Il rischio di un nuovo conflitto stile Ucraina sembra sempre più probabile. Dopo tre giorni di esercitazioni militari vicino Taiwan, durante le quali la Cina ha simulato un attacco armato con munizioni vere contro l’isola, Pechino compie un ulteriore passo verso la guerra. Xi Jinping ha fatto appello alle forze armate affinché “rafforzino l’addestramento in vista di combattimenti veri”. A questo si aggiunge l’annuncio da parte della difesa cinese, la quale sottolinea che intende mantenere la pressione su Taiwan per non lasciare alcun margine alle “attività separatiste” di Taipei. La decisione cinese arriva, non a caso, dopo l’incontro a Los Angeles tra la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, e lo speaker della Camera dei rappresentanti americana, Kevin McCarthy. La dirigenza cinese si era detta fortemente contraria dell’opportunità dell’incontro e aveva già minacciato delle pesanti ritorsioni.
In risposta alla prova di forza di Pechino, gli Stati Uniti hanno dichiarato di essere pronti a difendere l’indipendenza dell’isola asiatica in caso di invasione militare da parte dell’esercito della Repubblica popolare cinese. Mentre Taipei rivendica il suo diritto di fare alleanze e di condurre autonomamente la propria politica estera. Il ministro degli Esteri di Taiwan, Joseph Wu, sottolinea che il Paese deve prepararsi all’evenienza di un’invasione cinese. Possibilità assai concreta anche secondo i rapporti dell’intelligence americana, per la quale Xi Jinping avrebbe ordinato ai militari di essere pronti all’invasione entro il 2027. A ciò si aggiunge il potenziamento dell’arsenale nucleare che il Partito comunista cinese starebbe perseguendo. Secondo il noto think tank conservatore Hudson Institute, la disponibilità di armi nucleari da parte di Pechino sarebbe in rapido miglioramento ed espansione e molto presto, entro il 2030, il Dragone potrebbe arrivare a disporre di ben mille testate: un quinto di quelle americane. Senza contare i lanciamissili intercontinentali e le navi da guerra, il cui numero starebbe per superare quello degli Usa.
Si prepara quindi un nuovo conflitto? È uno scenario altamente probabile. Se la Cina attaccasse Taiwan – come sembra intenzionata a fare – gli Usa potrebbero scegliere se sostenere la difesa dell’isola indirettamente – come in Ucraina – e inaugurare una nuova guerra di logoramento volta a sfinire i cinesi e a indurli a rinunciare. Con una differenza sostanziale, però: rispetto ai russi, i cinesi dispongono di vastissime risorse economiche, di un moderno ed efficiente sistema industriale e di molti più mezzi militari. La seconda opzione sarebbe uno scontro diretto tra la Repubblica popolare e gli States. Scontro che, secondo le simulazioni del Center for Strategic & International Studies, avrebbe si delle pesanti conseguenze, ma dal quale gli Usa uscirebbero comunque vincitori, sia pure con molte perdite, mentre la sconfitta potrebbe costare il potere al Partito comunista cinese e determinare una lunga fase di instabilità in Cina.
Taiwan fa affidamento a quelli che Wu ha definito “amici”. Gli Usa, ovviamente, per i quali la sicurezza di Taiwan è una priorità, sia allo scopo di contenere la Cina che per ragioni legate alla sicurezza tecnologica, se si considera che la maggior parte dei chip e delle componenti tecnologiche in uso in Occidente – e in America in particolare – provengono dall’isola. Anche il Canada intrattiene con Taiwan delle relazioni diplomatiche, militari ed economiche molto importanti. La Gran Bretagna, è impegnata in prima linea per la sicurezza del Pacifico – che inevitabilmente significa contenimento della Cina. E l’Europa? L’Europa rischia di nuovo di mancare all’appuntamento con la storia, col rischio, oltretutto, di indisporre gravemente gli Usa e di perdere l’appoggio del “gigante a stelle e strisce” con tutti i rischi connessi alla sicurezza e alla stabilità del Vecchio Continente. Come se non fossero bastati gli atti di servilismo nei riguardi della Cina da parte dei maggiorenti dell’Unione, da Josep Borrell a Ursula Von der Leyen, che hanno ritenuto opportuno differenziarsi e prendere le distanze dalla linea dura degli Usa nei riguardi della Cina, recandosi addirittura a Pechino a baciare la pantofola del dittatore comunista Xi Jinping, ora il presidente francese Emmanuel Macron si è detto contrario al coinvolgimento della Francia e dell’Europa – è un vizio dei francesi parlare sempre a nome di tutti – nel dossier Taiwan.
Alle parole del capo dell’Eliseo ha risposto proprio il ministro Wu, per il quale dinanzi al continuo espansionismo delle autocrazie è ancora più fondamentale che tutte le democrazie si uniscano attivamente per arginare questa aggressività. Ma forse questo concetto è troppo difficile da capire per le mammolette europee, sempre impegnate nei loro calcoli da bottegaio per comprendere che la Cina è pericolosa anche più della Russia: il fatto che sia lontana e che le truppe di Xi Jinping difficilmente avranno mai l’ardire di puntare le armi contro l’Europa libera, non significa che i cinesi non tenteranno la conquista delle democrazie europee per “vie traverse”, vale a dire politico-economiche. Lo stanno già facendo.
Gli atti di servilismo da parte dell’Unione europea, i cui leader vanno a Pechino a blaterare di democrazia, diritti e libertà con un autocrate che ride della loro ingenuità, sono solo un ulteriore incentivo alle ambizioni cinesi: sono prove di debolezza che le autocrazie intendono come segni di divisione e, quindi, di incapacità dell’Occidente di opporsi efficacemente a ogni prova di forza che vorranno tentare. I leader europei – o, per meglio dire, una parte di loro – devono capire che la nostra civiltà, la sua democrazia e i suoi valori culturali sopravvivranno solo se saremo uniti dinanzi all’incedere tronfio e aggressivo dei regimi. A forza di contare gli spiccioli, questa Europa rischia di gettare alle ortiche le relazioni con gli Usa e, con esse, la sua sicurezza, la sua stabilità e la sua libertà, senza le quali serviranno a poco le auto elettriche con le batterie cinesi o i vantaggiosi contratti commerciali che gli imprenditori francesi hanno concluso al seguito di Macron a Pechino.
Aggiornato il 14 aprile 2023 alle ore 10:00