Turchia: tra conservatorismo sociale e liberalismo economico

Recep Tayyip Erdoğan, neo-eletto presidente (per il terzo mandato) della Repubblica di Turchia, si sta avviando a celebrare – come protagonista assoluto – il Governo del secolo”. La ricorrenza, il 29 ottobre 2023, è il centenario della nascita della Repubblica turca (29 ottobre 1923), stabilita dal Trattato di Losanna del luglio 1923 che riconosce lo Stato, nato dalle spoglie dell’Impero Ottomano, a livello internazionale.

Nella certa prospettiva di affrontare lo storico nuovo mandato presidenziale, Erdoğan in campagna elettorale aveva incentrato le promesse sulla lotta al terrorismo, sulla necessità di rafforzare l’economia del Paese, ma anche sulla spinosa questione dell’ingresso della Svezia nella Nato, legato direttamente alla “questione curda” o meglio, come sostiene Erdoğan, al terrorismo di matrice curda. Adesso, il nuovo Governo composto da diciotto ministri e inaugurato ad Ankara il 6 giugno dovrà affrontare questi temi con gli strumenti già in possesso nel mandato precedente, con le stesse congiunture che non avevano permesso l’avvio di azioni per una loro risoluzione. E, molto probabilmente, con un’opposizione più compatta di quella precedente. Quindi, le incertezze presenti sia prima che durante la campagna elettorale restano, se non peggiorano. Tuttavia, la nuova compagine governativa è quasi completamente rinnovata: dei diciotto ministri rimangono in sella solo quello del Ministero della Cultura e del Turismo e quello del Ministero della Sanità. Il profilo del nuovo gruppo di ministri tratteggia un Governo conservatore sul piano sociale e liberale su quello economico. Nulla di sconvolgente rispetto ai due Esecutivi precedenti, se non la ricerca di una maggiore “disinvoltura economica” venduta come liberalismo economico.

I personaggi a cui il presidente si appoggia maggiormente delineano le caratteristiche che definiscono il sistema per la gestione del potere. L’ex consigliere diplomatico del presidente, Ibrahim Kalin, è investito della strategica nomina di direttore della National intelligence organization (Mit). Un’altra posizione determinante è stata quella della nomina del liberale Mehmet Şimşek a ministro del Tesoro e delle Finanze: incarico di importanza assoluta, vista la condizione dell’economia turca. Infatti, lo Stato è affogato da una pesante crisi economica, con un tasso di inflazione ufficiale che l’anno scorso ha superato il 64 per cento. Tuttavia, l’Ena Group, Inflation research group (Enag), un’agenzia turca che analizza gli indici dei prezzi non solo a livello giornaliero, ma con proiezioni nel breve periodo e che rappresenta gli “economisti indipendenti”, registra che l’inflazione sfiora il 140 per cento. E che la lira turca ha perso almeno il 79 per cento del suo valore rispetto al dollaro, dal 2018 a oggi.

Comunque, il cinquantaseienne Mehmet Şimşek, che pare sia la massima competenza in materia di finanza in mano a Erdoğan, è un ex economista della banca statunitense Merrill Lynch; gode di una reputazione internazionale nel mondo della finanza. Inoltre, ha già ha ricoperto incarichi ministeriali nei governi precedenti: dal 2009 al 2015 è stato ministro delle Finanze, e fino al 2018 ha vestito i panni di viceministro dell’Economia. In più, è un fautore del ritorno della Turchia a un sistema economico su base razionale. Insomma, l’obiettivo è riportare l’ortodossia economica nella politica finanziaria del Paese, al fine di ripristinare la fiducia degli investitori. Ricordo che Bernardo Kliksberg, noto economista argentino, sosteneva che l’ortodossia economica, generalmente, è stata “sconfitta intellettualmente”. Ma il Governo turco ha un controllo sull’equilibrio socio-economico, che può ignorare la “sconfitta intellettuale”.

Ma a livello internazionale la questione più scottante è l’ingresso della Svezia nella Nato, preclusa per tredici mesi dal veto turco, nonostante i vari ammiccamenti tra Stoccolma e Ankara. Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, presente il 3 giugno alla investitura di Erdoğan, ha espresso la volontà di ottenere “il placet turco” sulla Svezia prima del vertice dell’Alleanza Atlantica, previsto a luglio a Vilnius. Eppure, il messaggio agli svedesi e all’Onu dell’ex ministro degli Esteri, Mevlüt Çavusoglu, sostituito nel nuovo Governo da Hakan Fidan – ex capo del Mit, Servizio di intelligence turco – è lapidario: “Gli svedesi devono prendete misure concrete nella lotta al terrorismo e il resto verrà da sé”. Praticamente, su queste basi non si scorgono soluzioni all’orizzonte.

Probabilmente, un cambiamento di rotta politica in Turchia è difficilmente prevedibile. Ricordo quanto il neopresidente ha dichiarato nel suo discorso di insediamento, dove ha rammentato che proteggerà l’integrità della patria, la sua indipendenza, la sovranità senza condizioni (affermazione diretta anche all’Onu) e lo Stato di diritto. Ma ha anche esaltato i principi laici della Repubblica, come concepito dal “padre dei Turchi”, Kemal Atatürk. Se non fosse che proprio lui ha de-laicizzato in questi ultimi venti anni la Turchia e che è il sostenitore delle posizioni islamo-conservatrici del Paese.

Forse, è solo una consolidata posizione con “funzione politica”, non un “credo”. Ma tanto basta a disegnare l’attuale Turchia come una nazione che coltiva uno spiccato conservatorismo sociale.

Aggiornato il 12 giugno 2023 alle ore 14:02