Titan, sono ore disperate

L’ossigeno è esaurito, ma le ricerche continuano. Anche se ormai sono poche le speranze di trovare negli abissi il Titan e salvare le cinque persone a bordo: il milionario britannico Hamish Harding (58 anni), il businessman pakistano Shahzada Dawood (48) col figlio Suleman (19), l’esploratore e pilota di sommergibili francese Paul-Henri Nargeolet (77) e Stockton Rush (61), il patron di OceanGate, l’azienda proprietaria del Titan. Rumori sottomarini erano stati captati martedì, ma anche ieri mattina da un aereo canadese Lockheed P-3 Orion con equipaggiamento per la sorveglianza subacquea. Secondo alcuni media statuunitensi, che citano comunicazioni interne del governo americano, si tratterebbe di suoni martellanti ad intervalli di trenta minuti. L’oceano è pieno di suoni ma la segnalazione suggerisce che il banging rilevato è regolare e quindi può essere prodotto da una fonte umana. Tra gli occupanti del sommergibile Titan c’è un ex sub francese, Paul-Henri Nargeolet, che dovrebbe conosce il protocollo per allertare i team: fare rumore per tre minuti ogni mezzora. Il contrammiraglio John Mauger della Guardia Costiera statunitense, che dirige le ricerche, ha riferito che secondo gli esperti e gli equipaggiamenti il rumore captato “è generato potenzialmente” dagli occupanti dello scafo ma che non ci sono conferme sulla sua natura.

“Dobbiamo restare ottimisti”, è stato l’invito del capitano Jamie Frederick, coordinatore dei soccorsi. Va ricordato che in precedenti tentativi di soccorso sottomarino si è scoperto che questi rumori erano ‘falsi’, in particolare nel 2017 con il sommergibile argentino Ara San Juan: l’analisi successiva dell’audio accertò che si trattava di una fonte naturale. Quindi se le speranze di un miracolo sono leggermente salite, ci sono ancora numerose incertezze e sfide. Non ultima la corsa contro il tempo: secondo Mauger, ai passeggeri resta ossigeno solo fino alle 5 locali di giovedì (le 11 di oggi in Italia), anche se ci sono alcune variabili, tra cui il tasso di consumo per occupante: meno si parla e meno ci si muove, meno se ne brucia. La rilevazione dei suoni ha portato a spostare nella zona i Rov, i veicoli sottomarini pilotati da remoto, per poi inabissarli alla ricerca del Titan usando sonar e videocamere.

Finora sono stati setacciati 25.900 chilometri quadrati di oceano, un’area grande quanto il Massachusetts o il Libano. E da mercoledì c’è anche la nave francese Atlante, dotata di un robot sottomarino, il Victor 6000. Se si riuscisse a localizzare il Titan negli abissi, recuperarlo sarebbe comunque un’enorme sfida logistica. E lo sarebbe ancor di più se si fosse incagliato tra i resti del Titanic. In ogni caso sarebbero necessari equipaggiamenti speciali, per la pressione enorme e la totale oscurità ad una profondità di 3800 metri. Aumentano intanto le rivelazioni sulle preoccupazioni emerse in passato a proposito della tenuta dello scafo in carbonio e titanio. Le aveva sollevate, prima di essere licenziato nel 2018, David Lochridge, ex direttore delle operazioni marittime di OceanGate. Idem un altro ex dipendente rimasto protetto dall’anonimato, che preferì dimettersi nel 2017 quando Rush respinse le sue obiezioni. Anche i leader del settore, nello stesso periodo, avevano ammonito il ceo di OceanGate sui rischi di problemi “catastrofici” per il suo “approccio sperimentale”. La Cnn ha inoltre rivelato che il laboratorio di fisica applicata dell’università di Washington ha smentito di essere stato coinvolto in test e progettazione del sommergibile, contrariamente a quanto affermato da OceanGate. Infine, la compagnia scelse di non classificare il suo Titan tramite un gruppo indipendente del settore invocando i lunghi tempi di approvazione per una progettazione innovativa e il fatto che l’iter avrebbe garantito l’affidabilità degli standard costruttivi ma non contro eventuali errori nelle operazioni, che rappresentano la causa della maggioranza degli incidenti nautici e aerei.

Il Titan, capace di scendere a ben 4mila metri sotto il livello del mare, ha in effetti una capienza massima concepita proprio per 5 passeggeri. Visitatori disposti a pagare un biglietto salatissimo per farsi calare negli abissi per oltre una settimana e vedere con i propri occhi i fondali su cui sono adagiati i resti di quello che fu il bastimento più famoso del mondo, a circa 3.800 metri di profondità: resti identificati nel 1985 dopo decenni di esplorazioni febbrili. L’avventura, gestita dalla società OceanGate Expeditions, prevede otto giorni di missione, al costo – tutt’altro che abbordabile per i comuni mortali – di 250mila dollari a persona. Il prezzo di un’esperienza da vivere a contatto con l’oscurità delle fosse oceaniche, ma soprattutto con gli spettri passati della vicenda del transatlantico maledetto, rimasta legata alla memoria collettiva d’intere generazioni grazie a libri, canzoni o film di successo (in primis il kolossal con Leonardo Di Caprio e Kate Winslet per la regia di James Cameron vincitore nel 1997 di 11 premi Oscar).

Progettato nel 1908, varato nel 1911 dai cantieri di Belfast per conto della White Star Line al costo complessivo di 1,5 milioni di sterline dell’epoca (circa 200 milioni di oggi) e registrato nel porto di Liverpool, il Titanic colò a picco con oltre 1.500 dei suoi 2.200 passeggeri circa – a dispetto della nomea pubblicitaria di nave “inaffondabile” – la notte del 15 aprile 1912, dopo aver urtato un iceberg alla prima traversata fra Southampton, in Inghilterra, e l’America. Scomparendo tra i flutti dell’oceano, a 370 miglia marine (600 chilometri) dalle coste canadesi di Terranova, senza mai riuscire ad approdare nel porto d’arrivo di New York. Epilogo che non ha scoraggiato i moderni turisti dell’avventura overpriced dallo sfidare un destino a rischio di rivelarsi ora drammaticamente beffardo.

Aggiornato il 22 giugno 2023 alle ore 17:17