T(h)ank You West! Blindati a Oriente

Allora, quanto siamo ancora distanti dal punto di “Wreckage Equilibrium”? Dove, con quest’ultima notazione di colore, ci si riferisce qui a uno stato di stallo tale da rendere inevitabile una “soluzione alla coreana”, al momento in cui russi e ucraini riterranno di aver inferto e subito abbastanza perdite e distruzioni reciproche per decidere di fermare le ostilità. Perché, a questo punto, almeno due cose fondamentali sono perfettamente chiare. La prima, riguarda i costi inaccettabili per l’invasore di mantenere a lungo una forza permanente di occupazione in tutto il territorio ucraino, nel caso di un’eventuale caduta di Kiev: ipotesi quest’ultima improbabile ma non impossibile, visto l’immenso divario esistente tra Russia e Ucraina per quanto riguarda risorse strategiche, riserve militari e naturali, produzione di armamenti e tenuta socio-politica ed economica del regime russo di Vladimir Putin.

Se Volodymyr Zelensky fosse sconfitto, alle porte dell’Europa comparirebbe uno spettro ben peggiore di quello concretizzatosi con la frammentazione dei Balcani post-1991, a causa dell’insorgenza di un imponente (per numero di mezzi e uomini) movimento di guerriglia irredentista ucraino che, geostrategicamente, riceverebbe enorme impulso dal sostegno territoriale, logistico e militare dei Paesi Nato confinanti con l’Ucraina odierna. L’occupante si troverebbe così di fronte a una sorta di gigantesca Cecenia, che gli costerebbe enormi perdite umane e materiali per decenni. Già se la guerra finisse oggi, secondo gli osservatori internazionali, alla Russia occorreranno generazioni per tornare ai fasti del 2021, e questo perché fin da ora tutte le previsioni economiche danno un quadro in netta recessione della sua economia nei prossimi anni. Il futuro, infatti, relega la Russia al rango di un “minor power”, isolato dall’Occidente e sempre più dipendente da un alleato cinese che non farà sconti, utilizzandola come piattaforma energetica a buon mercato.

Infatti, in nessun modo (al contrario della Cina) la Russia riuscirà a colmare per i prossimi decenni il suo notevole ritardo tecnologico e industriale rispetto a questa parte del mondo libero, con il quale Mosca non potrà così facilmente ripristinare una condizione di buon vicinato e di ripresa degli scambi commerciali, come invece avvenne a partire dall’inizio degli anni duemila. La seconda cosa fondamentale, però, è che Kiev non può vincere, riprendendo con una controffensiva vittoriosa tutti i territori occupati. Anche perché, in questo caso, sarebbe Mosca, per la difesa dei suoi “interessi vitali”, a mantenere uno stato di guerra permanente ai confini con l’Ucraina, facendo ricorso alla mobilitazione generale delle sue truppe per sostenere nuove offensive che, nel lungo periodo, porterebbero allo stremo le forze militari e civili ucraine. È chiaro fin da ora, del resto, che sia lo sfoggio di unitarietà per la fornitura di armi pesanti a Kiev da parte dei Paesi europei della Nato e degli Usa; sia la minaccia di escalation di Mosca, nel caso che le forze convenzionali ucraine prevalgano sul campo, sono entrambi atteggiamenti “posturali” (politicamente parlando) che non possono essere attuati fino in fondo. Per ribaltare davvero le sorti dell’attuale conflitto, ipocritamente definito da Mosca “Operazione speciale”, non sarà sufficiente mettere a breve in campo un centinaio di moderni tank occidentali, senza aver formato per almeno alcuni mesi gli equipaggi ucraini; né ipotizzare una guerra vittoriosa di droni e sistemi antimissile per Kiev senza una copertura aerea adeguata, che solo l’intervento diretto della Nato è in grado di assicurare.

Del resto, occorre ribadire come la minaccia di scatenare l’Armageddon nucleare, ventilata da Mosca fin dalle prime battute della guerra, si stia sempre più confermando come una esibizione “posturale” di muscoli, priva di aspetti pratici. Se dovesse accadere una cosa simile, a quel punto l’Occidente, pur non intervenendo direttamente come oggi, non avrebbe più limiti né riserve a inondare Kiev di armamenti pesanti, aerei multiruolo e migliaia di missili a lunga gittata, in grado di colpire il territorio russo come giusta rappresaglia. Senza stare a contare che il ricorso al nucleare allontanerebbe immediatamente la Cina dalla Russia, perché a quel punto Pechino dovrebbe fare fronte alla fine della globalizzazione e, quindi, alle sue speranze di crescita economica e di sorpasso dell’America entro il 2050 per benessere e progresso tecnologico. La cosa che sorprende, dopo aver tanto straparlato di “cyber war”, “guerre ibride” e così via, è il ritorno della guerra tradizionale (con trincee, carri armati, artiglieria e movimenti di truppe), identica a quella già vista e storicizzata all’epoca del doppio conflitto mondiale della prima metà del XX secolo, in cui letteralmente vince chi ha la supremazia aerea, più cartucce (proiettili) da sparare, carri armati, truppe e linee di rifornimento efficienti. Oggi come ieri, la guerra russo-ucraina ha le sue origini nella difesa delle radici identitarie, che risalgono molto indietro nel tempo sino agli albori dei rispettivi Stati-nazione.

Oggi, il confronto militare tra le due nazioni “sorelle” si va sempre più configurando come una guerra di “attrito” (o “attrition war”), per cui è destinato a prevalere e vincere chi sarà in grado di ricostituire costantemente nel tempo le proprie scorte di armamenti, continuando a mettere in campo sempre più soldati pronti al combattimento (“combact ready”). Per fare un esempio, come viene suggerito dal New York Times (Nyt) del 16 gennaio 2023, con “What 70 years of wars can tell us about the Russia-Ukraine conflict”, l’abilità dei due schieramenti di occupare e mantenere sotto controllo un territorio conteso è direttamente proporzionale alla capacità di far arrivare sul campo, in modo più affidabile e rapido del proprio nemico, truppe, tank e altri mezzi pesanti. E poiché, rispetto a quanto sopra, fa la differenza il grado di copertura aerea, ecco che il tasso di “attrition” è fortemente condizionato da chi ha il controllo dei cieli, cioè la Russia, in questo caso! E l’unico modo per l’Ucraina di invertire questa supremazia e di far arrivare sul territorio conteso quanti più sistemi antiaerei e antimissile possibili! Anche quest’ultimo aspetto, pur essendo una questione di attrition, ha risvolti economici e diplomatici più che militari, essendo fortemente condizionato dalle forniture occidentali. Il che spiega per quale motivo l’Ucraina, non potendo fare affidamento in tutta sicurezza sulla propria produzione bellica come i russi, è costretta a rivolgersi agli arsenali e agli stock dei Paesi Nato e degli Usa.

Come contromossa, la Russia ha fatto ricorso alla strategia del bombardamento a distanza di città e insediamenti civili ucraini, in modo da costringere Kiev ad allontanare dal fronte batterie antimissili e antiaeree di produzione avanzata occidentale. Ne deriva che maggiore è l’affanno per tenere dietro alle mosse dell’avversario, tanto più un Paese come l’Ucraina è costretto a richiedere disperatamente il sostegno internazionale. E sarà proprio chi garantirà gli aiuti militari richiesti per il tempo necessario ad avere una preponderante voce in capitolo, orientando la conclusione del conflitto in corso. In definitiva, la morale è che servono le forze convenzionali e non quelle strategiche, per rimanere padroni del territorio! Tanto è vero che Gideon Rachman, nel suo editoriale sul Financial Times, “There is no path to lasting the russian victory”, cita le parole di un diplomatico secondo il quale “non si può cancellare la Russia!”, destinata a rimanere un grande Paese, ricchissimo di risorse e guidato da un governo brutale e privo di scrupoli. Comunque sia, osserva Rachman, anche se per un diabolico miracolo le forze russe dovessero sconfiggere l’Ucraina e mettere fuori gioco Zelensky, a quel punto che cosa accadrebbe? Realtà vuole che, come già osservato, una Russia ferita e isolata verrebbe presa nella morsa di una guerriglia decennale, che farebbe impallidire il ricordo e le vicende dell’occupazione dell’Afghanistan negli anni Ottanta, mettendo sotto assedio costante il governo collaborazionista di Kiev! E sarebbe proprio la “Vittoria” a suonare le campane a morto per Mosca!

In passato la Russia prevalse su Napoleone e Hitler perché condusse una guerra “difensiva”: non avendo un altro luogo dove ritirarsi i russi combatterono fino alla fine. Stavolta è l’Ucraina a dover fare la stessa cosa! Per di più nelle grandi guerre precedenti la Russia faceva parte di più ampie alleanze europee, mentre invece oggi per la prima volta Mosca non ha alleati in Occidente! Anzi: con la sua folle iniziativa Putin ha contribuito a rafforzare gli alleati europei e asiatici degli Usa, anche se il “Global Sud” (Cina, India, Sud Africa e Indonesia) non ha aderito alle sanzioni occidentali contro Mosca pur rifiutandosi di fornire armi a Putin. Ma ci vorrà lo stesso molto tempo perché la Russia possa ri-orientare verso questi Paesi la sua economia, affrancandosi così dalle forniture energetiche ultratrentennali all’Europa, per poi legarsi mani e piedi alla Cina. Così facendo, Putin ha chiuso quella finestra sul Vecchio Continente, aperta secoli fa da Pietro il Grande. Indovinate chi nel futuro avrà tutto da perdere? E davvero le élite russe resteranno “patriottiche” e fedeli a Putin fino in fondo?

Aggiornato il 30 gennaio 2023 alle ore 09:40