavo nell’India il soggetto decisivo per avvelenare i pozzi della triplice dittatoriale. Quanto al ruolo dell’India, bene ha fatto Giorgia Meloni, mesi fa, e bene ha fatto Biden adesso.

Aggiornato il 28 giugno 2023 alle ore 09:04