Congo-meticci: gli infiniti residui del colonialismo

Senza retorica moralista, ma con una visione storico-sociologica, non si può affermare che il colonialismo, in genere, sia stato un barlume di luce di civiltà in un contesto oscuro di “naturalità”. Esigui chiari e abbondanti scuri hanno caratterizzato questa contaminazione sociale, raramente definibile come arricchimento sociale. Ma, soprattutto, lo sfruttamento ha sempre sepolto anche quegli scarsi aspetti umanitari che, in pratica, non sono contemplati nel concetto di colonizzazione. Tuttavia, non potendo indugiare su un articolo di giornale come fosse un saggio, è interessante osservare anche gli effetti a lungo raggio di questo “ordinario” fatto storico. Così, ci troviamo oggi a conoscere “problematiche differite”, nate 70-80 anni fa, come il caso delle donne meticce delle colonie belghe.

Fino a esattamente due anni fa, il popolo belga era quasi all’oscuro del dramma che il destino segnava ai nati dai rapporti tra uomini bianchi e ragazze nere durante la colonizzazione del Congo (conferenza di Berlino 1884-85/ 1908-1960). Nulla era trapelato circa questo crudo fenomeno, fino a quando alcuni “meticci”, oggi settantenni, hanno deciso di incaricare un avvocato per narrare il loro destino da bambini mulatti (derivazione dal termine portoghese “mulato”, incrocio), e per accusare lo Stato belga di “crimini contro l’Umanità”. Tutto si incardina, essenzialmente, su una legge coloniale non scritta, ma in vigore sin dall’inizio della costituzione in colonia da parte di Leopoldo II, nel 1908, che principalmente proibiva ai colonizzatori bianchi del Congo, poi dopo il 1925 anche del Rwanda e del Burundi, di procreare (non di avere rapporti sessuali) con donne di colore. Se ciò si fosse riscontrato palesemente, la pena sarebbe stata l’espulsione. Ciò che veniva impartito come dogma e come monito alla popolazione autoctona e alle numerose bambine e bambini nati da questi rapporti, sovente coperti da violenze, era che “Dio ha creato gli uomini, bianchi o neri; è stato il diavolo a creare i meticci. Il frutto dei rapporti tra bianchi e nere nasceva e cresceva con la consapevolezza di essere una minaccia, sia per i bianchi che per l’equilibrio sociale, e che avrebbe potuto minare il potere coloniale. Quindi, questi bambini meticci, strappati alle madri, venivano destinati a crescere in una sorta di clausura nelle comunità religiose belghe del Congo. Agli adolescenti veniva raccontato che questo isolamento gli avrebbe evitato “una vita da negro”, ma in realtà erano i padri bianchi che non potevano riconoscere i nati, pena una espulsione certa.

In effetti, il loro destino era quello di essere sfruttati e non curati. Di norma, venivano mandati in altre confraternite religiose molto distanti dal luogo di nascita. Scarsamente nutriti e mal vestiti, erano sovente dei servi, che venivano utilizzati dai religiosi incaricati del loro indottrinamento e della loro educazione come manodopera quasi gratuita, se escludiamo il minimo mantenimento vitale.

I contingenti dell’Onu, Organizzazione delle Nazioni Unite, dopo l’indipendenza del Congo, avvenuta nella violenza a metà del 1960, raggiunte le varie sedi degli istituti religiosi, si occuparono di evacuare solo il clero belga, preti e suore, lasciando questi orfani creati” in totale abbandono. Ma questo era l’aspetto meno grave. Infatti, in molti casi queste sedi clericali furono trovate dai ribelli congolesi, che vedevano i mulatti con ostilità, perpetrando così tutta una serie di aggressioni su queste bambine e su questi bambini “diversi”, che portavano sulla loro pelle l’onta di avere metà sangue dei colonizzatori.

Oggi, leggendo la stampa belga, si apprende che cinque donne mulatte, nate dai rapporti tra bianchi belgi e nere congolesi durante il colonialismo, hanno intentato una causa contro lo Stato belga per la sua politica di strappare i bambini “mulatti” dalle loro madri, per poi collocarli in quegli istituti religiosi dove spesso venivano sfruttati. Tra queste donne si è fatta portatrice del crudo caso Noëlle Verbeken – il cognome è del padre – nata nell’ex Congo belga (nel 1945) dalla quindicenne madre congolese e dal belga, funzionario del servizio civile coloniale, il quasi sessantenne Auguste. Per legge, ma è meglio dire per consuetudine, visto che era solo “verbale”, Auguste non riconobbe Noëlle. Nel 1948, lasciando la giovane madre all’oscuro, la bambina – i meticci venivano definiti “figli della vergogna e del peccato” – fu trasferita in un istituto religioso, dove la loro crescita era sotto il controllo del regime coloniale.

Adesso, gli avvocati incaricati dalle donne, dopo una prima istanza respinta dal Tribunale di Bruxelles nel 2020, tesa a dimostrare che le autorità belghe sono colpevoli di crimini contro l’umanità perpetrati durante il colonialismo, hanno potuto consultare l’Archivio generale del Regno, reperendo carteggi mai visonati prima. Ciò ha permesso ai legali di avviare una nuova richiesta alla Corte d’Appello, che dovrà stabilire la data della nuova udienza, per ottenere il riconoscimento morale della sofferenza subita e il relativo risarcimento economico.

Ricordo che, nell’opera di educazione, ai “frutti del peccato” veniva detto che lo Stato belga era il loro vero “padre” e la Regina la loro “madrina”. Ma quando negli anni Settanta la maggior parte di queste bambine giunse in Belgio e cercarono la regina Fabiola (1928-2014), la loro madrina, moglie del re Baldovino (1930-1993), il “Palazzo” trattò le “figliastre” come comuni migranti, indirizzandole verso i servizi di assistenza sociale.

Tuttavia, la prima decisione del tribunale belga getta un’ombra sia sulla volontà politica che ha deliberato il fatto come non sussistente, perché allora tali azioni non erano riconducibili alla violazione dei diritti umani, sia sulla reticenza che il Belgio ha esercitato per anni. È evidente che una ammissione di colpa innescherebbe un riconoscimento a catena della violazione dei diritti umani relativa al periodo coloniale, probabilmente insostenibile dal Regno. Intanto, in questa prima fase le donne meticce sono state condannate anche al pagamento delle spese processuali.

Questa “segregazione mirata” e le sue conseguenze restano una ulteriore macchia sul colonialismo che, a distanza di sessant’anni dalla sua fine, marca ancora gli animi delle vittime. Non bisogna comunque dimenticare la cronica destabilizzazione politico-sociale che le ex colonie vivono, dove le atrocità che vengono commesse spesso offuscano anche quelle compiute dai colonizzatori.

Aggiornato il 29 maggio 2023 alle ore 10:26