Ecco perché non credo alla retorica della guerra giusta

La propaganda del conflitto bellico, ovvero quando anche i “buoni” sono bugiardi

Per 40 anni il pubblico americano ha creduto che Hanoi, nel 1964, avesse attaccato la nave americana Uss Maddox, inducendo il presidente dem, Lyndon Johnson, a firmare la Tonkin Resolution, ossia a decretare l’entrata in guerra degli Usa, senza una formale dichiarazione di un conflitto bellico.

Solo nel 2005, desecretati gli atti e le comunicazioni militari, apparve evidente, come emerso dagli scambi tra gli ufficiali a bordo delle navi e Washington, che era assai dubbio che si fosse verificato un attacco contro le unità americane e che la ritorsione, ordinata da Johnson, era del tutto “unprovoked”. Il comandante pilota americano James Stockdale (prigioniero per 7 anni nei lager dei vietcong e decorato con la Medal of Honor), in ricognizione a lungo sul tratto di mare del preteso scontro, testimoniava, anni dopo, di non aver visto nessuna attività ostile nemica contro le unità Usa e che “stavamo per lanciare una guerra sotto falsi pretesti, nonostante l’opinione contraria del comandante presente sulla scena”.

Il fatto avrebbe giustificato l’escalation militare del presidente Johnson e portato gli Usa “boots on the ground”, ossia a dispiegare decine di migliaia di soldati sul teatro di guerra. Nel marzo del 1968, la famigerata Compagnia C, agli ordini del tenente William Calley, della fanteria dell’esercito statunitense, si macchiava del più grave crimine di guerra commesso in Vietnam: a Mŷ Lay, 504 civili disarmati, tra cui 182 donne (molte delle quali stuprate, alcune incinte) e senza risparmiare bambini, neonati e anziani, venivano barbaramente uccisi a colpi di arma da fuoco o in punta di baionetta. La strage veniva interrotta dall’intervento dell’ufficiale Hugh Thompson che, in ricognizione in elicottero sull’area, minacciava di far fuoco sui soldati della Compagnia C, se non avessero cessato la carneficina.

Solo grazie al premio Pulitzer, Seymour Hersh, il caso riemergeva dai tentativi di insabbiamento del responsabile militare delle indagini, il maggiore Colin Powell. Lo stesso che, molti anni più tardi, da Segretario di Stato, avrebbe sventolato di fronte al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite la fialetta con le false armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, casus belli per l’intervento in Iraq. Degli autori della strage di Mŷ Lay, alla fine, solo il tenente Calley veniva condannato e scontò una penava di tre anni e mezzo agli arresti domiciliari. Il Los Angeles Times, in seguito, rivelava che, nei 20 anni di conflitto in Vietnam, ci sarebbero stati altri sette massacri di civili, tutti rimasti praticamente impuniti.

La guerra si concludeva, come sappiamo, nel 1975, segnata dalla vergognosa fuga da Saigon, lasciando morti sul campo (50mila soldati americani e fino a 4 milioni di vietnamiti). Centinaia di migliaia di sudvietnamiti, abbandonati al loro destino, cercarono scampo via mare. Abbiamo tutti negli occhi le immagini strazianti degli elicotteri e degli aerei con grappoli di disperati che cercano di aggrapparsi e le immagini dei “boat people”, alla deriva e spesso respinti dai Paesi alleati della regione.

A chi, oggi, ritiene un dovere di lealtà credere alle bugie della propaganda delle parti in conflitto, propongo due celebri aforismi. Il primo di Eschilo: “La verità è la prima vittima della guerra”. Il secondo di Bertrand Russell: “La guerra non stabilisce chi ha ragione, ma solo chi sopravvive”.

Aggiornato il 17 aprile 2023 alle ore 09:39