La Nato è essenzialmente un’alleanza per garantire la sicurezza. Tuttavia, il suo preambolo afferma che l’organizzazione si fonda sui principi della democrazia, sulle libertà individuale e sulla preminenza del diritto. Il recital decisamente autocratico in scena in Turchia, un Paese membro della Nato, non presenta nulla di tutto ciò. Secondo il Democracy Index 2021 dell’Economist Intelligence Unit (Eiu), la Turchia si classifica al 103° posto tra 167 Paesi. La valutazione si è basata su cinque parametri: processo elettorale e pluralismo, funzionamento del governo, partecipazione politica, cultura politica e libertà civili.
Nel suo rapporto Freedom in the World 2022, Freedom House, un’organizzazione con sede a Washington, D.C., finanziata dal governo degli Stati Uniti, ha inserito la Turchia nella categoria dei Paesi “non liberi”, insieme ad Afghanistan, Angola, Bielorussia, Cambogia, Cina, Cuba, Etiopia, Haiti, Iran, Iraq, Libia, Nicaragua, Russia, Arabia Saudita, Somalia, Sudan, Siria e molti altri regimi canaglia del Terzo Mondo. Si potrebbe, secondo i criteri della democrazia, immaginare che qualcuno di quei Paesi sia uno Stato membro della Nato? Ma la Turchia lo è.
Anche dal punto di vista della sicurezza, la Turchia è l’intrusa dell’Alleanza Atlantica. Nel 2012, la Turchia è entrata a far parte dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Sco) come “partner di dialogo”. (Altri partner di dialogo sono la Bielorussia e lo Sri Lanka; membri osservatori sono Afghanistan, India, Pakistan, Iran e Mongolia). Nel 2022, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha detto che sperava di ottenere la piena adesione alla Ocs.
Già nel settembre 2013, la Turchia aveva annunciato di aver scelto un’azienda cinese (una società colpita da sanzioni da parte degli Statu Uniti) per costruire la sua prima architettura di difesa aerea e missilistica a lungo raggio. Nel 2019, Ankara ha deciso di acquistare i sistemi di difesa aerea S-400 di fabbricazione russa. La Turchia è l’unico membro della Nato sanzionato dagli Stati Uniti ai sensi del Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act.
Nel maggio 2022, il partner della coalizione ultranazionalista di Erdoğan, Devlet Bahçeli, ha affermato che la Turchia dovrebbe prendere in considerazione l’idea di lasciare la Nato. Forse ha ragione. Purtroppo, quanto dichiarato si è rivelato un bluff.
Erdoğan ha bisogno della Nato, specialmente in questi giorni, che necessita di munizioni per la sua retorica anti-occidentale, anti-Nato, il cui slogan è “Noi contro gli infedeli”, in vista delle elezioni turche del 14 maggio. E sta trascinando nella sua campagna elettorale la questione della prevista espansione verso nord dell’Alleanza Atlantica con l’ingresso di Svezia e Finlandia.
Due episodi provocatori avvenuti a Stoccolma nel gennaio scorso, l’effigie di Erdoğan appesa a un lampione e un esponente politico danese che ha bruciato una copia del Corano davanti all’ambasciata turca, hanno offerto al presidente turco un’opportunità perfetta per ottenere sostegno e distrarre i suoi elettori da un’economia sofferente. Per inciso, entrambi gli episodi sono stati stigmatizzati dalle autorità governative svedesi.
Fortemente applaudito dai suoi elettori conservatori e nazionalisti, Erdoğan ha affermato che la Svezia non può aspettarsi il sostegno della Turchia per la sua adesione alla Nato (ogni membro dell’Alleanza Atlantica ha potere di veto). Il 21 gennaio, il ministro della Difesa turco Hulusi Akar ha annullato una visita programmata del suo omologo svedese, Paul Jonson. Ankara ha altresì annullato un incontro trilaterale con Svezia e Finlandia sull’espansione verso nord della Nato.
Özer Sencar, presidente dell’agenzia di sondaggi Metropoll, ha dichiarato che amplificare le questioni di sicurezza della politica estera prima delle elezioni consente a Erdoğan di consolidare la sua base elettorale. Egli “crea in seno alla Turchia la percezione di un ‘leader forte’”, ha aggiunto Sencar. “Se si riesce a trovare una soluzione a una questione di sicurezza allora la gente va dietro al leader forte”.
Cosa fare? John R. Deni, professore di ricerca presso lo Strategic Studies Institute dell’Us Army War College, scrivendo su The Hill, consiglia di avere “pazienza strategica”.
“Ci sono alcune misure che Washington potrebbe almeno segnalare che vengano prese in considerazione, se Ankara non cambiasse posizione in merito alla Finlandia e alla Svezia entro la tarda primavera. Tali misure potrebbero essere: indebolire la lira turca esternando il dispiacere e la volontà di agire di Washington; applicare un’altra serie di sanzioni alle principali esportazioni turche, ai ministri e ai leader turchi; reintrodurre restrizioni sulla vendita di armamenti militari americani alla Turchia; e manifestare la volontà di riconsiderare la posizione militare della Nato in Turchia, nonché la presenza americana lì. C’è il rischio che tali misure potrebbero avere un ruolo nella narrazione politica interna di Erdoğan, ma potrebbero anche raggiungere l’obiettivo più importante di consolidare l’adesione di Finlandia e Svezia alla Nato. In ogni caso, al momento, la pazienza strategica sembra la scelta politica più prudente”.
Deni ha ragione. Qualsiasi insensato confronto pubblico fra la Turchia e l’Occidente a pochi mesi dalle elezioni turche aggiungerebbe voti a favore di Erdoğan. Molti turchi credono ancora a ciò che è stato loro insegnato alla scuola elementare: l’unico amico di un turco è un altro turco. Vivono ancora in un irreale mondo xenofobo in cui ogni altra nazione è nemica della loro terra e complotta contro la Turchia. Quel sentimento puerile, per quanto concerne la psicologia collettiva, li costringe a unirsi a sostegno del leader. Problemi con l’Occidente ed Erdoğan vincerà ancora.
(*) Tratto dal Gatestone Institute – Traduzione a cura di Angelita La Spada
Aggiornato il 06 marzo 2023 alle ore 09:25