Somalia: Al-Shabaab perde terreno, ma continuano gli arruolamenti

Appena una settimana fa il presidente della Somalia, Hassan Sheikh Mohamoud, tornato al potere nel maggio 2022, aveva esaltato la riconquista del porto strategico di Harardhere, sottratto al gruppo islamista Al-Shabaab o HsmMovimento dei giovani combattenti – che lo occupava dal 2010.  Hamza Abdi Barre, capo del Governo somalo, lunedì 16 gennaio ha dichiarato che la ripresa di questa città portuale ha un valore storico, per la valenza sia commerciale che simbolica, aggiungendo – tramite un comunicato stampa – che entro il 2023 gli islamisti di Al-Shabaab saranno sradicati dalla Somalia, rendendo così il Paese più libero e sicuro.

Che la città portuale di Harardhere, situata 492 chilometri a nord di Mogadiscio, sarebbe tornata sotto il controllo del Governo era stato percepito anche dai jihadisti. Infatti, come comunicato dal ministro delle Poste somalo, Hussein Ahmed, che era presente al fronte, i miliziani di Al-Shabaab hanno lasciato la città ancora prima dell’arrivo delle forze governative, le quali hanno ripristinato l’ordine senza nessuno scontro a fuoco. Ricordo che i jihadisti di Al-Shabaab, movimento legato ad al-Qaïda, dal 2006 hanno iniziato a combattere il Governo centrale per conquistare la Somalia. Tra il 2011 ed il 2012 sono stati cacciati dalle principali città del Paese, restando tenacemente radicati, tuttavia, nelle grandi aree rurali, soprattutto di confine.

Il Governo somalo deve continuamente misurarsi con la certezza che il jihadismo, sotto tutte le sue sigle e frammentazioni, non ha per ora intrapreso il viale del tramonto. Per esempio a Mogadiscio, la settimana scorsa, Al-Shabaab ha rivendicato l’ennesimo attentato presso una struttura governativa situata in una zona ben sorvegliata della capitale. Nell’attacco, attuato con bombe e armi leggere, hanno perso la vita cinque civili e almeno sedici persone sono rimaste ferite. La dinamica dell’atto terroristico ha seguito un cliché collaudato: gli elementi di Al-Shabaab hanno fatto esplodere una bomba, per poi assaltare l’edificio governativo. Successivamente, sono penetrati nell’area dove è ubicato l’ufficio del sindaco di Mogadiscio. Qui hanno ingaggiato uno scontro a fuoco con le forze di sicurezza, le quali hanno eliminato sei terroristi, ripristinando l’ordine. Per la cronaca, tutta l’operazione è durata da circa le 12 fino alle 18. Il combattimento, pertanto, è durato sei ore.

Da quando il presidente Hassan Sheikh Mohamud, ad agosto, ha dichiarato “guerra totale” ad Al-Shabaab, i jihadisti come risposta hanno intensificato gli attacchi, utilizzando tecniche di guerriglia, anche se il loro potere su alcune aree si sta corrodendo. Pure in questa dinamica terroristica di stampo jihadista emerge la visione religiosa che Al-Shabaab professa e che impone nelle aree che riesce a dominare. Cioè, un’interpretazione della legge islamica, la sharia, a proprio uso e consumo. Quindi, possiamo considerare che la dottrina musulmana del jihad e il progetto jihadista sono le colonne di questo sistema. Il tracciato intrapreso da Al-Shabaab manifesta un grande pragmatismo nella gestione di questo quadro ideologico. Infatti, ciò non consente di prevedere alcun compromesso o moderazione nelle strategie adottate per distruggere i rivali, né nello sradicare ogni opposizione organizzata, ma soprattutto nessuna tolleranza o indulgenza nei rigidi rapporti tra gli affiliati.

Scavando oltre l’ostentazione dell’appartenenza a uno jihadismo personalizzato, osservando il “profilo” manifestato degli affiliati si scorge che la religione è solo una cornice all’interno della quale sono tracciati sentieri che con la Fede hanno poco a che fare. Così, da una macro-visione emerge che l’organizzazione jihadista è stata favorita da un preciso contesto politico e sociale, dove la debolezza dell’ordine costituito ha favorito l’emergere di una delinquenza che rovescia e sconfessa le regole della convivenza. E che punta alla ricerca di un’esigenza di ordine e autoritarismo, in questo caso coperto dal mantello estremista islamico. Con queste basi e questi principi l’Hsm si è poi trasformata nella più radicale delle organizzazioni salafite.

Ma perché un movimento inflessibile, che sta inanellando sconfitte continue e che non ha nessuna possibilità di conquistare il potere in Somalia, è ancora in grado di reclutare miliziani senza ricorrere a una palese coercizione? Le risposte sono multiple e articolate. Per ora basti riflettere sul fatto che andrebbero analizzati vari parametri: il luogo geografico, il contesto temporale, la storia sia delle corti islamiche che quella personale dei neo-jihadisti. Inoltre, la complessa strutturazione tribale della società somala crea, all’interno della stessa, convinzioni razziste tra le tribù, così come il concetto di razzismo è diffuso tra chi si crede più o meno autoctono al territorio.

Eppure, il fattore certo che accomuna l’organizzazione terroristica è il plagio e il lavaggio del cervello che queste persone, spesso prive della minima consapevolezza della realtà, subiscono dai loro “caporali” o pseudo-imam, al soldo di Ahmad Omar, autoproclamatosi emiro di Al-Shabaab. Uno strumento strategico, il plagio, utile a rinnovare quello che potremmo definire un corpo sociale guerriero. Va aggiunto che l’effetto povertà ed emarginazione coltiva l’anima dei neo-terroristi, che banalmente vedono in Al-Shabaab una bandiera, una ragione di vita, un impiego e spesso l’unico “modo di vivere”. Laddove il lavoro è rappresentato dal saccheggio, dalla violenza, dagli stupri e dalla morte.

Aggiornato il 27 gennaio 2023 alle ore 09:53