Pakistan: l’esercito fulcro della crisi politica

La Repubblica islamica del Pakistan è immaginata, dalla comune opinione, come uno Stato abbastanza aperto a ogni tipo di compromesso, fattibile quasi con chiunque, talebani compresi. E che ha accolto come capo del Governo, dal 2018 al 2022, Imran Khan l’ex playboy ed ex re del cricket, sport nazionale. Una espressione politica rassicurante e solida.

Il Pakistan – nato dall’indipendenza avvenuta nel 1947 – è caratterizzato da una ambiguità di fondo, tipica in certi contesti sociali, che è quella dell’invasivo ruolo dell’esercito nella gestione del potere politico. Allora, i civili governavano e l’esercito seguiva e tutelava la solidità dei governi. Questo bilanciamento iniziò a sgretolarsi quando, nel 1958, fu emanata la prima legge marziale. Così, gradualmente, i ruoli si sono invertiti, i militari condizionano la politica e gli attori civili. L’esercito ha legalmente acquisito potere e ambiti di competenza specifica, guadagnando nel tempo una autonomia rispetto al Parlamento.

Di seguito al controllo dei militari sullo Stato, scaturì un conflitto di competenze tra autorità civili e generali, che portò alla mutilazione e in molti casi all’annichilimento di quasi tutte le istituzioni, compreso il sistema giudiziario dove civili e militari si contendono gli ambiti operativi. Altresì, la burocrazia civile non ha facoltà di agire sui domini che dovrebbero essere di sua prerogativa e, fiaccata amministrativamente, non può concludere i suoi procedimenti, inficiando il proprio ruolo istituzionale. Di conseguenza i partiti politici, sfiduciati dell’istituzione parlamentare, brancolano nel disorientamento non sapendo come organizzare il loro potere in Parlamento. Negli anni Novanta, quando l’esercito ha operato per imporre la sua egemonia politica, ma anche economica e in particolare intellettuale, questa diatriba tra generali e civili si è acuita.

Ora, la crisi in Pakistan è esplosa, conclamata da un movimento di protesta che si è organizzato martedì 9 maggio dopo l’arresto per corruzione dell’ex capo del Governo, Imran Khan. Il blitz è stato coreografico: i ranger del Punjab, in tenuta da combattimento, hanno arrestato e trascinato Khan su un’auto blindata. L’operazione è stata ordinata dall’Alta corte di Islamabad. Tuttavia, Umar Ata Bandial, presidente della più alta Corte del Paese, la Corte Suprema, ha dichiarato “non valido” l’arresto di Imran Khan.

Ma perché il Governo e i generali hanno deciso di arrestare Imran Khan, con il rischio di far piombare il Paese nel caos? La motivazione scatenante è stata che il 6 maggio l’ex primo ministro ha accusato un generale dei Servizi segreti dell’Isi, Inter-Services Intelligence, di essere l’organizzatore dell’attentato del novembre 2022, dove fu gambizzato. Eppure l’attentatore, dopo l’arresto, confessò di aver agito da solo. Ipotesi non credibile. Infatti, i manifestanti hanno fatto irruzione proprio nella residenza dell’ufficiale dell’Isi a Lahore. Altri hanno bloccato i cancelli d’ingresso del quartier generale dell’esercito a Rawalpindi, prima di essere brutalmente respinti.

Quindi Khan è l’unico baluardo contro il potere militare? In questo momento, la sua immagine è quella di un ostacolo all’invadenza militare, ma in realtà il suo arresto è stato favorito da alcuni partiti politici che hanno chiesto l’appoggio dell’esercito per bandirlo dalla politica e magari cacciarlo dal Paese. Ricordo che l’ex primo ministro, nel 2018, giunse al Governo con l’appoggio dei militari, con i quali quasi subito maturò dei dissensi legati alla gestione dell’Esecutivo. È evidente che nulla si muove in Pakistan senza l’avallo o il supporto dei generali. La sua liberazione e la momentanea vittoria legale dell’ex premier è comunque fragile e stabilita solo per due settimane. Il ministro della Giustizia pakistano ha chiesto a Imran Khan di esortare i suoi sostenitori alla calma, ma la risposta dell’ex primo ministro è stata che il suo partito, il PtiPakistan Tehrik-e-Insaf – “crede nella Costituzione e vuole elezioni immediate”. Tuttavia, violente proteste sono esplose ad Islamabad e in molte altre città, dove i sostenitori del suo partito si sono scontrati con la polizia, che ha riagito con gas lacrimogeni e sfollagente (non sono state usate armi da fuoco). Comunque, gli scontri hanno causato il ferimento di quasi centocinquanta agenti e sono stati arrestati oltre mille cittadini. La criticità della situazione ha indotto il Governo a bloccare internet in varie aree del Paese, per impedire la comunicazione tra i manifestanti.

Resta il fatto che la corruzione in Pakistan è la malattia nazionale. Imran Khan ha centinaia di procedure per clientelismo tutte mosse dal Governo di Mian Muhammad Shehbaz Sharif. Dopo la sua deposizione avvenuta nell’aprile del 2022 per una mozione di censura, lo scopo è quello di cancellarlo politicamente. L’attuale capo del Governo, meglio conosciuto come Shehbaz Sharif, teme ancora l’influenza che Khan esercita nel Paese. Infatti, rimane enormemente gettonato in molte fasce sociali, soprattutto popolari.

Questa crisi interna è l’ultima cosa di cui ha bisogno oggi il Pakistan, che conta circa 235 milioni di abitanti e che sta attraversando un periodo piuttosto complesso, anche a causa dei movimenti estremisti armati coinvolti nei conflitti in Kashmir e Afghanistan. Oltre ai gravi problemi causati da forti siccità.

Ma il Governo, che ha già contestato la decisione della Corte Suprema, intende trovare altri mezzi legali per eliminare il suo avversario e la possibilità di votazioni. Il ministro dell’Interno Rana Sanaullah Khan ha dichiarato durante una intervista ad un canale televisivo che: “Lo arresteremo di nuovo”. In realtà, la chiave della crisi pachistana è proprio l’onnipotenza dei generali, spina dorsale di un Paese nato dalle violenze del 1947. Un Paese che ricordo è dotato di armi atomiche e dell’Isi, un sofisticata Agenzia di servizi di intelligence dotata di una pericolosità non lontana da quella di un ordigno nucleare.

Aggiornato il 22 maggio 2023 alle ore 10:11