Tunisia: crisi politica e cadaveri dei migranti

Sotto la presidenza di Kaïs Saïed la Tunisia è piombata in un vortice di problematiche, politiche e sociali, che stanno demolendo quel profilo di “Stato abbastanza democratico”, punto d’eccellenza per un Paese africano. Tra le molteplici criticità che emergono da quest’area, quella della migrazione è un aspetto molto appariscente a causa dell’impatto socio-economico-politico che ha oltre i confini nazionali, in Italia in particolare.

Quest’anno la Tunisia è diventata il punto di partenza principale per i migranti che hanno l’obiettivo di attraversare il Mediterraneo. Così il porto di Sfax è diventato un luogo dove vengono raccolti i corpi dei migranti naufragati davanti alle coste. Qui, una scena che si ripete spesso è quella di vedere familiari sopravvissuti al naufragio che piangono i parenti che non sono riusciti a salvarsi. Sempre a Sfax è all’ordine del giorno vedere i camion della Protezione civile che caricano i cadaveri per portarli all’obitorio dell’ospedale cittadino Habib-Bourguiba. In questo nosocomio i corpi recuperati, sia in mare che sugli arenili, vengono sottoposti ad autopsia prima della sepoltura. Una procedura complessa e lunga, a causa dell’enorme numero di cadaveri presenti e afferenti anche dagli obitori dei piccoli ospedali delle città limitrofe.

Il centro sanitario di Habib-Bourguiba è quello più sotto pressione, come accaduto a fine aprile, quando ha ricevuto oltre duecento cadaveri – ma l’istituto può contenerne massimo cinquanta – che sono stati poi trasportati all’obitorio. I morti non hanno identità e non è necessario darne una. Nei casi maggiori provengono dall’area sub sahariana e saheliana. L’autopsia che obbligatoriamente viene effettuata serve a registrare la causa del decesso, che generalmente è per annegamento. Ogni cadavere ha un fascicolo con un numero e una traccia di dna per eventuali future indagini o richieste.

Il cimitero comunale di Essadi si trova a circa 20 chilometri a nord di Sfax, da tempo sta accogliendo molte salme ritrovate nelle acque antistanti. Secondo testimonianze locali, risulta che anche in quel luogo la situazione sia caotica. Infatti, la maggior parte delle tombe sono anonime: solo un numero, a volte ripetuto, contrassegna la sepoltura del migrante. Inoltre, queste inumazioni sono precarie, prive delle minime accortezze del caso. Dalle fosse malamente coperte emerge un odore acre, di morte, di putrefazione, che attrae le mosche. Questo denunciano gli abitanti del luogo.

Obitori, celle frigorifere e cimiteri sono saturi. L’anno scorso le autorità di Sfax avevano assicurato che avrebbero destinato delle aree specifiche per seppellire i migranti africani del centro-nord, molti di religione cristiana. Pertanto, anche alla sepoltura viene data una identità religiosa. Tuttavia, nonostante il forte impegno nell’affrontare questa triste emergenza, in modo coordinato tra alcune cittadine limitrofe, le criticità rimangono. Come per l’Italia dove il flusso migratorio è incalzante, soprattutto in questi ultimi mesi, così proporzionalmente per l’area di Sfax “l’emergenza cadaveri” è altrettanto pressante. A oggi, ogni azione intrapresa dal ministero della Salute tunisino, dalla Direzione regionale sanitaria, dagli ospedali, è stata solo una: tamponare l’emergenza. L’enorme difficoltà a organizzare gli effetti tragici di questa dinamica migratoria si scontra con gli attori coinvolti: gli scafisti che almeno operano chiaramente. E le varie “ong commerciali” che, ambiguamente, sventolano la “bandiera umanitaria”.

Quasi quotidianamente le autorità tunisine comunicano il recupero di decine di corpi di migranti sulle spiagge nella zona centro-orientale tunisina. Sfax, che dista circa 180 chilometri da Lampedusa, è considerata il punto di partenza migliore per i barconi di migranti diretti in Italia. Le guardie costiere dichiarano un aumento del trecento per cento delle partenze da quest’area rispetto al 2022. Secondo Ftdes, Forum tunisino per i diritti economici e sociali, specializzato nell’assistenza ai migranti, quasi l’ottanta per cento delle partenze è avvenuto dalle coste di Sfax e Madia.

Da parte sua, la Guardia nazionale costiera tunisina spesso non indugia a speronare con i suoi gommoni, dal fondo rigido, le deboli imbarcazioni dove spietati commercianti di migranti “vendono a caro prezzo” un posto a bordo. Così, numerose testimonianze accusano la Guardia costiera di rubare i motori di queste imbarcazioni, determinando un destino certamente tragico agli esuli. A causa di queste violazioni del diritto marittimo internazionale e dei diritti umani, diverse organizzazioni hanno esortato l’Unione europea a revocare gli accordi con le autorità tunisine, finalizzate a fornire supporto alla lotta all’immigrazione clandestina. Accordi che hanno come base incalcolabili somme di denaro.

Comunque, gli africani subsahariani non sono gli unici a tentare l’attraversata verso l’Italia: anche molti tunisini seguono la via dell’emigrazione. La crisi economica e politica ha portato l’inflazione in Tunisia all’11 per cento, il tasso di disoccupazione generale è oltre il 15 per cento e quello relativo ai giovani a quasi il 40 per cento. Insomma, un’emergenza socio-politica che oltrepassa, non solo con i barconi, i confini nazionali. E sfocia verso derive politiche che trascinano i governi “accoglienti” o meno, Italia e Francia in testa, in acque tempestose comuni.

Aggiornato il 15 maggio 2023 alle ore 09:51