La trattativa Cremlino-hacker per colpire l’Occidente

Che il regime di Vladimir Putin sia abituato ad avvalersi della collaborazione di criminali era cosa nota già da tempo. Insomma, il Battaglione Wagner è composto perlopiù da detenuti – e non esattamente da ladri di polli, ma da stupratori, spacciatori e assassini – e il loro stesso comandante, Evgenij Prigožin è stato dietro le sbarre per reati a sfondo sessuale, quando ancora vendeva hot dog e non era ancora diventato il magnate della ristorazione in Russia. In fondo, se lo stesso capo di un regime è un criminale di lungo corso, abituato a ordinare esecuzioni in stile mafioso ai danni di dissidenti e giornalisti, non ci si può aspettare che il resto della “cupola” moscovita sia composto da brave persone. Si sapeva anche che il regime si avvale della collaborazione di vere e proprie agenzie di hacking e trolling, come la Internet Research Agency di San Pietroburgo o Cozy Bear, incaricate di diffondere disinformazione e di propagandare la narrazione putiniana attraverso il web e, in particolare, attraverso i social, al fine di sobillare i segmenti di popolazione occidentale più sensibili ai richiami della controinformazione e di destabilizzare le liberaldemocrazie occidentali. Tutto questo senza contare i pirati informatici inquadrati all’interno del Fsb, i servizi segreti di Mosca. A questo quadro già desolante ora si aggiunge la presunta trattativa tra il regime di Putin e quei collettivi di hacker russi che, pur agendo nell’illegalità, sembrerebbero aver ottenuto dal regime una specie di “salvacondotto”, di poter agire nell’impunità, a condizione di concentrare i loro attacchi contro l’Occidente e di lavorare al massimo delle loro capacità per favorire la diffusione della narrazione russofila in rete. Parliamo di gruppi come Conti, Killnet e Lockbit. Come riportato da “La Stampa”, i primi a dare l’allarme in tal senso sarebbero stati gli esperti della cybersicurezza francesi dell’agenzia Anssi: secondo le fonti del quotidiano torinese, l’ultimo cyberattacco che ha colpito l’Occidente avrebbe origine proprio da questi collettivi.

Per ora non ci sono prove concrete che l’attacco hacker ai danni dei siti istituzionali dei principali Paesi occidentali sia di matrice russa. Ciononostante, tutti gli indizi sembrerebbero portare in quella direzione. Al punto che alcuni analisti l’hanno già ribattezzata “Operazione Stalingrado” evocando l’avvertimento lanciato da Putin nei giorni scorsi, quando ha dichiarato che la Russia, di nuovo minacciata dai panzer tedeschi, avrebbe risposto a questo attacco e non solo con l’impiego di mezzi corazzati. Ciò non deve sorprendere più di tanto: in fin dei conti, gli obbiettivi di questi gruppi di criminali informatici e quelli del Cremlino combaciano alla perfezione. I primi vogliono arricchirsi, mentre il regime vuole destabilizzare e creare noie all’Occidente. Già lo scorso anno, la rivista americana Wired aveva denunciato la saldatura tra l’autocrazia moscovita e i collettivi di hacker russi: formalmente in nome del “patriottismo”, ma di fatto in nome di un meno noto e meno pulito giro d’affari, di alte protezioni e di intese sottobanco. .

Non sarebbe la prima volta che la Russia ricorre alla cyberwar contro l’Occidente: anzi, pare che questa sia proprio una delle sue specialità. Il vero problema è che l’Occidente sembra non aver compreso del tutto o sembra sottovalutare il problema, la pericolosità della guerra che si combatte sul web e, di riflesso, l’importanza della cybersicurezza, cruciale tanto quanto quella dei confini terrestri, delle acque o dello spazio aereo. Dopo l’attacco ai sistemi di ospedali, università e siti istituzionali cosa apprendiamo dal Governo? Che quegli stessi sistemi non erano stati aggiornati. Ebbene, nessun riarmo, nessun aumento delle spese per la difesa, nessun investimento su missili e tank ha veramente senso se a essi non si aggiungono degli altrettanto significativi investimenti su quello che è uno dei principali terreni su cui si combattono le guerre di oggi: la sicurezza dei sistemi informatici, la tecnologia e, naturalmente, la veridicità delle informazioni che circolano in rete. Abbiamo già commesso un errore madornale sottovalutando la minaccia rappresentata dalla propaganda russofila che, ancora oggi, corre sul web e continua a confondere una parte si minoritaria ma non per questo trascurabile dell’opinione pubblica su questioni cruciali come la guerra in Ucraina. Vogliamo fare la stessa cosa col crimine informatico asservitosi a Mosca? Potremo svegliarci un giorno e scoprire che la nostra sopravvivenza dipende dal web e dalla sicurezza informatica tanto quanto dalla possibilità di disporre di armamenti moderni ed efficaci e di forze armate ben addestrate.

Aggiornato il 08 febbraio 2023 alle ore 17:50