Magia e ragione nel confronto tra Russia e Stati Uniti

Il 21 febbraio del 2023 è uno dei giorni che, sicuramente, sarà ricordato dalla storia. Infatti, abbiamo assistito in diretta mondiale a due avvenimenti quasi simultanei: i leader della Federazione Russa e degli Stati Uniti, Vladimir Putin e Joe Biden, si sono affrontati, fortunatamente per il pianeta solo a parole, tenendo due distinti discorsi alle rispettive coalizioni, ribadendo ambedue le proprie posizioni oltranziste in merito alla guerra in Ucraina scatenata dall’invasione operata dalla Russia. Cosa emerge dai due “speech”? A parte la retorica tipica di chi deve motivare il proprio esercito, ampiamente demoralizzato, dal lato di Mosca e dall’altro, quello di Washington, esaltando i belligeranti resistenti, infervorati dagli aiuti occidentali, sono venute a galla due visioni del mondo contrapposte: quella tribalistica e magica su cui si fonda il potere moscovita, e quella democratica, laicista e razionalista, su cui poggia il sistema occidentale.

Quando Vladimir Putin fa appello alla storia del suo Paese, alla grande guerra patriottica contro il nazismo, alla tutela della religione cristiano-ortodossa, alla sacralità della famiglia naturale, alle tradizioni del popolo, non fa altro che porre il problema della propria esistenza come viva realtà di una società in cui questi valori sono fondamenti della Grande Madre Russia che lui immagina.

È un mondo “magico”, pieno di simboli e riti, che richiamano la cultura “tribalista”, in cui il capo politico diviene tale per volontà divina, essendo “eletto” per salvare il proprio popolo dalla rovina della contaminazione con gli altri. E che chiama a raccolta tutte le forze operanti della nazione che ne formano il carattere. Tant’è che in prima fila, ma a più di dieci metri di distanza e in posizione ribassata, si notava alla cerimonia ierofanica (il discorso del 21 febbraio tenuto davanti all’Assemblea federale del presidente Putin), il patriarca di Mosca Kirill I, guida dell’arcipelago cristiano-ortodosso, insieme ai capi militari e alle gerarchie della politica nazionale: il tutto con la prevalenza di una forte luce bianco naturale che esaltava la scenografia.

Questo a significare come il “prescelto” sia in consonanza con il proprio popolo per realizzare il destino della patria. Un’immagine tribale, appunto, figlia di un mondo sciamanico, di cui però bisogna tenere conto nella dialettica internazionale. È facile rilevare come la Russia nella sua lunga e travagliata storia sia passata dell’assolutismo zarista alla dittatura comunista e poi al presidenzialismo putiniano senza soluzione di continuità. E solo con un breve tentativo di aprirsi al sistema liberal-democratico che si concluse con l’attacco a colpi di artiglieria pesante al Parlamento durante la crisi costituzionale dell’autunno del 1993, con l’intervento delle forze armate che causò, all’incirca, tra i 200 e gli 800 morti. E con l’insediamento di Boris Eltsin come presidente della Federazione Russa, ossia l’uomo che consegnò poi il Governo proprio al fidato Vladimir Putin.

Certo, qualcuno potrebbe obbiettare che la Russia è un grande Paese e che non è facile assimilare chi vive nella steppa e in territori lontani a coloro che abitano le grandi metropoli e che hanno assaporato un po’ di sana libertà occidentale. Ma purtroppo quest’ultimi sembra che siano la minoranza. E, comunque, il sistema di controllo dei media e la propaganda statale ha certamente influito sulla percezione di sé stessi e della presunta “missione” come popolo, che il Cremlino cerca di fare accettare ai più.

Tutt’altra ritualità è stata quella scelta a Varsavia nel pomeriggio dello stesso giorno dal presidente Joe Biden, che ha una legittimazione elettorale e non “divina”, per delineare il futuro del confronto: giovani, bandiere multicolore, leader liberamente scelti e nessun capo religioso. Il tutto sullo sfondo del castello reale in notturna, rischiarato da fasci di luce a led che riproducevano le strisce americane. Fortunatamente, in questo emisfero abbiamo risolto, non senza innumerevoli conflitti, la questione della separazione del potere politico da quello spirituale e religioso. Ognuno viaggia in prima classe, ma in carrozze separate, e il Romano Pontefice non si siede in platea come un qualsiasi astante ad ascoltare e applaudire i discorsi dei politici.

La nostra è ormai, inutile negarlo, una società secolarizzata in cui le varie Chiese, a cominciare da quella cattolica, hanno scarso seguito popolare e, men che meno, politico-istituzionale. Stato e Chiesa, semplicemente, convivono nello spazio e nel tempo, senza troppo influenzarsi, anche se per certi versi i religiosi cercano di inseguire il mondo che gli sfugge di mano. Tant’è che gli appelli per la pace di Papa Francesco, così come quelli di altri leader religiosi, sono caduti nel vuoto e nell’insignificanza.

Il nostro non è più un mondo misterico popolato da cavalieri, fate, elfi, draghi e orchi. Non abbiamo più necessità di capi carismatici unti dal “Signore”, che sappiano cosa è bene e cosa è male per tutti e che abbiano sempre ragione. Bensì, è il risultato della vittoria della filosofia classica, intesa come sapere individuale, razionale e fallibile, sul mito e l’irrazionalità. Una società, forse, meno affascinante ma più concreta, votata allo scambio, al mercato e alla ricerca dell’utile attraverso la realizzazione dei propri fini con la collaborazione volontaria. Su questo piano è evidente lo stridore tra le due visioni della realtà e la loro difficile conciliazione, ma lo è anche il reciproco fascino che subiscono l’uno dell’altro.

Purtroppo, il mondo è piccolo. Maghi, negromanti e uomini di scienza e letterati devono coabitarci, meglio se in pace, nell’interesse dei rispettivi popoli, anche se occorre uno sforzo enorme per accettare il punto di vista dell’altro. Sfortunatamente, sembra che nessuna delle fazioni in lotta per l’Ucraina attualmente voglia fare un passo indietro difronte al baratro di un conflitto lungo e distruttivo, con il rischio che a intervenire e a risolvere la questione arrivi alla fine una tigre affamata dagli occhi a mandorla di millenaria cultura, capace di fare a pezzi l’economia e la res pubblica dei due belligeranti, in barba persino a un’Unione Europea incapace di un autentico ed efficace ruolo di mediazione.

Per Winston Churchill “sarebbe una grande riforma della politica, se il senno potesse essere sparso tanto facilmente e rapidamente quanto la follia”. Speriamo che qualcuno se lo ricordi, prima che sia troppo tardi.

Aggiornato il 24 febbraio 2023 alle ore 13:37