Erdoğan si allontana dal laicismo di Atatürk

Durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali in Turchia, spesso è stato evocato il centenario della nascita della Repubblica (dopo il trattato di Losanna del 1923) ed è stato ricordato il suo fondatore, il laico Mustafa Kemal Atatürk. Tuttavia, mai il Paese è stato così lontano dall’ideologia del suo “creatore” come oggi. In ogni occasione dove ho la possibilità di ricordare la Turchia di Atatürk, rammento il grande passo fatto dal suo primo presidente verso il laicismo, nonostante le “ombre armene” e le iniziative di Recep Tayyip Erdoğan contro quel laicismo.

Erdoğan è al potere dal 2003 come primo ministro e dal 2014 come presidente. La sua rielezione alla guida del Paese è stata supportata da una percentuale del 52 per cento dei consensi, contro il 47 per cento del suo avversario, Kemal Kiliçdaroglu. Un esito non sorprendente, avendo ottenuto al primo turno del 14 maggio il 49,5 per cento dei voti. Così, il presidente con aspirazioni neo-ottomane potrà governare per altri cinque anni con modalità interne autoritarie, incarcerando gli oppositori – giornalisti, intellettuali e politici – come ha fatto con il principale avversario per le presidenziali, il sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu, condannato nel dicembre del 2022 a due anni e sette mesi di carcere. Inoltre, potrà continuare nello spegnimento di quelle fiammelle di laicità ancora accese, soffocando la stampa e le ideologie avverse, con una politica estera mirata esclusivamente a inserire la Turchia al centro delle attenzioni e dei corteggiamenti internazionali, anche quelli più ambigui, ma soprattutto posizionandosi diplomaticamente nella “periferia” della Nato.

Diventato sindaco di Istanbul nel 1994, appoggiato da un partito islamista il Refah Partisi, ovvero “partito della Prosperità”, disse che la “democrazia è come un tram, quando arriva alla fermata si scende”. E questo fu il suo slogan politico nel momento in cui divenne Presidente della Repubblica.

Adesso Erdoğan, che ha già surclassato il fondatore Atatürk come “longevità alla presidenza, ha ringraziato i suoi elettori con lusinghe, minacciando gli oppositori perdenti. Ha esaltato il voto popolare che lo ha premiato, giurando di mantenere le promesse elettorali, incastonando la sua elezione nel centenario della nascita della Repubblica, proiettata verso le porte del suo secondo secolo di vita. Infine, ha assicurato ai suoi elettori: “Andremo insieme al cimitero”. Ipotecando, quindi, la sua presidenza a vita.

Ma oltre l’ottimismo, tipico di quelle personalità che hanno un rapporto familiare con l’onnipotenza, ha demarcato la sua distanza dalla politica degli oppositori, quando ha sbeffeggiato il suo antagonista con un “ciao ciao Kemal”, attaccando in modo offensivo Kiliçdaroglu, come ha fatto durante tutta la campagna elettorale, su temi sociali. Durante la sua proclamazione, ha ipotizzato in modo beffardo che i partiti di opposizione fossero Lgbt, ribadendo alla folla la sacralità della famiglia, il divieto (haram) di esercitare violenza sulle donne. Minacciando, infine, di strozzare i trasgressori. Ascoltando i suoi discorsi, si nota che l’euforia della vittoria lo sta proiettando oltre, soprattutto quando ha annunciato le prossime elezioni comunali del 2024: “Dovremo essere pronti a riconquistare Istanbul”. Questa città gli ha dato i natali, era la sua roccaforte. E nel 2019 fu conquistata in modo epico dall’opposizione.

Insomma, né le conseguenze del terremoto del 6 febbraio, né la crisi monetaria, né le oltre 200mila inchieste legali aperte per oltraggio al presidente, né l’inflazione al 44 per cento, né la lira turca che ha perso più della metà del suo valore in due anni hanno incrinato le capacità di Erdoğan di restare al potere (dai sondaggi effettuati alla vigilia del primo turno era stato dato perdente). Una sfida contro tutte le previsioni che vedevano la fine del suo “sultanato”. Ora, invece, si avvia verso il terzo mandato quinquennale, dove godrà di poteri praticamente illimitati.

Erdoğan è comunque l’uomo politico più popolare della Turchia dai tempi di Atatürk. Idolatrato dai suoi elettori e odiato dai suoi oppositori, che mal sopportano la “statura da sultano” che si è costruito. È, nonostante tutto, una personalità dominante nella scena politica turca, oltre a essere un personaggio “osservato” nell’ambito internazionale. La realtà è che Erdoğan resterà al potere almeno fino al 2028. Potrà cesellare il profilo della Turchia secondo la sua volontà, che è quella di costruire una Seconda Repubblica che dovrà essere più religiosa, più autocratica, più orientata verso i Paesi del Golfo, verso la Russia e la Cina. Meno verso la Nato e l’Occidente. Si tratta di un equilibrismo complesso, diretto verso un generale riordino geopolitico, in attesa anche che Ankara tolga il veto all’ingresso della Svezia nell’Alleanza atlantica, bloccata dal maggio 2022.

Aggiornato il 01 giugno 2023 alle ore 10:01