Possiamo vincere? Global West contro Global South

Innanzitutto: “Chi siamo noi” e “Chi sono loro”? Sostanzialmente, noi, il Global West, siamo quelli che hanno già perso demograficamente il confronto con il resto del mondo. Gli altri, quindi sono tanti e molto più numerosi di noi. In buona sostanza, ben più della metà del pianeta ci vede come dei privilegiati ricchi ed egoisti, che non fanno più figli e trovano nelle migrazioni di massa la forma indiretta di un nuovo schiavismo economico. In pratica: prima la razza “White” ha depredato, sterminato e deportato gli autoctoni di ben due continenti, Africa e America, per poi fare il mea culpa del tutto inutilmente, visto che i nuovi leader africani e amerindi sono molto peggio di noi, ex colonizzatori! Quindi, secondo i nostri detrattori, noi ci saremmo vergognati del nostro passato di imperialisti e guerrafondai, per poi oggi strangolare “legalmente” gli ex sudditi avvalendoci del nostro strapotere tecnologico e finanziario.

Per di più, sfruttiamo come e più di ieri le loro materie prime grazie a sistemi di potere locali corrotti che colludono con gli interessi economici del neocapitalismo mondiale. Però, intanto, i rinati imperi nazionalisti di Russia e Cina, nemici giurati del Global West, hanno avviato una loro originale guerra di conquista dei Paesi non allineati in base a due diverse e inedite modalità imperialiste. Da un lato, Pechino sta esportando il suo confucianesimo capitalcomunista (per quanto approssimativo sia quest’ultimo concetto) che privilegia sopra ogni cosa il fare, per cui si mettono a disposizione immensi capitali cinesi della Road & Belt Initiative a beneficio dei Paesi non allineati del Global South

In base a questa nuova filosofia per cui l’Impero cinese c’è ma non si vede, si erogano prestiti ai Paesi meno sviluppati, ma ricchissimi in genere di materie prime e/o geograficamente strategici, per la costruzione di grandi infrastrutture, acquisendo nel contempo diritti di sfruttamento di aree infrastrutturali (porti, grandi impianti produttivi) e di giacimenti di materie prime. Rafforzando così e mettendo in sicurezza in primo luogo la crescita economica e industriale della Cina stessa. Fa testo, in questo senso, la strategia praticata con indiscusso successo da Pechino per assicurarsi proprietà o concessioni di sfruttamento di materie prime strategiche di terre rare, di cui abbondano America Latina e Africa. Il tutto, abbinato alla politica ultranazionalista di Xi Jinping, per cui ciascuno Stato sovrano, essendo indiscusso padrone a casa propria, ha diritto a veder rispettati i suoi confini internazionalmente riconosciuti e a non essere sanzionato e/o condannato per il mancato rispetto (all’interno del proprio Stato) dei diritti umani e delle libertà individuali. La difesa di questi ultimi, per di più, è considerata dalle autocrazie come un’ingerenza del tutto indebita da parte del Global West, che intende dettare legge al resto del mondo con la sua ideologia liberal-democratica, sulla base di un codice internazionale dei diritti che il Global South non intende più riconoscere.

Per cui, ad esempio, gran parte del mondo non occidentale pensa che l’invasione dell’Ucraina sia l’ennesima, più vasta guerra per procura da parte di Usa e Nato, che intendono distruggere militarmente ed economicamente la Grande Madre Russia di Vladimir Putin. Quest’ultimo, a quanto pare, ha fatto ricorso senza più pudore né foglie di fico ideologiche alla forma più primitiva (cioè militar-economica) di imperialismo, decidendo, grazie a un ampio consenso popolare, di riconquistare con la forza e il ricatto militar-energetico i territori perduti con la dissoluzione dell’Urss. Dato che, in fondo, dietro il paravento marxista-leninista, l’Unione Sovietica non fu altro che la continuazione dell’impero zarista sotto altre forme e un diverso nome. Distinguendosi nettamente dal suo “socio” di necessità, Xi Jinping, Putin pratica sfacciatamente la politica delle armi e dei corpi mercenari extrastatuali, per affermare con mezzi molto limitati il proprio diritto di influenza e ingerenza in Stati africani falliti (ma geograficamente e/o economicamente strategici per loro ricchezza di materie prime), in cui né l’Occidente in declino, né i regimi locali hanno più il controllo della situazione.

Nella guerra ibrida contro il Global West praticata con identico accanimento da Russia e Cina, Mosca ha un’arma in più in quanto non nutre alcun rispetto né delle frontiere internazionali, né del principio cinese di non ingerenza negli affari interni altri Paesi. Del resto, il Cremlino ha favorito e fomentato attraverso la Wagner la destabilizzazione interna di Paesi in crisi come la Libia e il Sudan, con l’appoggio a movimenti e milizie armate che si contrappongono ai regimi interni. In questo quadro, la forte pressione migratoria alle frontiere comuni dell’Europa fa parte della guerra ibrida di Putin, per costringere i Paesi europei interessati a fare un passo indietro sull’appoggio politico e militare all’Ucraina. Ora, qual è il nostro (si spera, incolmabile) vantaggio su centinaia di Paesi non allineati e, in gran parte, ostentatamente ostili allo strapotere del Global West? In primo luogo la loro frammentazione, che li priva di un quadro coerente di risorse comuni, non potendo vantare né un’alleanza militare che si rispetti, né una forma di coesione politica, anche perché non possiedono un seggio permanente in seno al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Del resto, che cosa mai potranno avere in comune Stati come India, Brasile e Qatar dipendenti da Cina e Russia per le rispettive forniture di armamenti, di tecnologia e di semiconduttori, per di più pagando il tutto in dollari? Tuttavia, il rischio non va sottovalutato, come non si stanca di ripetere l’inglese The Economist che, nell’edizione del 15 aprile, etichetta le 25 più grandi economie non allineate come “transazionali”, perché pensano solo al proprio tornaconto, non avendo imposto sanzioni alla Russia ed essendosi dichiarati neutrali rispetto alla contesa sino americana.

Costoro non solo rappresentano il 45 percento della popolazione mondiale, ma il loro Pil complessivo è passato dall’11 percento della fine degli anni 80 al 18 percento attuale, superando in crescita la Ue per quello stesso periodo di riferimento. Allo stato dell’arte, infatti, dopo decenni di globalizzazione senza regole, il mercato internazionale degli scambi è divenuto di fatto multipolare, con tre diramazioni principali che corrispondono alle aree economiche dell’Occidente, della Cina e dei restanti Paesi non allineati. In secondo luogo, l’atteggiamento verso il resto del mondo dei transactional-25 si è dimostrato rudemente pragmatico e finalizzato allo sviluppo economico nazionale: i nuovi protagonisti emergenti desiderano che la globalizzazione non si interrompa, e rivendicano il diritto di commerciare liberamente con entrambi i contendenti (Cina e Usa). Ed è proprio in nome del pragmatismo che si registra la loro crescente insofferenza verso le istituzioni post-1945 create dall’ordine americano, come Onu e Fmi, considerate decadenti e inutili. Il risultato, osserva The Economist, “è un approccio fluido, transazionale di questi Paesi non allineati verso il resto del mondo, per trarne qualche vantaggio” politico ed economico.

A volte si agisce da soli, a volte in coalizioni secondo le opportunità. Così l’Opec taglia del 4 percento la sua produzione di petrolio, malgrado la pressante richiesta dell’Occidente di aumentarla; mentre la Turchia fa da cavaliere solitario vendendo armi all’India e droni a entrambi i belligeranti in Ucraina. Per i più grandi dei non allineati, la difesa dei valori liberali e dei diritti umani da parte delle democrazie non è che un mezzo, inconsistente e ipocrita, per perpetuare il potere del Global West nel mondo. Per controbilanciare il tutto a favore del Global South farà da volano la prossima presidenza di turno dell’India al G20. New Delhi, infatti, intende cogliere l’occasione per aumentare la vendita dei suoi servizi digitali nell’ambito del Global South, che a sua volta ha interesse ad attrarre verso la propria area geografica trilioni di capitali “fluidi” in petrodollari.

In materia di riscaldamento globale, i transactional-25 sono intenzionati a far sentire la propria voce, facendo pesare la loro scarsa responsabilità in merito ai gravi danni prodotti sull’ecosistema dall’industrializzazione secolare dell’Occidente, e in secondo luogo della Cina negli ultimi tre decenni. Anche se Pechino farà del tutto per attrarre dalla sua parte i non allineati con concessioni e aiuti di vario tipo. Resta il fatto che la Cina di Xi risulta attraente come investitore ma non come Paese in cui migrare. Anche se l’Occidente farà bene in futuro a individuare strumenti più competitivi per contrastare la crescente influenza delle autocrazie di Russia e Cina, venendo a patti con il carattere transazionale dei Paesi emergenti, attraverso il ricorso alla tecnica consolidata del bastone e della carota. E, qui forse, l’Italia ha ancora molte cose da dire e un ruolo da giocare.

Aggiornato il 19 aprile 2023 alle ore 10:00