Sudan: il rischio di una destabilizzazione regionale

Appurato che nella maggior parte dei Paesi africani la rotazione al potere governativo si celebra con colpi di Stato, in Sudan – a circa un anno e mezzo dal golpe del 25 ottobre 2021 ordito da Abdel Fattah Al-Bourhane, che ha tolto alla Nazione la speranza di avviarsi verso una transizione democratica – aleggia nuovamente l’ombra di un putsch.

Le operazioni, sia interne che internazionali, per la strutturazione di un sistema tendenzialmente democratico dello strategico Stato africano erano iniziate nel 2019, dopo la deposizione del dittatore e genocida (Darfur) Omar Al-Bashir. Dalla fine di agosto 2019 al giorno del golpe di ottobre 2021, il Governo è stato retto da un civile, Abdallah Hamdok, un uomo politico che avrebbe dovuto condurre il Sudan, a suon di “finanziamenti esteri”, verso una stabilizzazione politica, fondamentale per un complessivo equilibrio dell’area centro-nordorientale africana.

Ma il generale golpista Al-Bourhane, che ha deposto Hamdok in collaborazione con il capo delle Fsr, Rapid Support Forces, Mohammed Hmadan Daglo detto “Hametti”, uniti nello scopo comune di estromettere i civili dal Governo, non è riuscito a consolidare il suo potere. Al-Bourhane è a capo di una giunta militare dove Hametti è il numero due. Le cause maggiori che non hanno permesso al generale Al-Bourhane di stabilizzare il Sudan e il suo potere, semplificando, sono due: la prima è che da subito c’è stata una ambigua condivisione del “timone” con l’altro generale, “Hametti”, il quale subdolamente ha sempre denunciato il colpo di Stato schierandosi con i “civili”, quindi contro Al-Bourhane ogni volta che quest’ultimo tentava di imbastire trattative per superare la crisi. Tale ostruzionismo tattico ha impedito che si potesse realizzare ogni eventuale progetto di superamento delle divisioni interne, oltre a mantenere precaria la posizione del Capo del governo golpista.

L’altra motivazione è che il giorno successivo al golpe del 25 ottobre gli aiuti internazionali sono stati bloccati. Infatti, sono stati immediatamente congelati quasi 4,7 miliardi di dollari destinati allo sviluppo dei sistemi di produzione energetica, al miglioramento della sanità, dell’agricoltura. Inoltre, sono stati bloccati fondi finalizzati a programmi di sostegno alle famiglie povere ed emarginate. Come da prassi, in mancanza di fondamentali flussi di dollari da “oltre confine”, Al-Bourhane per corroborare le casse dello Stato, quindi per comprare armi ai russi e per rafforzare l’esercito, e altri sistemi di interesse, ha deciso di aumentare drasticamente le tasse a un popolo già drammaticamente sofferente. Questa operazione di “alta strategia economica!” ha causato una impennata globale dei prezzi dell’energia e degli alimenti, il tutto favorito anche dalla guerra in Ucraina che ha rallentato e diminuito l’arrivo di derrate alimentari sia dalla Russia che dall’Ucraina.

Ora le tensioni tra i due generali sono esplose, facendo piombare il Paese in un mortale caos. Il 15 aprile sia a Khartoum che in diverse località del Sudan sono scoppiati aspri combattimenti tra l’esercito sudanese del generale Al-Bourhane, e la milizia paramilitare di “Hemetti”. Da sabato incessanti colpi di artiglieria e alcuni attacchi aerei hanno determinato l’intensità dello scontro e i combattimenti si stanno incentrando sull’occupazione di siti strategici, come aeroporti e basi militari. Intanto, nella capitale Khartoum si fronteggiano piccoli gruppi di soldati con pick-up armati e mezzi blindati, mentre le milizie paramilitari delle Fsr invitano la popolazione a unirsi a loro contro il Governo golpista!

Ma per comprendere quanto questa situazione preoccupi tutti gli Stati dell’area basta vedere l’impegno diplomatico dei Paesi limitrofi. Così l’Ua, Unione Africana, e l’Igad, Autorità Intergovernativa per lo Sviluppo, che riunisce otto Paesi dell’Africa orientale compreso il Sudan, si sono incontrati per cercare di tracciare una rapida soluzione alla guerra. Inoltre, la Lega Araba, su richiesta egiziana, ha informato che si farà un incontro urgente a Riyadh dove dovranno trovarsi le parti in conflitto. La Lega araba e l’Egitto sono molto vicini ad Al-Bourhane, il quale il giorno prima del golpe del 2021 era al Cairo al fianco del presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi. Anche l’Onu, la Russia e il G7 hanno chiesto, con modalità diverse, un cessate il fuoco immediato. Tuttavia, al momento si registra un netto fallimento dei tentativi di conciliazione da parte delle varie diplomazie e delle forze politiche. Tutti hanno dichiarato di mediare da diversi giorni ma senza successo.

In realtà, la querelle è incardinata sulla richiesta delle milizie Fsr di entrare organicamente nell’Esercito regolare; al momento, qualsiasi ritorno verso una transizione democratica passa attraverso questa integrazione di forze non regolari e regolari. Per adesso, l’Esercito ha posto delle condizioni: infatti, può concedere tale integrazione solo con una subordinazione chiara e duratura delle Fsr. Tuttavia, il generale Mohammed Hmadan Daglo – oltre a rivendicare un'ampia inclusione delle Fsr – chiede un posto all’interno dello Stato Maggiore. È questa disputa che sta impantanando i negoziati, ma soprattutto blocca la riapertura del “rubinetto” dei finanziamenti internazionali per il Sudan.

Ricordo che è uno dei Paesi più poveri del mondo, che ha una tendenza islamista spiccata, e che oltre l’86 per cento delle donne subisce la mutilazione genitale, tale orrenda pratica è illegale solo dal 2020. Secondo le Nazioni Unite, da sabato negli scontri hanno perso la vita almeno duecento persone e quasi 1900 sono i feriti. Questo ha spinto diverse Ong e agenzie Onu a sospendere tutti gli aiuti.

Aggiornato il 20 aprile 2023 alle ore 10:03