Tempo fa l’Europol annunciava – grazie alla collaborazione di otto nazioni – che era stato smantellato il “cartello dei Balcani”, ovvero una rete di trafficanti di droga. Due tonnellate di cocaina erano state sequestrate. Secondo l’Europol, si trattava della più grande rete di narcotrafficanti in Europa.
Giorni fa, l’Eurojust e la stessa Europol hanno cooperato con la magistratura italiana e quella albanese, smantellando una seconda rete di trafficanti di droga. L’azione di polizia, che ha coinvolto 350 uomini in divisa, ha portato all’arresto di 30 sospetti criminali. Nel blitz sono stati sequestrati denaro, auto, fucili e altre armi. Il nuovo cartello trafficava cannabis, cocaina ed eroina dall’Albania all’Italia. Da ciò, quindi, risulta molto complicato cercare di contrastare le mafie che gestiscono la cocaina, che poi arriva nel centro dell’Europa.
Da tempo la “rotta balcanica” è utilizzata per portare in Europa l’eroina afghana attraverso la Turchia (niente da dire al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan?). Sarebbe opportuno lanciare un altro sasso nello stagno etico e geopolitico sia europeo che occidentale. Anche solo per il fatto di essere una nazione che produce e commercia buona parte dell’eroina mondiale, l’Afghanistan dovrebbe essere liberato dal suo Governo criminale. Che dire alle anime belle, alias utili idioti intossicati da propaganda e da media e culture antiumani, se non che le donne e tutti gli afghani meritano qualcosa di migliore che vivere in uno Stato che si dice religioso ma che, di fatto, vive del commercio della morte in polvere? Voltarsi dall’altra parte, senza affidare all’Onu una missione liberatrice (sì, all’Onu, così molti piagnoni pseudo pannelliano-gandhiani non piangerebbero). Ma ciò, oggi, non si può dire senza essere tacciati di bellicismo. Forse, però, i veri bellicisti sono i pacifisti ideologici.
Tornando ai Balcani, ecco le cifre del narcotraffico nei Balcani secondo i dati di Global initiative against transnational organized crime: il 37 per cento dell’eroina afghana passa per i Balcani (via Iran e Turchia); il cartello balcanico nato per mano del serbo Darko Šarić controlla l’un per cento del commercio mondiale di cocaina. I due clan montenegrini di Kotor (splendida città turistica posta in fondo al fiordo delle Bocche di Cattaro, dove un tempo arrivavano gli oligarchi sovietici, in vacanza alla faccia dei proletari) si sono spartiti una bella fetta della torta, prima di entrare in guerra tra di loro, esattamente come i cocaleros messicani (leggere il romanzo 2666 di Roberto Bolaño). Il 70 per cento della droga che circola tra Svizzera, Austria, Germania è controllata dalla mafia albanese.
La tragedia viene da lontano, quando ancora c’era la Jugoslavia. Per esempio, il clan Zemun era legato a Slobodan Milošević, ultimo presidente della “Grande Serbia” dal 1989 al 1997. Per non parlare di Sreten Jocić, capo della mafia serba in Olanda, oppure della massiccia presenza della Sacra Corona Unita, legata ai cartelli balcanici dagli anni ’90 (se fossimo bravi come le nostre mafie a esportare buoni prodotti invece che fetide droghe, saremmo i più ricchi del mondo).
Appare defilata la posizione della ’ndrangheta calabrese, che in Europa è il braccio destro dei colombiani, dai quali riceve cocaina senza obbligo di pagamento alla consegna. È probabile che i cocaleros di Medellin e dintorni abbiano sancito una spartizione del loro export nel Mediterraneo e nell’Adriatico. Tuttavia, l’arresto di Ardjan Cekini, un appartenente alla cosca dei Bellocco, estradato in Italia dai Balcani nel 2021, testimonia il tentativo dei clan calabresi di entrare nella via balcanica del narcotraffico. Cekini stava cercando di piazzare nei Balcani cocaina per conto della sua ’ndrina e del “mandamento tirrenico”.
Anche l’omicidio del giornalista slovacco Jan Kuciak e della sua compagna, avvenuto nel 2018 per mano della mafia italiana, testimonia della presenza dei clan oggi più pericolosi in Italia, il pugliese e il calabrese. Del resto, la guerra tra i narcos balcanici è feroce, ma riguarda soprattutto Serbia, Albania e Montenegro. Nel 2014, la sparizione di 200 chilogrammi di cocaina dal porto di Valencia, in Spagna, ha dato il la alla guerra di Kotor tra gli Skaljari e i Kavac, dopo l’arresto di Šarić. Nel 2016, viene assassinato Aleksandar Stankovic, detto “Sale il muto”, capo di un gruppo di tifosi del Partizan di Belgrado (i “janissaires”). Si scopre così lo stretto legame tra il tifo calcistico e la criminalità (lo stesso avvenne per il reclutamento di milizie paramilitari tra i tifosi di calcio della Serbia, nel corso delle guerre degli anni Novanta). Il più famoso “eroe” di questo ennesimo caso di connubio tra il mondo del calcio e la criminalità fu “Arkan” Željko Ražnatović, capo dei tifosi della Stella Rossa, sempre di Belgrado, accusato col suo referente politico, Slobodan Milošević, di crimini nella ex Jugoslavia dalla Corte dell’Aja, poi assassinato con un tesserino della polizia in tasca. Come ricorda Le Monde nel settembre 2022, la scoperta di una “casa dell’orrore”, dove i narcotrafficanti serbi torturavano i loro rivali, richiama alla mente ciò che succede in America Latina, dimostrando che è più facile emulare chi taglia la gola piuttosto che passare una settimana della propria vita come infermiere volontario in Sudan.
Intanto, l’Albania ha lanciato nello spazio due satelliti destinati al “controllo del territorio”. In particolare, la loro attività consisterà nel monitoraggio delle coltivazioni albanesi di marijuana, che a quanto pare sono così ampie da evitare l’import dai Paesi più caldi (in tutti i sensi). I dati del rapporto Gi-Toc indicano che le piantagioni di marijuana (più o meno nascoste) nascono in collaborazione con la rete di narcotrafficanti che opera, e commercia, tra i Balcani e l’Europa. In pratica, abbiamo di fronte alle nostre coste lo stesso mostro che c’è in Afghanistan: conviene coltivare droga, perché rende molto e c’è già chi si occupa di trasportare e piazzare la merce. Caleranno per questo motivo i muratori albanesi? Di sicuro, l’Albania ha una posizione perfetta per raggiungere le coste italiane e per importare sostanze stupefacenti da quelle greche: a nord Austria e Germania sono vicine, così come la Cekia e la Slovacchia. A tal proposito, basta vedere il rapporto dell’agenzia europea sul narcotraffico.
Aggiornato il 30 gennaio 2023 alle ore 20:31